Il libro è “Solo” (Mondadori) dell’amico, e compagno, Riccardo Nencini. Ed è la Storia di Giacomo Matteotti. Una storia che già conoscevamo. Era già catalogata nel nostro archivio personale. Certo non la novellina che ti è stata raccontata a scuola, quella era davvero poca cosa. Ma le letture successive da militante della politica e da cultore della storia patria.
Cosa c’è di più in questo libro? Ci sono tre cose che ho trovato di particolare interesse. Intanto la storia dell’uomo Giacomo Matteotti. Gli eventi visti immedesimandosi nella sua testa, nei suoi pensieri. Nella sua percezione dei fatti. E lì viene fuori un uomo splendido. Combattente, politicamente intelligente e risoluto, fino alla morte, nel suo ruolo nel contrastare la dittatura fascista. Convinto che, anche di fronte al potere assoluto e alle scorribande dei bravi fascisti, dire la verità, scoprire e denunciare i soprusi e le nefandezze di Mussolini e del regime, in Italia e ancor di più all’estero, poteva avere un qualche significato di lotta e non solo di testimonianza. Molto bella e toccante la lotta interiore dell’uomo votato alla politica, come missione e direi quasi come destino, e per questo distolto dalla sua vita interiore e quotidiana con la famiglia. In primo luogo la moglie Velia, una donna stupenda sempre combattuta fra il suo appoggio incondizionato alla figura e alle gesta del Matteotti politico di razza, e il distacco e il dolore per non poterselo godere come uomo, come marito e come padre dei propri figli. Appunto e i figli. Appena abbozzati come presenza nella vita di Giacomo Matteotti. Poco vissuti, poco conosciuti. E alla fine abbandonati in un epilogo drammatico, difficile da accettare.
Molto toccante anche la vicenda di Giacomo Matteotti nei rapporti con la politica di quegli anni. E che dà, in qualche modo, fondamento al titolo del libro. La solitudine di un uomo che combatteva il fascismo ma non dentro gli scemi del pensiero comunista o massimalista, spesso più attratti dalla rigidità ideologica che dalla flessibilità della politica quotidiana, ma dentro lo schema di quel socialismo che oggi definiremmo riformista intransigente nella difesa dei più deboli ma più attento all’adattamento della politica alle condizioni esterne. E l’avvento della dittatura è per Giacomo Matteotti il “fatto nuovo” che deve essere contrastato con tutti i mezzi e non l’epilogo scontato della crisi del capitalismo e come tale, quasi salutato, come chiarimento della storia. Nella solitudine di Matteotti non colpisce l’avversione e la violenza dei fascisti. Anche la vigliaccheria e la nullità umana dei “piccoli uomini” di cui si circondava il Duce per mantenere saldo il suo potere nei territori. Ma colpisce il distacco, anche umano, dei compagni comunisti e massimalisti. Anche Gramsci, che molti di noi hanno amato e proficuamente studiato nel proprio percorso formativo, appare sterile nelle sue critiche. Ed emerge come una figura “meno bella” di quella che ci è stata tramandata dalla storia “main stream” del movimento operaio.
Ed infine Mussolini, la dittatura fascista, gli intellettuali sostenitori e lo Stato Borghese liberale. Nulla di nuovo rispetto alla storia che abbiamo studiato. Lo stato liberale, imbelle e oramai alla fine nelle strutture e negli uomini, apre praticamente le braccia a Mussolini, al fascismo e alla dittatura. Lo sapevamo. Ma vedere la cronaca, e non la storia, dell’avvento della dittatura e del suo affermarsi nei territori del paese fa una certa impressione. Violenze fisiche e psicologiche aberranti tollerate dalle forze dell’ordine, uccisioni vigliacche fatte da bravi sguinzagliati nei territori e pressioni di ogni tipo fatte sugli avversari politici danno una immagine dell’Italia borghese che apre al fascismo meno edulcorata. E richiamano quel mondo borghese, fatto di agrari, imprenditori e intellettuali, ad una forte responsabilità. Un conto è accettare una dittatura che, si pensa, rimetterà in ordine il paese dal caos del dopoguerra e delle lotte operaie. Un altro è chiudere gli occhi di fronte alla violenza quotidiana e al sopruso come sistema perpetrati di fronte agli indifesi. E allora Croce e Malaparte, solo per citarne due, che non battono ciglio di fronte al terribile assassinio di Giacomo Matteotti sono l’emblema di quella parte di società italiana che di fronte all’inferno ha preferito guardare da un’altra parte. Forse non aver fatto i conti fino in fondo, in primo luogo in termini culturali, con questa responsabilità della borghesia italiana ha in parte compromesso la costruzione, dopo la caduta del fascismo, di un vero, nuovo, patto sociale fra le grandi componenti politiche, sociali e culturali del paese.
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