Con la mia famiglia italo-svedese abbiamo sempre vissuto e lavorato a Firenze. Da giugno 2020 abbiamo ritenuto di spostarci temporaneamente a Stoccolma – pur con grandi sacrifici. Lo abbiamo fatto soprattutto per garantire una vita scolastica e sociale normale ai nostri figli. Come facciamo noi genitori, proviamo a mettere al primo posto la salute mentale dei propri figli, se possibile. E noi due, potendo lavorativamente farlo, lo abbiamo fatto, pensiamo con successo. Tra poche settimane torneremo a casa nostra definitivamente.
Fin dall’inizio dell’epidemia, non siamo stati interventisti del lockdown duro e siamo rimasti molto spaventati dal diffuso consenso di molti ad un tale livello di severità, intravedendo il rischio che il superamento di così tanti limiti avrebbe avuto gigantesche conseguenze psicologiche e quindi politiche per lunghissimo tempo. Abbiamo invece sempre ascoltato l’avviso scientifico delle agenzie di sanità scandinave, che hanno ispirato l’azione dei governi nordici per politiche di contenimento dell’epidemia ben più caute, immensamente meno costose per le tasche dei cittadini e le finanze pubbliche, e soprattutto – ora lo possiamo dire – perfino più efficaci nel contenimento dell’impatto del covid sulla generale mortalità annuale in eccesso. (Nella classifica di questo fondamentale indicatore, la Svezia è fra i migliori paesi europei sia nel 2020 che nel 2021, come verificabile su Eurostat, l’ufficio statistico ufficiale dell’Unione Europea).
I leader scandinavi non hanno attuato politiche anticovid draconiane, interminabili e dai costi titanici. In questo approccio soft, lontanissimo da quello italiano, quello svedese si è distinto per essere anche più leggero. Ciò è stato possibile pure in un’area metropolitana molto grande e densa come quella di Stoccolma, la più grande città della Scandinavia, dove fa freddo quasi tutto l’anno, si vive molto al chiuso anche d’estate e si utilizzano moltissimo i mezzi pubblici, tanto sviluppati quanto usati e affollati. La vita media è pari a quella italiana. C’è una diffusissima cultura delle case di cure per gli anziani. Insomma, tutti fattori svantaggiosi rispetto ad un’epidemia di covid, infatti la malattia ha colpito duro, per quanto un pò meno di altre capitali europee che hanno usato restrizioni ben più dure. Giova ripeterlo: dopo due anni, in Svezia, la mortalità in eccesso è una delle più basse in Europa, e ciò pure nonostante il peso della grande area metropolitana della capitale sul totale della popolazione. Inoltre anche qui è stato rilevato che la normale influenza stagionale è praticamente scomparsa in questi due anni (senza mascherine).
Siamo testimoni del fatto che in Svezia le poche raccomandazioni che ci furono, vennero scarsamente rispettate dalla popolazione. Vivendo qui a Stoccolma, è sempre sembrato tutto completamente normale, anche tutto l’anno scorso e quello precedente, una metropoli particolarmente viva e affollata in tutte le sue attività, anche se le persone del posto ci hanno spiegato che in realtà c’erano un pò meno flussi di gente del solito durante l’inverno e per alcuni mesi ci sono state delle restrizioni: restrizioni che non vi sto nemmeno a riepilogare data la loro leggerezza, brevità e scarsissima applicazione. A Stoccolma la routine e il tempo delle persone, le relazioni interpersonali e la fiducia per le attività sociali e di lavoro di ogni tipo non sono state mai sconvolte. Inoltre, successivamente, mentre la campagna vaccinale raggiungeva un buon ritmo, il tema covid scompariva via via dall’agenda dei media.
Anche durante le fasi più dure dell’epidemia, abbiamo visto che gli svedesi sono stati essenzialmente un popolo “indisciplinato” e in realtà poco incline al rispetto delle raccomandazioni anticovid. Però sarebbe sbagliato accusarli di essere stati “presuntuosi” nella lotta al covid. Non si può infatti che gioire del loro successo. C’è da aggiungere che quassù l’inflazione sul costo della vita è ora molto più bassa perché il lavoro, la fiducia e le relazioni sociali ed economiche non sono stati rovinati da estreme ed onerose misure anticovid. Ora loro hanno pure le spalle larghe per affrontare le gravi conseguenze umanitarie ed economiche seguenti alla terribile guerra in Ucraina. Non arrivano a questo appuntamento con la storia impoveriti e sfiancati.
E poi le scuole… In questi due anni a Stoccolma abbiamo potuto garantire il completo diritto all’istruzione e all’attività fisica dei bambini, considerando noi rischiosi per la salute mentale dei giovani i severissimi protocolli sanitari, le chiusure e le quarantene domiciliari di classe cui sono stati sottoposti i bambini e i ragazzi. In Italia purtroppo il covid è infatti diventato un pensiero continuo per tutti gli studenti attraverso la incessante presenza delle “regole” ogni singolo secondo della giornata scolastica: il non vedersi in faccia, il dover stare distanziati, l’uscire “in sicurezza” in cortile scaglionati per classe e in mini settori assegnati all’interno di “bolle” durante tutta la giornata, gli obblighi a stare quasi sempre seduti nell’aula senza sgranchirsi, a portare cibo e acqua da casa, ad andare a mense scaglionate e distanziate, le quarantene a casa senza poter uscire, la didattica a distanza, e così via, chi più ne ha più ne metta. Molti genitori sanno benissimo di che si parla, ne hanno visto e ne sentono le conseguenze sui loro figli. Chi non ha figli in età scolare, difficilmente può capire quello che sta avvenendo su molti giovani. Noi da Stoccolma lo vediamo lucidamente, avendo sempre potuto comparare quello che succedeva. Qui a Stoccolma non ci sono mai state regole “per precauzione” non utili alla felicità psicologica, al benessere fisico e quindi all’apprendimento degli studenti. Ad esempio, non ci sono mai state, non ci sono – e quindi non ci saranno mai – le mascherine ai giovani, mascherine che qui sono state assenti nelle scuole di ogni ordine e grado, nemmeno per il personale e nemmeno all’università. Come noto, noi italiani siamo tra i paesi europei che le hanno messe nelle scuole per più tempo e pure ai bambini sotto i dodici anni. Indossate peraltro davvero e severamente tutto il giorno. E ancora si continua.
Per intenderci, rimpiangiamo le scuole pre-covid italiane che abbiamo personalmente sempre giudicato come buone per i nostri figli. Non possiamo ignorare però che la quotidianità dei bambini alle elementari, ma anche alle medie e al liceo, è stata ed è ancora inquietante se paragonata alla scuola normale che esisteva prima. Meglio scuole “in presenza”, certo, ma erano proprio necessari le lunghe chiusure e protocolli così duri? Guardando a quello che è successo, succede e alle scelte fatte in varie altre democrazie, a questo punto direi senz’altro di no. Del resto, sono passati due anni e i conti ormai si possono facilmente fare. Sarebbe bello che tutto questo fosse oggetto di un dibattito scientifico e parlamentare sereno e dai toni pacati. E’ vero che il successo dei paesi nordici può mettere in discussione il “modello italiano” di lotta al covid, ma potremmo comunque farci delle domande, abbracciare il dubbio e magari trarre delle indicazioni utili soprattutto per il presente e per il futuro.
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