È una bella mattinata primaverile, siamo seduti nel dehors di un bar lungo la pista ciclabile. Larissa, aiutata della sua amica Svitlana che fa da interprete, racconta del dolore per la situazione che sta vivendo il suo paese. Dice che mai si sarebbe aspettata una cosa del genere nel terzo decennio degli anni duemila e soffre ancor di più perché di tutto questo è responsabile un paese a cui si sente vicina per le comuni origini slave.
La sua città, Luc’k una delle più antiche dell’Ucraina, è nella zona nord occidentale, non molto distante dal confine con la Polonia di cui ha fatto parte fino alla seconda guerra mondiale.
Sapeva delle tensioni e degli scontri nella parte orientale ma si sentiva abbastanza al sicuro, tanto che quella mattina in cui ha sentito in lontananza delle esplosioni aveva pensato fossero ragazzi che si stavano divertendo con dei petardi. Sono stati i vicini a raccontarle che l’aeroporto era stato bombardato, poi guardando la televisione capì che “era cominciato il tempo delle sirene e dei rifugi”.
Mentre molti suoi conoscenti valutavano la possibilità di rifugiarsi all’estero lei non era dell’idea di partire: si sentiva troppo avanti con l’età e non voleva abbandonare la sua casa. Racconta che però dei suoi amici che sapevano che aveva parenti in Belgio e in Italia le chiesero di aiutarli a trasferirsi in Europa Occidentale e così lei decise di accompagnarli in Italia.
Inizia quindi a raccontare l’odissea del viaggio che definisce “lungo e difficile”. Come molti loro connazionali si sono diretti verso la Polonia e hanno raggiunto la frontiera a Ustyluh dove c’erano tre posti di controllo, due in Ucraina e l’ultimo in Polonia. Le procedure dei controlli unita al numero delle persone da controllare aveva provocato code lunghissime e di conseguenza i tempi di attesa si erano fatti drammatici anche per il sopraggiungere della notte. Larissa per la stanchezza e il freddo aveva iniziato a tremare e a sentirsi male. Per fortuna i soccorsi sono stati rapidi: è stata fatta salire in ambulanza dove era attivo il riscaldamento e le è stato dato del tè caldo. A questo punto si ferma un attimo, si passa la mano sugli occhi diventati umidi e quindi riprende per elogiare la solerzia e l’umanità di quei volontari che, dopo che si era ripresa, non l’hanno lasciata andare via finché non sono stati più che certi delle sue condizioni. Si ferma ancora una volta e poi aggiunge che non li dimenticherà mai e sarà riconoscente per tutta la vita ai suoi “vicini polacchi”.
Il giorno seguente in pullman hanno raggiunto Varsavia da dove speravano di poter subito partire per l’Italia, ma la la mancanza di posti disponibili li ha costretti a dormire sul pavimento alla stazione centrale e poi, in attesa di trovare un volo per l’Italia, sono stati ospitati per due settimane da parenti dei suoi amici in una piccola città a una sessantina di chilometri dalla capitale.
Finalmente il 17 marzo sono arrivati a Milano, quindi hanno raggiunto il Ponente ligure dove vive la sua amica Svitlana e con il marito Stefano.
È contenta di aver riabbracciato dopo vent’anni sua cugina che dal Belgio è venuta a trovarla, spesso le capita di sentire persone che parlano la sua lingua, ci sono molti ucraini in zona, non sa come si trovino loro ma lei vuole tornare a casa, nella sua terra. Sa che nella sua città sono stati distrutti l’aeroporto, un deposito del gas e la torre della televisione, ma dice: “la vecchiaia, anche molto breve, è meglio viverla dove hai passato la giovinezza”.
Al mattino incontravo sovente lei e la sua amica e mi salutava con un ciao e un immancabile sorriso. Poi un giorno Svitlana era sola, ho chiesto come mai e ho così saputo che Larissa è tornata a Luc’k…
Buona fortuna, Larissa e grazie per la tua grande lezione di umanità. Un grazie anche all’amica Svitlana per la preziosa collaborazione.
(traduzione di Svitlana)
Enrico martelloni
È cio che è capitato a me andando a prendere la mia famiglia sul confine di Zahony in Ungheria con Chop in Ucraina. Il 18 marzo scorso. Ora solo mia moglie è rimasta con me. Figlia e nipote sono volute tornare a casa nonostante la guerra nonostante tutto.