Algoritmi ed oracoli: due modi per guardare al futuro. Due approcci apparentemente opposti, a volte curiosamente compresenti. Una suggestione che ricavo da un recente bellissimo libro di Alessandro Vespignani, uno dei massimi esperti mondiali di epidemie e di reti sociali, che ha a lungo lavorato a Torino in ISI, uno dei più importanti istituti impegnato a dipanare la dinamica dei cosiddetti “sistemi complessi”.
Non credo che il futuro di Torino possa dipanarsi a partire da un facile algoritmo basato sul passato industriale e sulla storia della tecnologia, pur ancora forti e presenti nel tessuto cittadino. Temo ancora di più gli oracoli che predicano la divisione sociale, il rancore, la caccia a qualche nemico esterno su cui scaricare la colpa delle nostre difficoltà.
La realtà non è semplice e richiede una forte presenza di idee e -soprattutto- di persone animate da un forte spirito riformista, del coraggio richiesto per sostenere il cambiamento.
Il continuismo non paga.
In estrema sintesi: la ripresa dell’industria tedesca non garantisce automaticamente la ripresa delle commesse alle imprese del nostro territorio, il made in Italy, anche nella filiera alimentare, ha subito un duro colpo dalla chiusura e contrazione dei mercati, realtà turistiche come Venezia, Roma o Firenze riprenderanno quote di mercato maggiori di quelle che può attendersi il Piemonte.
Ovviamente temo ancora di più gli oracoli dell’intolleranza e del rancore: dobbiamo sapere che senza un rilancio della formazione a tutti i livelli Torino continuerà ad avere il più basso tasso di laureati del Nord Italia, che troppa occupazione è concentrata in un terziario di basso livello, che il mercato immobiliare segna una crisi che presumibilmente sarà aggravata dalla recente pandemia.
Torino conta più di centomila studenti universitari, che, insieme agli immigrati, costituisce una larga parte della presenza giovanile in una città che invecchia sempre più. La loro presenza ha utilizzato alloggi sostenendo il reddito dei residenti: cosa avverrà con attività accademiche che si svolgeranno, fino a marzo del prossimo anno, al 90% in via telematica?
Innanzitutto, allora, vanno sostenute le forme di sostegno al reddito di chi ha perso il lavoro o si trova in condizioni di marginalità sociale; questo doveroso sostegno deve favorire la solidarietà, contrastando l’isolamento cui ci siamo un po’ abituati.
E questo impegno di maggiore attenzione a chi ci è vicino deve affrontare un nodo da troppo tempo ignorato: la integrazione tra città e territorio circostante.
È necessaria la costruzione di una vera, operante, città metropolitana, dobbiamo poi collegarci ed imparare dalle aree più forti del Piemonte, a partire dal cuneese, infine dobbiamo fare patti veri con Milano e con Genova.
Nell’interesse di Torino, poi, ha un ruolo centrale il rilancio della nostra bellissima montagna, che non a caso dà il nome alla nostra regione. Il Piemonte, appunto.
In secondo luogo, bisogna favorire gli investimenti per permettere il rilancio delle attività economiche, delle imprese che rischiano di non avere futuro.
Penso che debbano essere considerati interventi rapidi, distribuiti, non carichi di burocrazia, volti a incentivare del formarsi di reti tra imprese, di dimensione media (30000- 300000 Euro) credibili nella gestione e che permettano la mobilitazione dei risparmi dei privati, delle famiglie.
In passato si sono distribuiti troppi soldi con grande polarizzazione: da un lato un sostegno, sovente senza ritorno, a quello che rimaneva del passato segnato dalla grande industria e dall’altra un disperdersi di piccoli interventi, sovente senza continuità. Oggi queste politiche non servono neppure più a rallentare il declino o ad assicurare il necessario consenso a sostegno di una tenuta della capacità di governo. Molti autori, tra tutti cito Beppe Berta, Mauro Zangola, Antonio Calabrò hanno di recente svolto, da diversi versanti, considerazioni a mio avviso convergenti e coraggiose.
Bisogna assumere una nuova leva di giovani competenti nei punti strategici della pubblica amministrazione: snellire ed accelerare le procedure dell’amministrazione locale, ricostruire una rete sanitaria territoriale efficace sapendo che c’è un enorme arretrato perché sono saltate le visite ordinarie già prenotate, sostenere la cultura, la creatività, la tutela dell’ambiente e del turismo, dare certezza al diritto. L’ età media di molti enti locali si avvicina sempre più ai 60 anni.
È possibile dare pieno utilizzo agli immobili e agli spazi, soprattutto pubblici, inutilizzati o sottoutilizzati. Il ritorno nell’impiego dei patrimoni pubblici va misurato a trenta anni e non a trenta giorni. Dare questi spazi a giovani, ad attività con contenuto sociale e culturale ne impedisce il degrado, ne sostiene il valore e permette un beneficio immediato per la comunità. Il rilancio del mercato, lo svilupparsi di nuove attività legali, è la premessa per poter ottenere, per il proprietario, sia esso pubblico o privato, una certezza di reddito anche se differita.
L’investimento nel futuro, a partire da un maggiore sostegno agli Atenei e alla Scuola di ogni ordine e grado deve essere, a mio avviso, il punto cardine nel futuro di Torino, la struttura sulla quale fondare da un lato la valorizzazione del nostro settore produttivo, nel quale i beni e le attività culturali svolgano un ruolo di rilievo, e dall’altra per far sì che il nostro territorio abbia una voce propria e autorevole nel processo di integrazione a livello mondiale.
Torino, le nostre grandi città non possono accettare che in grandi centri di ricerca collocati in Europa e dedicati allo sviluppo dei settori di punta vi sia una presenza rilevante, quando non addirittura maggioritaria, di giovani laureati italiani, cui abbiamo spiegato non solo che non avevamo lavoro per loro, ma che, a ben vedere, la loro presenza costituiva un peso per il nostro paese. Dobbiamo stabilire scambi di giovani, di ricercatori, su base paritaria.
Due ultime considerazioni, che riguardano sì la nostra Città, le nostre Città ma che richiedono una azione per stimolare l’iniziativa del Governo.
La Crisi Covid ha messo in rilievo, tra l’altro, la debolezza della nostra infrastruttura di rete. La fibra ottica che collega una scuola non serve, durante la crisi, se gli insegnanti e gli studenti sono a casa. Lo sforzo lodevole per realizzare teledidattica ha messo in luce fenomeni di aumento della diseguaglianza sociale e tra territori. Ha messo in rilievo che una rete telematica è davvero utile, è davvero tale, se permette a tutti di stare insieme, di continuare ad essere vicini. L’investimento in infrastrutture deve toccare tutto il territorio, tutti i ceti sociali e deve essere di qualità tale da permettere a tutti di essere non solo fruitori passivi ma generatori di contenuti “a larga banda”. La Sip (Società idroelettrica piemontese, poi Stipel e poi…Telecom) aveva a Torino il più grosso laboratorio europeo di Telecomunicazioni (lo CSELT con ben oltre mille dipendenti) e, nel contempo, assicurava una cabina telefonica pubblica (allora il top della tecnologia! ) in ogni comune di montagna, un telefono in ogni bar .
Non c’è ritorno dell’investimento, in un mondo segnato dai big data, per un paese senza reti capillari, veloci e che contengano una elevatissima capacità di calcolo.
Il tempo di raddoppio dell’informazione globale passerà, in pochi anni, dagli attuali 12 mesi alle 12 ore; le città devono governare questo processo di integrazione tra le reti fisiche, le persone, e le reti informatiche, così come in passato hanno governato le utenze più tradizionali.
Una seconda considerazione: il presidente dell’istituto sui sistemi complessi di Santa Fe poneva, prima della recente pandemia, come rischi per l’umanità al primo posto la crisi delle risorse idriche, al secondo il rischio di epidemie. Non dimentichiamolo.
Il virtuale non sostituirà il reale, dobbiamo pensare a una diversa organizzazione delle città, del territorio del rapporto tra chi lo abita. Diversa socialità, non solitudine.
Si tratta di azioni strutturali, già affrontate in passato, di fronte a emergenze generate dallo sviluppo; a Londra, sul nascere dell’industria e con il conseguente boom demografico, il colera era una patologia endemica.
La situazione è stata posta sotto controllo e il colera è stato cancellato spostando la captazione dell’acquedotto da valle a monte dello sbocco sul Tamigi della rete fognaria.
Ma una diversa organizzazione delle città richiede che la classe dirigente sia credibile e che gli italiani trasformino i risparmi, accumulati a tutela di un futuro oscuro, in investimenti per un nuovo rinascimento. Quindi né algoritmi né oracoli, ma una politica riformista collettiva.
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