Sono quattro i “momenti significativi” di un Governo. Il capo, Presidente del Consiglio, i suoi collaboratori, i Ministri, il Programma e infine l’Operatività.
Ad oggi, dopo la prima sessione della fiducia in Senato, abbiamo davanti i primi tre momenti. E possiamo già dare un giudizio complessivo. In attesa del “quarto momento” che sarà ovviamente il più importante per le sorti del paese.
Sul primo punto, parafrasando un vecchio refrain di Carosello, “basta la parola”. Sul nome di Draghi non c’è nulla da dire di più se non bene. Alto profilo tecnico e, insieme, alto profilo politico. Non si governa la Bce con un taglio keynesiano dentro la culla dell’ordoliberalismo tedesco se non si ha un’alta capacità politica oltre che ad una forte levatura tecnica.
Sul secondo punto, la squadra di Governo, molto è stato detto. Non adeguata alle aspettative, frutto di compromesso, dal Governo dei migliori al Governo dei partiti. Penso che siano critiche ingiuste. La squadra è certo un compromesso fra tecnica e partiti ma inevitabile se si vuole che il Governo abbia un appoggio non dico incondizionato ma almeno senza rancori da parte dei partiti. Anche perché concordo con quanto ha detto Draghi nella sua presentazione “Si è detto e scritto che questo governo è stato reso necessario dal fallimento della politica. Mi sia consentito di non essere d’accordo. Nessuno fa un passo indietro rispetto alla propria identità ma semmai, in un nuovo e del tutto inconsueto perimetro di collaborazione, ne fa uno avanti nel rispondere alle necessità del Paese, nell’avvicinarsi ai problemi quotidiani delle famiglie e delle imprese che ben sanno quando è il momento di lavorare insieme, senza pregiudizi e rivalità”.
E’ visibile nella scelta della squadra un nucleo tecnico forte per la programmazione e la gestione del NGUE, con Draghi in testa e quindi Colao, Cingolani, Franco e Giovannini. E sono altrettanto presidiate le due aree di maggiore importanza per la gestione di due dei punti più critici della precedente compagine governativa. E cioè la Scuola e la Giustizia con Bianchi, Messa e Cartabia. Sulla sanità è stata fatta la scelta continuativa. E’ uno dei punti più discussi sia per l’importanza del tema sia per la non unanime valutazione sui risultati del Ministro Speranza. L’impressione è che su questo tema, a cui si aggiunge la politica estera, l’indirizzo del Presidente del Consiglio sarà forte e chiaro. In tal modo recuperando anche quegli elementi di criticità fino ad oggi evidenziati. Alcuni passaggi dell’intervento di Draghi vanno in questa direzione: la messa da parte del progetto Primula, il recupero di ruolo della Protezione civile e dell’esercito e l’allusione a dotarsi di vaccini anche attraverso la produzione all’interno del paese.
Quindi alla fine possiamo dire che sulla carta c’è un buon Governo. Competente e fortemente motivato a fare “presto e bene” in considerazione dell’urgenza dei problemi e della esiguità del tempo a disposizione. Certamente è aumentato, e non di poco, il tasso di competenza e di esperienza di una buona parte dei Ministri. E questa è certamente una condizione necessaria anche se non sufficiente per avere buoni risultati.
E veniamo al programma. Tocca ovviamente i punti attesi: la pandemia e le vaccinazioni, il Piano NGUE e le Riforme. Con un accenno importante alla Politica Estera visto che l’Italia dovrà essere alla guida del G20 in parallelo alla Gran Bretagna, ed anche questo accenno dà l’idea della ricerca di un rapporto di collaborazione dopo la Brexit, che guiderà il G7.
Un programma asciutto con pochi cedimenti alla retorica. Insomma difficilmente twitterabile. Un programma che va letto e non solo ascoltato. Come i testi di studio. Perché le parole e le frasi non sono messe a caso, o per fare effetto, ma hanno dietro un ragionamento. Ed ecco tre punti che caratterizzano l’impianto e, speriamo, la gestione futura del Programma.
Il primo riguarda l’approccio al Piano di recupero e resilienza. Si mette in evidenza, anche con un qualche di più di puntigliosità, che non si tratta di fare interventi uno dietro l’altro senza una strategia ma piuttosto di avere una interpretazione della crisi italiana e poi di vedere un possibile futuro per i prossimi 10 e 30 anni all’interno di una visione di lungo periodo. Su questi due punti deve innestarsi il piano di rilancio del paese. Deve essere uno strumento di passaggio fra la crisi di oggi e la possibilità del futuro. L’accenno alla crisi del turismo e al suo possibile rilancio è da questo punto di vista paradigmatico di questo approccio. Non si riparte da “dove si era” ma guardando il “futuro”.
Il secondo punto riguarda il ruolo del pubblico sul tema di gestione del piano rispetto al mondo privato e al terzo settore. Il passaggio è chiaro anche se riportato in poche righe : “Il ruolo dello Stato e il perimetro dei suoi interventi dovranno essere valutati con attenzione. Compito dello Stato è utilizzare le leve della spesa per ricerca e sviluppo, dell’istruzione e della formazione, della regolamentazione, dell’incentivazione e della tassazione.”
C’è in queste brevi parole un trattato sul ruolo dello Stato nell’economia. Non un intervento diretto per gestire ma piuttosto un intervento per dare le basi del sapere, scuola, ricerca e formazione, e quindi per regolare e incentivare il mondo della libera iniziativa. Magari facendo da leva attraverso investimenti a processi di rilancio gestiti dal mondo privato. Insomma la fine delle tesi stataliste che puntavano a gestire di tutto di più invadendo, in maniera superficiale e sprovveduta, aree e settori in cui il pubblico ha dimostrato di non sapersi muovere.
Il terzo è il ruolo degli investimenti pubblici considerati strategici per la ripresa. Con un accenno importante al tema della manutenzione del territorio e delle opere che è stato il grande assente nella programmazione e nella esecuzione degli ultimi venti anni. Gli investimenti pubblici sono attualmente, oramai da diversi anni, ad un livello fra i più bassi della storia del paese sia rispetto alla spesa pubblica sia rispetto al pil. Da questa ripresa, che vorrebbe dire di andare dagli attuali 40 miliardi ad almeno 60 miliardi all’anno nei prossimi cinque anni, passa una parte importante del rilancio economico e dell’occupazione. Si pensi che per ogni miliardo di spesa c’è una crescita di circa 20 mila occupati nel sistema economico complessivo. Quindi un contributo non secondario per superare anche la crisi di occupabilità nel paese.
Si tratta di tre punti importanti che danno il “segno e il senso” di questo Governo. Guardare avanti, molto avanti, per uscire dalle secche della pandemia, della crisi economica ed anche, si può dire, di una politica che non ha ancora capito che è il momento di fare un salto di qualità nelle idee, nelle organizzazioni ed anche negli uomini.
riccardo catola
Bravo Mauro. Anche ben scritto, forte e chiaro. Lasciami però dire due o tre cose facili. La citazione papale con quel dio biblicamente vendicativo non è innocua, bensì una captatio benevolentiae pochissimo laica. Denuncia infatti il civil servant credente che almeno sui problemi ambientali si affida più alla superstizione che alla ragione. Nel discorso latitano anche i temi dell’immigrazione e del sostegno alla famiglia, argomenti legatissimi in tema di demografia oltre che di ordine pubblico, così come sono legati ai temi controversi del multietnismo e del multiculturalismo che l’Italia catto-comunista privilegia, benché le esperienze concrete si stiano rivelando fallimentari ovunque. Tra l’altro, Draghi ha ignorato completamente la cultura nelle sue varie declinazioni e implicazioni. In altre parole, all’indubbio valore tecnico della squadra sottrarrei l’impianto ideologico cattolico che da Mattarella si estende a Draghi, a Lamorgese e a forme militanti come quella di Cartabia in Comunione e Liberazione. Impianto che avrà inevitabilmente il suo peso. Cosa che mi fa dire che moriremo probabilmente coi conti più in ordine, ma certamente democristiani.