La dispersione insediativa e la ricerca di condizioni di vita e di lavoro soddisfacenti, un comportamento individuale sempre più autonomo nell’organizzare i propri spazi e rappresentare la città, la crescita delle diverse forme di condivisione di conoscenze e servizi, fino alla produzione di nuove economie legate allo scambio sostenuto dalla tecnologia avanzata che contrasta ogni criticità correlata alla fisicità dei luoghi, configurano una trama reticolare, alla quale non corrispondono le geografie amministrative e neanche gli strumenti di pianificazione disponibili. Le une e gli altri, peraltro, appartengono a un tempo, a un’organizzazione sociale e politica, a forme e modalità insediative che sono alle nostre spalle. La sfiducia nelle istituzioni acuisce l’insofferenza per la burocrazia, in tutte le sue manifestazioni. La possibilità di portare a compimento gli intenti di riforma degli assetti istituzionali si scontra con problemi che attengono alle forme di governo, ai sistemi elettorali, ai compiti, le responsabilità e i poteri dei diversi organi, alla trama intricata di competenze, strumenti, livelli e soggetti. Se a offrire gli strumenti è ancora la pianificazione, le scelte sono politiche e le modalità per agire attengono alla sfera del governo pubblico. Non si può non considerare che l’Italia non ha una politica stabile per le sue risorse più preziose (le città, il paesaggio, i beni ambientali e culturali), né per le infrastrutture della convivenza (mobilità, casa, istruzione), né, infine, uno scenario legislativo che renda patrimonio comune su tutto il territorio nazionale i princìpi necessari per dare respiro all’azione locale (e renderla meno ristretta ed esposta alle aggregazioni di interesse), per conferire unitarietà e coerenza, nelle differenze di contesto, alle politiche regionali.
Il progetto della trasformazione fisica degli ambienti urbani e dei territori, nella chiave della rigenerazione e dell’adattamento, con i tempi dell’attesa quando serve e dell’intervento subitaneo quando indispensabile, con gli orizzonti delle città in divenire e delle popolazioni in movimento, può contribuire a un nuovo modello di sviluppo economico e rispondere alla domanda di giustizia sociale. Per non procedere solo tramite esperimenti isolati, per definire programmi culturali, attività formative e alleanze politiche, per sostenere l’innovazione di un modello industriale che assuma le questioni ambientali e sociali come valori nei propri progetti economici, per modificare gli strumenti operativi, alla base di un governo della frammentazione prospettabile anche se in larga parte ignoto, c’è bisogno di un patto per l’urbanistica italiana. Le questioni più urgenti da affrontare sono quelle ambientali ed ecologiche, con il recupero dei suoli e degli immobili abbandonati e la ri-urbanizzazione sostenibile delle città, per renderle resilienti al cambiamento climatico. Sono anche quelle della povertà urbana, contro cui lottare con il contributo che la rigenerazione urbana può dare all’integrazione sociale e all’accessibilità alla casa e ai servizi essenziali. Sono quelle relative alla mobilità delle popolazioni, con soluzioni coordinate e l’investimento nel trasporto pubblico. Sono quelle dei diritti di cittadinanza, che includono la dotazione di spazi pubblici, privi di barriere materiali e immateriali. Servono strumenti nuovi, da stabilire assorbendo e aggiornando metodi e princìpi disponibili, per le loro parti ancora attuali o attualizzabili, eliminando una complicata stratificazione, che neanche il regionalismo riformista ha potuto superare, e che porta il nostro Paese ad agire, da troppo tempo, frammentariamente, nel prevalere dell’attenzione agli aspetti edilizi, tramite tentativi non organici e inserti parziali in atti che non intendono trattare di riforma urbanistica, ma, di fatto, influiscono, più o meno direttamente, sui contenuti della pianificazione.
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