Sulla Nuova Venezia del 28 ottobre u.s. Paolo Costa ha garbatamente (nei modi, ma nella sostanza è stato tranchant) proposto molti interrogativi sul ruolo di UNESCO nel rapporto con Venezia che meritano assolutamente di essere ripresi e commentati. L’articolista del quotidiano ha titolato l’intervento “UNESCO sotto esame a Venezia” e ha direi felicemente colto il senso preciso del messaggio che Costa trasmette (che, modestamente e certo non con l’autorevolezza dell’ex Sindaco, sosteniamo da tempo in questa testata).
Nientemeno che UNESCO, la prestigiosa istituzione che da anni dispensa giudizi, richiami, moniti, ultimatum e penultimatum, prescrizioni e minacce agitando lo spettro del possibile inserimento della città nella famigerata Lista dei siti Patrimonio dell’Umanità a rischio. Perché anche UNESCO sotto esame? Perché, secondo Costa (e noi con lui), ha smarrito lo spirito preciso del suo “Rapporto su Venezia” del 1969 in cui si delineava l’obiettivo di salvaguardare non solo il patrimonio monumentale, artistico e culturale della città ma anche i suoi abitanti, perché salvaguardare Venezia non significa solo preservare pietre e palazzi ma anche perpetuarne lo status di comunità di persone viva e vitale, l’identità di città completa e vissuta. E per salvaguardare appunto lo status di città compiuta è condizione necessaria il mantenimento e anzi lo sviluppo delle possibili economie alternative al moloch invadente del turismo ovvero in primis i tutelare e sviluppare l’economia portuale e la vocazione industriale di Porto Marghera. Tutto il contrario invece della postura che progressivamente ha assunto UNESCO avallando l’idea, errata, che la laguna di Venezia sia un bene naturale e non un bene costruito dall’uomo. Una estensione che ha portato alla conseguenza burocratica di pareggiare il valore della città con quello della Laguna, alterando la gerarchia storica che ha sempre visto la laguna a servizio della città (in corsivo le parole dello stesso Costa). E, a proposito di impostazione burocratica, è stato del tutto insensato includere la Terraferma nella buffer zone della città storica con l’effetto di estendere alla terraferma lo stesso immobilismo imposto alla prima, vincolandone lo sviluppo urbanistico e arrivando financo all’incredibile sciocchezza di sindacare sull’altezza degli edifici in terraferma perché turberebbe lo skyline dalla Venezia storica. Al contrario, il concetto di salvaguardia va inteso in senso olistico, considerando anche le opportunità di sviluppo delle attività economiche ‘altre’ rispetto al turismo e quindi le prospettive di vita e di attrattività del luogo. Esattamente il contrario della logica di pura conservazione che sembra stia a cuore di UNESCO, che approccia Venezia (intesa con una perimetrazione insensatamente estesa) con le stesse modalità di un sito archeologico.
Mettendoci nei panni di UNESCO, riconosciamo che, comprensibilmente, l’autorevole organismo risponde all’interesse primario del suo stakeholder, la comunità internazionale, ovvero preservare fisicamente la città perché questa possa essere visitata e goduta dagli abitanti del pianeta da qui all’eternità. Molto meno interessano al mondo i destini della città e dei suoi abitanti; questa è la “contraddizione insita nella politica” UNESCO di cui lucidamente parla Costa.
Ma se questo approccio, pur ribadiamo profondamente sbagliato, è comprensibile dal punto di vista di UNESCO, non è affatto razionale (anzi, a nostro parere del tutto ingiustificato) sdraiarsi acriticamente su queste posizioni da parte dei cittadini e degli abitanti perché, evidentemente, ci interessa punto che il resto del mondo si possa godere in eterno di pietre e palazzi se Venezia perde l’anima e diventa un parco disabitato (torniamo appunto allo spirito del Rapporto del 1969).
L’intervento di Costa ha il grande merito di porre sul tavolo una questione decisiva e squisitamente politica per il futuro di questa città che non potrà non essere al centro del dibattito per le prossime Amministrative e di cui la postura nei confronti di UNESCO è in qualche modo la cartina al tornasole. Perché l’obiettivo di conciliare virtuosamente e perseguire contemporaneamente la sostenibilità ambientale e quella socio-economica è il tema centrale di ogni discussione sul futuro possibile di questa città (intesa nel senso più esteso) ed è auspicabile che sia il punto principale del dibattito pre-elettorale dei prossimi mesi. Dove, è abbastanza chiaro ma è il caso di ribadirlo con chiarezza, per sostenibilità socio-economica si intende una condizione stabile di una città che produca, che abbia un’economia diversificata e vitale, che generi posti di lavoro qualificati, una città che sia attrattiva, che possa dirsi “capitale”, perché presenta tutte o quasi le funzioni direzionali e centrali dell’area vasta (almeno regionale se non macroregionale) e i poli di convergenza delle reti infrastrutturali alla medesima scala. Ovvero: NON una città di camerieri e affittacamere la cui economia si basi esclusivamente sul turismo (che, beninteso, resta una fonte di attività irrinunciabile). Chiamerò nel prosieguo, per sintesi, questa questione della doppia compatibilità.
Ora, qual è il posizionamento dei diversi schieramenti in tema di doppia compatibilità? Dalle parti del centrodestra, sappiamo già, con discreta approssimazione, cosa aspettarci. Ovvero una sostanziale continuità con l’attuale Amministrazione (nonostante l’uscita di scena di Brugnaro). Non entriamo nel merito, né dei (molti) limiti dell’operato dell’attuale Giunta né delle cose buone intraprese (ci sono anche quelle). Quale che sia il giudizio sugli ultimi 10 anni, credo che oggettivamente si possa dire che da un’eventuale amministrazione dello stesso colore politico dell’attuale, ci si può aspettare una gestione dell’esistente più o meno efficace, più o meno oculata ma certamente non un salto di qualità, non la consapevolezza dell’urgenza di un cambio di passo, dell’assumere una visione strategica e ambiziosa appunto in direzione della riconquista del ruolo di Capitale. E meno che meno una città che abbia come stella polare la vita e gli interessi della generalità dei suoi residenti (meno che meno gli eroici superstiti in centro storico). E, opinione del tutto personale, qualsiasi candidato Sindaco che il centrodestra saprà produrre sarà verosimilmente peggio di Brugnaro.
Più problematica la variegata galassia dell’attuale opposizione. Sulla quale la sfida implicitamente posta dall’articolo di Costa cade come il classico sasso nello stagno e costituisce una questione dirimente, direi perfino identitaria, e in prospettiva un vero e proprio bivio, una sliding door che segnerà il futuro prossimo venturo.
Perché la questione “va contropelo” a tutto un mondo che per sintesi chiamiamo ambientalista spinto (NB: a cui NON appartengono tutti gli ambientalisti, perché molti di questi colgono l’urgenza e si fanno carico della doppia compatibilità) che guarda a UNESCO come a un faro, che ha fatto di tutto in questi anni affinché Venezia entrasse nella Danger List (e resta un mistero quali strabilianti aspettative si nutrano se questo mai accadesse), che considera lesa maestà qualsiasi scavo in Laguna, che si oppone al Piano Morfologico della Laguna, al Protocollo Fanghi, che si è opposto al MOSE (e che continua, con incredibile faccia di bronzo, a dire che avevano ragione loro), che ha tempo e competenze per leggere in filigrana e fare l’esegesi di qualsiasi delibera, documento, pronunciamento, legge che sia del Comune, dello Stato.. fino all’ONU, sempre pronto a scatenare ricorsi al TAR, a chiamare a raccolta contro la compromissione di un delicato equilibrio idrogeologico, a denunciare la messa a rischio di imperdibili testimonianze di valore storico inestimabile (anche se si tratta di rovinassi), il deturpamento di un paesaggio, uno skyline, un reperto imperdibile, una reliquia, un cimelio del passato. Insomma che si tratti di un recupero che non sia totalmente conservativo, della bretella ferroviaria per l’aeroporto, di un edificio in terraferma sviluppato in altezza, dello scavo di un canale in laguna anche solo per il ripristino della batimetria.. qualsiasi cosa, ma proprio qualsiasi, la postura è un NO inappellabile. Se poi si parla di economia, di sviluppo industriale, di denari, di finanziamenti privati (che per essere attratti devono avere il giusto riconoscimento), peggio che mai: parte, in un riflesso pavloviano, la recriminazione e la denuncia indignata degli oscuri interessi del business. Uno zoccolo duro e radicale che incarna una posizione politica che, ovviamente, è del tutto incompatibile con qualsiasi velleità di conciliare le due sostenibilità di cui sopra. Salvo essere in prima fila, con stridente paradosso, nel denunciare la deriva dell’overtourism, della monocultura turistica, della perdita di attrattività e di abitanti, del declino della città (segnatamente quella d’acqua), ovvero proprio i fenomeni a cui l’unica possibile risposta pro-biotica (ovvero la proposizione di un’alternativa reale e fattibile, non semplicemente una serie di divieti e limiti) è la politica di sviluppo economico e pure industriale che essi aborrono.
Va detto che si tratta di una frangia meno numerosa di quanto a uno sguardo superficiale appaia, sia perché è mediaticamente sovraesposta (e abilissima a far parlare di sé) sia perché ingigantita nella percezione collettiva da molte prese di posizione frutto in realtà di posizionamenti tattici, di propaganda funzionale a dare contro al Sindaco (che da parte sua fa di tutto per bruciare il minimo afflato di dialogo con l’opposizione) con un intento di rendita politica più che frutto di convincimento ideale.
Sta di fatto che questo mondo pur, ripeto, meno consistente di quanto generalmente si creda, gioca la sua partita nel campo del centrosinistra e tende (legittimamente, s’intende) a condizionarlo. Anzi, a dettare la linea. Con l’argomento principe (molto gettonato anche a Roma) dell’unione di tutta l’opposizione, della necessità di una Grosse Koalition per sconfiggere Brugnaro e i suoi epigoni e in generale la Destra. E da qui l’evocazione di un candidato unico da scegliere tramite primarie, l’elaborazione di un programma unitario (che naturalmente tenga fermi i paletti del NO a tutto). E qui, precisamente, sta la sliding door di cui sopra: se il centrosinistra (e, per forza di cose, la patata bollente è in mano al PD) si accomoderà nella stanca e un po’ retorica mistica del “tutti dentro”, se la proposta del centrosinistra sarà un programma giocoforza sbiadito per tenere dentro tutti, soprattutto senza toccare i fili scoperti della conservazione pura e semplice.. inutile sperare nell’inversione di rotta e nel cambio di passo per questa città. E si lascerà cadere quella che forse è davvero l’ultima possibilità di riuscirci. Se viceversa saprà farsi carico responsabilmente di accogliere la sfida di scommettere sulla città futura, con scelte coraggiose e eccentriche rispetto alla comfort zone della protesta trita e ritrita, se saprà affrancarsi dalla visione UNESCO di cui sopra e avrà il coraggio di concepire e fare scelte coraggiose in favore di un’economia “di pregio”, accompagnandole a politiche finalizzate ai residenti vecchi e nuovi.. allora questa città avrà un futuro anche per le prossime generazioni.
Qualcosa mi dice che è lecito essere moderatamente ottimisti.
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