L’elezione di Stefania Craxi come nuova presidente della commissione Esteri del Senato, che prevale sul pentastellato Ettore Licheri, è la riprova che l’ambivalenza del Movimento 5 Stelle in politica estera ha superato il livello di guardia per l’insanabile contrapposizione politico-ideologica tra l’antiamericanismo endemico di Beppe Grillo e la posizione del suo ex-pupillo, il ministro degli Esteri Luigi Maio.
In questi giorni osservatori acuti come Gianfranco Pasquino e Marcello Pera avevano lucidamente tracciato i rischi di un sentimento antiamericano che, al di là di legittime critiche alle amministrazioni statunitensi, rischia di non fare bene all’Italia né in termini di valori ideali né di interessi nazionali, perché offusca la distinzione fondamentale tra mondo libero e dittature.
Marcello Pera in una sua recente e ampia intervista a Libero ha dichiarato:
«Che anche in settori della Lega e della destra stia prendendo piede quel sentimento antiamericano che è così diffuso in Italia tra i nostri bravi intellettuali e opinionisti, soprattutto ex-Pci ed ex-Lotta continua. Li sente? Se l’Ucraina non si arrende, è colpa dell’America. Se non parte un negoziato serio, è perché l’America non lo vuole. Se Zelensky ancora resiste, vuol dire che l’America vuole logorare la Russia. E così via. Perciò, abbandonate l’America, condannate il suo imperialismo, stringete la mano a Putin, non fatelo irritare ché si offende, non umiliatelo ché ci rimane male, e tutto tornerà come prima… “Penso che Mario Draghi stia facendo bene e mi meraviglia che persino a destra si storca il naso a Finlandia e Svezia nella Nato perché non gioverebbe alla pace. La pace è forse ciò che piace a Putin? Mi sembra di tornare al “pacifismo” dello stalinista Togliatti contro De Gasperi». e al giornalista che chiede “Resta il fatto che un negoziato di pace bisognerà avviarlo? il filosofo risponde secco «Certamente sì, ma se Putin sfonda sul campo non ci sarà negoziato, solo il fatto compiuto e irreversibile dell’annessione e scomparsa dell’Ucraina. Se invece viene fermato, allora lui stesso potrà prendere un pretesto qualunque, cantare vittoria e sedersi ad un tavolo».
Sul fronte opposto (quello della sinistra), Gianfranco Pasquino scrive in un editoriale su Domani:
“l’incantamento per Putin dei due alleati di centro destra italiano [Salvini e Berlusconi, ndr] si accompagna alle critiche agli Stati Uniti e alla NATO che provengono da alcuni minori, ma non troppo, settori della sinistra. Queste critiche, sono facilmente spiegabili: un irreprimibile antiamericanismo che sta nelle viscere profonde e al quale non riescono ad opporre nessun ragionamento e magari lo dirò da professore nessuna lettura di storia, di relazioni internazionali, di scienza politica”
La simmetria tra Gianfranco Pasquino e Marcello Pera (due importanti intellettuali italiani che si collocano su sponde opposte) è una notizia importante che i media non dovrebbero trascurare. Sia Pasquino che Pera individuano giustamente l’antiamericanismo preconcetto (più o meno “viscerale”, ma sicuramente radicato nel nostro paese) come elemento comune denominatore dei mugugni che in parlamento e nel paese accompagnano l’invio di aiuti militari alla resistenza ucraina così come all’ingresso della Finlandia e della Svezia nella Nato.
Il fenomeno è stato denunciato anche da Furio Colombo che ha lasciato il Fatto (di cui è uno dei fondatori) dopo aver polemizzato con Marco Travaglio, Alessandro Orsini e Massimo Fini:
Sulla guerra, la Nato e i nemici non capisco più il nostro giornale”, è il titolo del pezzo di Colombo, che lamenta di essersi ritrovato a scrivere “accanto a un collega che non conoscevo e che non vorrei conoscere, caro a tutti coloro che pensano che l’America sia il vero pericolo dei popoli e delle democrazie, e che l’invio di armi ai resistenti invasi e assediati dal rischio imminente di distruzione totale sia un sacrilegio
Non c’è dubbio che l’antiamericanismo unisca (in dosi diverse) esponenti dei 5 Stelle e della Lega nonché di numerosi e altri esponenti della sinistra e della destra succubi di Putin. In Matteo Salvini c’è però qualcosa di più e di diverso: una grande nostalgia per Donald Trump.
D’altra parte non c’è bisogno dell’aiuto di uno psicoanalista per osservare che i profili di leadership “autoritari” (e non tanto “autorevoli”) di Trump e Putin abbiano numerosi tratti in comune. Tutti e due adorano diffondere fake news così come coltivare la propria immagine, caratterizzata in entrambi da un’arroganza dispotica e maschilista.
Non è del resto un caso (per i noti legami di Mosca con la destra americana e i populisti europei) che la settimana scorsa Matteo Salvini abbia invitato alla sua convention Rudolph Giuliani, figura assai controversa oltreoceano. In tarda età (dopo gli esordi brillanti come magistrato e sindaco repubblicano di New York) Giuliani si è convertito al trumpismo e per i ruoli ricoperti è tuttora indagato per le sue (presunte) responsabilità in attività illegali volte a colpire la reputazione del presidente Joe Biden in Ucraina.
A prescindere dalle connessioni operative (vere e/o false) tra Russia, estrema destra americana e partiti populisti europei, ciò che colpisce in Italia è la “vicinanza narrativa” con lo stile e gli scritti cospirativi e apocalittici di Alaxender Dugin, ideologo di Vladimir Putiv e molto vicino al Patriarca di Mosca Kirill.
Intendiamoci, negli anni scorsi le relazioni tra Forza Italia, Lega e M5S con il partito Russia Unita di Putin erano note, almeno agli addetti ai lavori, ma sinora l’aspetto ideologico era in secondo piano. Nel centrodestra le autorevoli posizioni di Marcello Pera hanno sgombrato il campo dagli equivoci, e non credo che Salvini e tantomeno Berlusconi strizzeranno più di tanto l’occhio a settori dell’elettorato che in nome di un pacifismo a senso unico vorrebbero sospendere gli aiuti militari all’ Ucraina. Ciò significherebbe dare ancora maggiore visibilità al processo di riconversione euro-atlantica e filo-ucraina di Giorgia Meloni che già spopola nei sondaggi.
L’elezione di Stefania Craxi al posto di Petrocelli è il segno che l’elemento più destabilizzante è la confusione e lo stallo nel M5S, dove nel campo della politica estera la confusione regna sovrana. Beppe Grillo nei giorni scorsi ha alzato troppo l’asticella proprio in tema di antiamericanismo. Grillo sembra ormai negare ogni distinzione tra tra democrazie e dittature, anzi, ancor peggio, tifare ogni giorno di più per queste ultime (per Mosca e Pechino).
Valerio Valentini ha ricordato su il Foglio che: “Grillo ospita sul suo Blog Torquato Cardilli, un autore che considera Di Maio un incapace e che paragona Zelensky a Hitler”. Non ho idea di quando, dove e come Beppe Grillo abbia conosciuto l’ambasciatore Cardilli.
Mi viene in mente una ipotesi di pura fantasia, ma a suo modo suggestiva: forse Grillo ha incontrato Cardilli a Tirana quando dirigeva l’ambasciata italiana il regime dittatoriale albanese (specie con il suo servizio segreto, il Sigurimi era la testa di ponte della Cina in Europa?).
Scherzi a parte, con ogni probabilità la postura filocinese di Grillo non ha niente a che fare con l’Albania. Resta il fatto che Grillo è bravissimo nel “cercare con il lanternino” i collaboratori più astrusi. L’ambasciatore Cardilli ha alle spalle una carriera diplomatica piuttosto tormentata non solo dai tempi di Tirana, ma anche successivamente in Arabia Saudita, da dove è stato richiamato in anticipo. Leggendo i suoi articoli sul Blog di Grillo sembra di tornare sessant’anni indietro, perché i suoi testi riecheggiano lo stile propagandistico dell’Unione sovietica anni degli anni ’60, prima della distensione.
Un altro personaggio eccentrico della corte di Grillo è il professor Fabio Massimo Parenti (docente a Firenze nella scuola privata Istituto Lorenzo il Magnifico in via Faenza); anche Parenti come Grillo è un altro accanito tifoso del regime di Pechino.
Che dire? Per comprendere il personaggio suggerisco ai lettori di Startmag di leggere due suoi articoli pubblicati sul Blog di Grillo. Nel primo nega il genocidio degli uiguri. Nel secondo tesse le lodi alla Cina per il contrasto al Covid-19 ignorando completamente i gravi ritardi accertati a Wuhan, i colpevoli errori di informazione nei confronti della OMS nonché le censure poliziesche ai medici che hanno caratterizzato le scelte del governo cinese nei primi e cruciali tre mesi della pandemia (novembre 2019- gennaio 2020).
L’ambasciatore Cardilli e il professor Parenti hanno il diritto di pensare quello che vogliono, ma l’endorsement dei loro articoli da parte di Beppe Grillo ha innescato un cortocircuito politico di notevoli proporzioni, di cui l’elezione di Stefania Craxi è una delle conseguenze. Beppe Grillo è il Garante del M5S e dal 22 aprile scorso ha anche sostituito Casalino come responsabile della comunicazione istituzionale del Movimento (incarico retribuito con 200000 euro all’anno). Per il Movimento 5 Stelle il problema Grillo esisterebbe anche se non avesse alcun incarico. Per molti aspetti, e ancor più dopo la scomparsa di Roberto Casaleggio, Beppe Grillo è una icona di cui il Movimento non può fare a meno senza rischiare – dopo l’emorragia – l’estinzione elettorale.
D’altra parte, una politica europeista e atlantica è incompatibile con l’antiamericanismo e (per quanto sia notoriamente abile ed esperto in mediazioni difficili) Giuseppe Conte non é in grado di rimediare. Il conflitto tra le posizione di Luigi Di Maio e di Beppe Grillo appartiene alla categoria di conflitti che tecnicamente si definiscono intrattabili.
Forse l’unica carta che Giuseppe Conte potrebbe tentare per salvare il Movimento 5 Stelle è quella di bilanciare il peso di Grillo con qualche entrata nuova puntando a trasformare il M5S in un soggetto più ampio creando una federazione con MdP, art1 .
Non so se il mio vecchio collega ed amico Pierluigi Bersani (che certo non è vicino a Mosca e a Pechino) se la sente. Se fosse disposto a provarci la pazienza non gli manca. In questi giorni ha lanciato l’idea, in verità un po’ fumosa, di superare la vecchia NATO e di creare una “NATO nuova” a maggiore trazione europea.
Un binomio di due grandi vecchi come Beppe Grillo e Pierluigi Bersani potrebbe essere la coppia di garanti di una nuova realtà politica, salvando il Movimento 5 Stelle dal naufragio e contemporaneamente tenendo viva la prospettiva del campo aperto lanciato da Enrico Letta.
Vedremo. Al di là delle aggregazioni e delle coalizione politiche, una cosa è più importante. Grillo o non Grillo, abbandonare gli ucraini al loro destino non sarebbe soltanto un tradimento politico e morale dei nostri valori di libertà e dello stato di diritto, ma in nome dell’antiamericanismo significherebbe aprire la strada dell’Italia ad una sudditanza euro-asiatica di cui la dipendenza energetica da Mosca e quella dipendenza digitale da Pechino hanno da tempo creato e premesse. Per questo le posizioni di Gianfranco Pasquino e di Marcello Pera rappresentano uno spartiacque su cui nessun leader politico italiano di sinistra e di destra può permettersi di tergiversare.
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