Sta suscitando molte polemiche, all’interno del PD, il tentativo del segretario Zingaretti di candidare alle Europee, nelle liste del Partito democratico, esponenti di Mdp. Per alcuni, quelli che si oppongono alla scelta, non si può dare spazio a chi, ai tempi del referendum istituzionale, essendo ancora all’interno del partito, fece espressamente campagna elettorale contro e addirittura brindò alla sconfitta. Per altri, sostanzialmente la maggioranza che sostiene il segretario, bisogna invece dimenticare il passato e puntare a prendere più voti possibili nel tentativo di dimostrare a tutti di avere invertito la tendenza al ribasso. Se poi si riuscisse, visto il momento non favorevole che stanno attraversando i 5stelle, a superare nei consensi i grillini si otterrebbe un risultato che di per sé darebbe ancora più valore alla scelta fatta.
Come spesso accade c’è del vero in ognuna delle due posizioni. Con una differenza però. Zingaretti si interessa del breve periodo. Chi contesta la scelta guarda più in prospettiva. Imbarcare nelle liste i fuoriusciti di Mdp, anche per il significato politico del gesto, può portare un vantaggio in termini di voti perché potrebbe far recuperare consensi sul fronte della sinistra (salvo ovviamente vedere quanti poi ne farebbe perdere sul fronte moderato). Chi non è d’accordo, come Anna Ascani, sua è la critica al partito “punta non a vincere ma a perdere bene”, guarda invece al futuro e alle prossime politiche.
Fra le due posizioni, in termini di prospettiva politica, è indubbiamente più giusta la seconda. Il motivo è semplice. Se Zingaretti apre a chi a suo tempo è uscito dal partito contestandone la supposta svolta centrista, può riscuote un dividendo positivo nell’immediato ma crea un precedente che poi lo obbligherà alle politiche, in questo favorito anche dalla legge elettorale tendenzialmente proporzionale, a dare vita ad un’ alleanza che va dal centro alla sinistra, modello Ulivo per intendersi a cui, perché no?, potrebbero aderire anche i 5Stelle in nome della comune vocazione sociale e “statalista”. Quella scelta però, anche se ipoteticamente portasse alla vittoria, avrebbe al suo interno le condizioni che le impediscono di governare perché la sinistra tenderebbe a tirare la coperta dalla sua parte facendo perdere alla coalizione la maggioranza. E’ successo due volte con Prodi e succederebbe ancora. L’altra strada invece è più coerente, non facile ma obbligata. Presuppone di continuare sulla strada del rinnovamento del partito, in parole povere seguire la politica di Renzi anche senza Renzi. Per il PD non sarebbe facile nell’immediato, ma si creerebbero le condizioni per vincere, e governare, domani, e la cosa sarebbe anche più facile se si tornasse ad una legge elettorale tendenzialmente maggioritaria.
Con la politica del “nessun nemico a sinistra” il PD si accontenta di stare all’opposizione, con qualche parlamentare in più ma all’opposizione. Del resto quanto questa politica sia miope lo dimostra anche il caso di Firenze, una città importante, conosciuta in tutto il mondo, che vede uno degli ultimi sindaci PD. Ebbene, Mdp, nello stesso momento in cui chiedeva posti al PD per mandare qualcuno in Europa, sceglieva di presentare a Firenze un suo candidato sindaco facendo aumentare, e non di poco, le possibilità del centrodestra di conquistare l’amministrazione della città. E il tutto nel silenzio, rassegnato, del segretario del Partito democratico.
A molti può non piacere, ma con la politica dell’unità a sinistra il PD ha sempre perso. Ha vinto solo due volte quando ha iniziato ad aprire al centro ma, anche in quei casi la zavorra della sinistra-sinistra gli ha impedito di governare. Ha governato invece bene, quando ha cercato di portare avanti una politica di sinistra moderna, tendenzialmente liberal. Ma i nostalgici di un passato, bello e perdente, lo hanno affossato e hanno mandato al governo questa manica di pericolosi incompetenti. Ora, non paghi di quanto fatto, stanno lavorando per tenerceli il maggior numero di anni possibile.
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