Il memorandum per la Via della Seta che il governo giallo verde (Conte 1) ha firmato con la Cina contiene i seguenti passaggi: a) “Le parti ribadiscono la volontà di sostenere un sistema di investimenti libero e aperto”; b) le parti si impegnano “alla messa in opera di un level playing field”.
Ma sono stati rispettati questi impegni? A 5 anni di distanza questa è la domanda a cui l’ Italia deve rispondere prima di decidere se rinnovare o meno il memorandum sulla Via della Seta.
Sui due aspetti che ho citato la Cina non ha fatto alcun passo concreto; semmai un passo indietro con la legge sullo “spionaggio” entrata in vigore il primo luglio scorso.
Da molti anni le imprese cinesi possono muoversi liberamente in termini di acquisizione di aziende italiane (con l’ ovvia eccezione dalle operazioni di M&A per l’ industria della difesa) seguendo i principi di una economia internazionale aperta.
Le imprese italiane viceversa non possono muoversi con analoga libertà in Cina. Gli investimenti stranieri nel Dragone continuano, infatti, ad essere limitati a joint ventures in cui la componente straniera deve essere minoritaria e che sono iper regolate e condizionate dalla politica.
Ciò non significa che le imprese italiane non abbiano guadagnato, ma la loro posizione resta subalterna e con scarsi margini di manovra tant’ è che persino acquistare un appartamento è quasi una mission impossibile.
E questo mentre attività commerciali e interi pezzi delle nostre città vengono acquistati dalle comunità cinesi per non parlare della pervasiva penetrazione digitale del Dragone.
Questa perdurante asimmetria relativa al mercato dei capitali conferma che le promesse contenute nel memorandum (investimenti liberi e aperti e level playing field) non sono state realizzate.
In questo caso l’accusa di inaffidabilità a cui spesso ha fatto riferimento Francesco Sisci non può essere imputata agli italiani.
Dall’ ingresso nel WTO nel 2001 la Cina ha più volte dichiarato la volontà di integrarsi nell’ economia Internazionale, ma soprattutto dopo l’insediamento del Presidente Xi Ping si è sempre fermata alle soglie del grande passo.
A questo proposito un caso emblematico è quello di Morgan Stanley (fortemente esposta con la Cina) che recentemente ha spostato la sua attenzione verso l’ India.
E ancora di più JP Morgan che pur avendo ottenuto i permessi ad investire con maggiore libertà in Cina di fronte alla lentezza dei meccanismi e agli ostacoli pratici ora guarda al Giappone come area di maggiore interesse in Asia.
In questo contesto globale i negoziatori italiani dovrebbero spiegare ai loro interlocutori cinesi che l’ intenzione di non rinnovare il memorandum per la Via della Seta deriva dal’ impossibilità di metterlo in pratica.
Qualora Pechino decidesse di realizzare un vero level playing field l’ Italia non si tirerebbe certo indietro.
Non intendo sottovalutare l’ azzardo compiuto da Conte nel disallineare l’ Italia dagli altri paesi del G7, ma per come sono andate le cose la vera critica e’ che lo ha fatto senza che ne valesse la pena.
All’economia cinese nella attuale difficile congiuntura servirebbero consistenti investimenti stranieri, ma è improbabile che in pochi mesi si realizzi a Pechino la svolta che tutti gli operatori economici internazionali si aspettano da anni.
Vedremo; l’importante è che in materia di memorandum la diplomazia italiana chiarisca nel merito ciò che non ha funzionato.
L’ Italia come hanno già fatto altri paesi europei è pronta a cooperare sul piano bilaterale con la Cina come confermato da Giorgia Meloni.
Ma a mio avviso nelle attuali condizioni l’ Italia dovrebbe evitare di rinnovare il memorandum del 2019 perché contiene impegni che non si possono mantenere e in mancanza dei quali l’ Italia rischia di continuare ad essere terra di conquista.
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