Come il mercato dell’arte internazionale abbia reagito allo “tsunami” del Covid-19 e quali siano stati i cambiamenti più significativi e i presumibili effetti durevoli in futuro, sono stato oggetto di analisi della ricerca che ho presentato con gli amici di Deloitte la scorsa settimana. Qui per scaricare il report: https://www2.deloitte.com/content/dam/Deloitte/it/Documents/strategy/PrivateBrochure/Art&Finance_Report2021_Deloitte.pdf
Ammetto che il tema del mercato dell’arte mi appassiona ormai da numerosi anni ed è oggetto di mie periodiche pubblicazioni: lo studio dei “luxury goods” offre infatti sempre interessanti chiavi di lettura soprattutto in periodi economici recessivi.
Arrivo subito alle conclusioni. La crisi socio-economica da pandemia ha accentuato le difficoltà di un mercato che già nel 2019 si era contraddistinto per alcuni tangibili segnali di rallentamento: nel mercato delle aste si era palesata una ridotta disponibilità di opere “top quality” e una contestuale cautela dei collezionisti nelle fasi d’acquisto. Il combinato di questi due elementi aveva già determinato un rallentamento nei fatturati dell’arte figurativa(segmento che oggi pesa quasi i ¾ dell’intero mercato delle aste), ma anche del mercato degli altri passion assets (gioielli&orologi, fotografia, design, vini pregiati etc..). Un trend in controtendenza rispetto agli altri mercati regolamentati che avevano invece brillato nel 2019. Questa situazione, sommata alla estrema volatilità insita del mercato stesso, hanno determinano due conclusioni che amo rimarcare spesso: il mercato dell’arte non risente (ovvero non è correlato) all’andamento degli altri mercati e soprattutto…no, l’arte non è un bene rifugio, non avendo la caratteristica di mantenere il proprio rendimento pressoché costante nei momenti di grande trambusto (volatilità per essere più tecnici) dell’economia.
Lo scoppio della pandemia ha però messo in pausa la realtà nel settore dell’arte e della cultura: gallerie chiuse, fiere cancellate, aste posticipate, network relazionali tra collezionisti azzerati. Un mondo che basa il suo successo sulla presenza fisica e tradizionalmente non è mai stato troppo votato all’innovazione, si è scoperto di colpo fragile. E i numeri sono piuttosto impietosi, nel mercato delle aste, rispetto al 2019, il calo del fatturato complessivo (aste online + aste live comprese nel campione di ricerca) è stato del -34,1% per il settore della pittura e -22,5% a/a per il comparto degli altri Passion Assets. Ma ad azione corrisponde reazione. E il mercato ha saputo reagire.
La prima novità è stato il ricorso (obbligato) alle aste online, cresciute del +204,8% nell’anno e concentrate soprattutto nel secondo semestre. Lepiattaforme virtuali, nonostante l’importanza che hanno rivestito e tuttora rivestono, si sono tuttavia rivelate solo parzialmente in grado di sostenere il mercato: la componente fisica nell’esperienza artistica, ivi inclusa la partecipazione a mostre, fiere e aste di settore, è spesso imprescindibile.
La seconda novità è stato il ricorso a nuove strategie e nuovi strumenti per stimolare la domanda di beni da collezione: le case d’asta hanno stravolto il tradizionale calendario d’asta, alcune hanno riorganizzato interi dipartimenti, altre hanno accresciuto la eterogeneità dei beni proposti in asta.
Tra le novità più efficaci, è giusto citare “l’asta ibrida”, che prevedendo la presenza di un banditore (collegato in remoto) è stata capace di ricreare il clima di una normale asta, con molti specialisti collegati da altre sedi internazionali della casa d’aste e i collezionisti connessi in streaming. E i numeri, soprattutto del secondo semestre, hanno fatto tirare un sospiro di sollievo agli operatori e hanno mostrato una grande capacità di resistenza da parte del mercato. Anche in situazioni di grande stress.
Non sono mancate neppure le trovate di marketing: oltre ad aver proposto svariati oggetti appartenenti a noti personaggi del mondo della musica o dello sport, una casa d’asta ha battuto un Tyrannosaurus Rex South Dakota, (asta di arte contemporanea di Christie’s di inizio ottobre), per 31,9 mln di $.
Già. Un dinosauro: poco in carne, ma molto in ossa.
Qualcuno ha visto nella operazione un tentativo di tornare ai fasti di un mercato che nel solo 2017, (4 anni che sembrano un secolo fa) applaudiva meravigliato o forse sbigottito per l’aggiudicazione record di un dipinto di Leonardo (Salvator Mundi). La giustificazione dell’allora direttore generale di Christie’s sulla ragione di inserire un dipinto antico in un’asta di contemporaneo fu che “come Leonardo influenzava gli artisti del tempo, oggi continua ad influenzare gli artisti contemporanei”. Mutatis mutandis, sarebbe interessante capire che ascendente abbia allora lo scheletro di un dinosauro sull’arte contemporanea e sul fenomeno recentissimo della crypto-art.
Ma questo lo scopriremo, (se vorrete), nella prossima puntata…
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