Non c’è dubbio che Carlo Calenda, di tanto in tanto, abbia una buona idea e dia vita a qualcosa di positivo, nonostante la sua natura profonda di “picconatore” che, per esempio, lo ha portato a demolire il progetto del Terzo Polo con grande soddisfazione dei populisti di destra e di sinistra. La sua più recente buona idea è stata di chiamare a raccolta, sotto la statua equestre di Marco Aurelio nella piazza del Campidoglio, tutti i partiti e gli esponenti politici del nostro Parlamento per manifestare in modo compatto contro l’omicidio di Stato del dissidente russo Alexei Navalny, già da tempo recluso in un gulag di tipo sovietico situato oltre il Circolo polare artico.
Il suo invito è stato raccolto praticamente all’unanimità, che è il minimo sindacale per quei partiti che della democrazia e della libertà di espressione dovrebbero essere difensori, visto che i loro rappresentanti sono eletti democraticamente e giurano sulla nostra Costituzione. Avrebbe suscitato un’indignazione generale chiunque avesse detto di non voler partecipare perché sostenitore dichiarato di Putin, feroce dittatore in patria quanto determinato sterminatore dei civili ucraini.
Ma la domanda resta questa: erano tutti i presenti alla manifestazione romana sinceramente e idealmente nemici del regime russo (per favore smettiamola di chiamarlo “autocrazia” visto che è nei fatti una dittatura), e amici del dissidente assassinato e di quelli ancora vivi chissà per quanto?
E qui bisogna fare un po’ di distinguo e raccontare le cose che si sono viste nel corso di questi ultimi anni.
Partiamo dai partiti di governo. Diciamo subito che la presidente Meloni ha assunto posizioni chiaramente atlantiste ed europeiste, e questo le va riconosciuto, anche se ricordiamo benissimo che il suo partito fino all’altro ieri faceva propaganda contro l’euro, contro i corrotti tecnocrati di Bruxelles e contro la presenza nel nostro Paese dei militari USA, in nome del più miope e masochistico nazionalismo italiano figlio della cultura del Ventennio.
Della Lega si conoscono benissimo i legami formali ancora vigenti con Russia Unita, il partito di Putin; e si ricorda altrettanto bene la passeggiata del suo leader Matteo Salvini a Mosca con la t-shirt del dittatore, che provocò una vera e propria manifestazione di pubblico dissenso quando lui si presentò da ministro in Polonia. Ed è abbastanza comprensibile, quindi, che Massimiliano Romeo sia stato contestato a Roma da molti.
I Cinquestelle, che hanno sempre giustificato l’invasione del Donbass e l’occupazione della Crimea, sono forse i più filorussi di tutti: tanto è vero che durante il lockdown il loro attuale leader Giuseppe Conte, allora capo del governo, autorizzò la sfilata dei sanitari e dei militari di Putin in Italia come se fossero sulla Piazza Rossa.
Si potrebbe concludere con il migliore amico che Putin abbia mai avuto in Italia, Silvio Berlusconi, ma qui stendiamo un velo pietoso per rispetto dei morti.
Vogliamo parlare anche dell’opposizione di sinistra? In questo campo, anche se non troviamo i filorussi dichiarati, abbiamo però i neutralisti o sedicenti pacifisti: i verdi di Bonelli, gli estremisti di Fratoianni e persino una buona parte del Pd che hanno sempre premuto il freno a mano sugli aiuti militari all’Ucraina e mai, dico mai, hanno preso una posizione di incondizionato appoggio alla Resistenza dei patrioti ucraini. Perché – lo sappiamo bene – anche loro, un tempo, nelle piazze gridavano “Fuori l’Italia dalla NATO” e manifestavano contro gli “imperialisti americani, amici dei sionisti israeliani”. In verità molti continuano a farlo, quando partecipano ai cortei pro Palestina e pro Hamas.
Concludo dicendo che l’iniziativa della manifestazione romana per commemorare Navalny è stata sacrosanta, ma che non serve a niente urlare contro il dittatore russo se poi non si sostiene concretamente, inviando soldi e soprattutto armi, chi lo combatte e muore eroicamente sui campi di battaglia dell’Ucraina.
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