Inorridisco al pensiero che una forza politica come il Partito Democratico si sia attivata per rimuovere, anzi peggio: per aggirare per via regolamentare un baluardo della Repubblica come il divieto di vincolo di mandato. Si tratta di una posizione che scaraventa sulla scena del visibile un’intera miriade di miseria intellettuale e politica. Una posizione buona per Fratelli d’Italia. Non per il PD.
In primo luogo, si tratta chiaramente di un fallo di reazione – il che tanto calcisticamente quanto cristianamente è più grave di un fallo (o di un peccato) d’iniziativa. È insomma una chiara somministrazione di un rancio povero e scadente a una muta di cani rabbiosi il cui primo obiettivo esistenziale è ormai evidentemente quello di farla pagare al Golem Matteo Renzi, anche con un calcio negli stinchi a gioco fermo, senza cioè nessun effetto positivo sullo stato delle cose.
In secondo luogo, la politica continua nell’errore di risolvere i propri problemi con strumenti non politici. Esiste il problema di un eccessivo trasformismo? Ebbene, se esiste, allora è un problema politico e deve risolverlo la politica con strumenti politici. È la politica e sono i partiti i luoghi par excellence delle scelte arbitrarie (NB: uso questo aggettivo in modo neutro, non dispregiativo), dei tentativi e delle missioni. Non il Parlamento, che è luogo d’indirizzo, di controllo, di garanzia e, ovviamente, di legislazione. Penalizzare un parlamentare perché cambia gruppo politico significa far entrare i partiti dentro le istituzioni, togliendo ai gruppi parlamentari una metà della loro anima: quella, appunto, squisitamente parlamentaristica, rispetto alla quale quella elettoralistica è solo un côte, una controparte che non si può mangiare il tutto. Lo suggerisco a favore di certi antifascisti militanti che vedono il fascismo dappertutto (tranne dove ce n’è traccia davvero, come nella riforma Bonafede sulla prescrizione): l’assenza di vincoli di mandato fu una delle grandi conquiste libertarie e democratiche della Costituente con cui si garantiva che nessun partito potesse ‘impossessarsi’ delle istituzioni e che ogni partito dovesse mantenersi sul piano del suo essere corpo, come si dice, intermedio, terzo cioè tra le istanze del popolo sovrano e le istituzioni repubblicane che devono raccoglierle e svilupparle. Aspetto, cari amici, sinceri antifascisti come il sottoscritto, che tiriate fuori al più presto le vostre bandiere e che mi diciate dove collocherete il primo banchino per la raccolta firme, ché vorrò essere tra i primi firmatari contro questa porcheria.
Infine, parliamo del diavolo che si nasconde nel metodo. Una proposta di siffatta rilevanza dovrebbe essere oggetto di una grande consultazione, almeno parlamentare, forse popolare, di rango costituzionale. Invece si intende procedere con uno scherzo da prete (e che i buoni pastori d’anime non si offendano per l’accostamento), modificando i regolamenti e costringendo il parlamentare che cambiasse gruppo a lavorare senza mezzi e senza collaboratori, praticamente a fare il parlamentare a mezzo servizio, disattendendo così in parte il proprio compito. Diciamoci un’ultima verità, schietta schietta: i partiti, in questo momento, non hanno nessuna intenzione di lavorare a una legge elettorale che permetta al cittadino di scegliere direttamente, con un metodo o con un altro (e personalmente sono un odiatore seriale delle preferenze, da ben prima di odiarle anche per averne prese poche), gli eletti in parlamento. Ed è in questo contesto che si colloca un barlume di coerenza della misura anti-trasformismo. Ad eletti – in larga misura – in liste bloccate non può esser concesso un eccessivo grado di libertà parlamentare, sembra essere il ragionamento. Sorvolo sul dibattito sulla legge elettorale. Restiamo al ragionamento, che ispira per mimesi il giudizio del ragioniere più famoso del cinema italiano circa la corazzata più famosa del cinema russo (la battuta non è mia, la pronunciò Gianni Cuperlo in un intervento in direzione o in assemblea Pd, peraltro per sostenere una tesi che per quel che vale non condividevo, ma la battuta resta leggendaria!). La legge elettorale, da un punto di vista latu sensu regolamentario e non tecnico, deve avere un solo requisito: essere costituzionale. Una volta vagliata la sua costituzionalità, ex ante o ex post, per via diretta o per via incidentale, essa diventa né più né meno del metodo con cui si elegge il parlamento. Lo status costituzionale dei parlamentari eletti, con questo o con quel metodo, non cambia al cambiare della legge con cui sono eletti, né nella forma né nella sostanza. Per modificare lo status costituzionale di un eletto in parlamento bisogna cambiare la Costituzione, ed avere la forza politica, il consenso e l’autorevolezza per farlo. Se un uomo ben attrezzato e ben equipaggiato come Enrico Letta quella forza non ce l’ha, passi la mano, e si concentri semmai sull’altro suo progetto, quello sì atteso a gloria, perlomeno dal sottoscritto: l’approvazione dello ius soli.
Infine, per interrompere più che per concludere: Covid-19… che ormai se non lo citi almeno una volta sei fuori dal mondo.
Mauro
Una fine disquisizione giurisdizionale è un ragionamento politico ineccepibile. La battaglia per affermare le proprie idee giuste i meno che siano vanno fatte alla luce del sole e con il coraggio di poterle cambiare non con i mezzucci o le vie traverse cui siamo abituati, purtroppo