A Palazzo Chigi è andato in scena l’ennesimo atto di appannamento (se non di vero e proprio “discredito”) della leadership di Giuseppe Conte.
Dopo la genuflessa salita a Marina di Bibbona in ossequio al fondatore del Movimento 5 Stelle da cui l’imprimatur pubblico impartito dallo stesso Beppe Grillo -via social- con la pubblicazione della foto conviviale e del commento “pensiamo al 2050”, Giuseppe Conte ha dovuto subire l’onta (travestita da riconoscimento istituzionale di una leadership che -ufficialmente- non esiste) di salire a Palazzo Chigi in ossequio a chi, con grande autorevolezza e prestigio internazionale, lo ha sostituito.
Salite senza ascesa! Ovvero senza alcuna possibilità di autonoma iniziativa politica: bloccato sul nuovo Statuto del Movimento in cui ha dovuto -suo malgrado- reintrodurre la figura “Padre/Garante” (cioè di colui che veramente decide!). E bloccato sulla giustizia, campo nel quale ogni mossa rappresenta per Conte un terreno fortemente minato.
Infatti un suo “no” al testo presentato dalla Guardasigilli Marta Cartabia ed approvato all’unanimità dal Consiglio dei Ministri avrebbe rappresentato una smentita dei Ministri pentastellati (Luigi Di Maio in testa) oltre ad un più pesante affronto a Beppe Grillo che, interpellato dal Premier Mario Draghi prima della votazione (a testimonianza che è Grillo che decide tutto), aveva dato -in prima persona- il via libera alla riforma.
Ma se un no al testo Cartabia non era né è contemplabile perché riaprirebbe lo scontro con il fondatore, una sua adesione piena potrebbe rappresentare per Giuseppe Conte la mossa fatale.
Un sì alla riforma della giustizia varata dal Governo (con il voto -ad esempio- all’eventuale fiducia) infatti sarebbe vissuto dai “suoi” a partire dal contiano di ferro Marco Travaglio, come un vero e proprio “tradimento”. Un tradimento -si dirà, e le voci già iniziano a farsi strada- consumato sull’altare dell’ambizione: dell’ambizione per il comando!
Insomma, Giuseppe Conte è sempre più vittima del suo “non essere nulla” (di ufficiale) per il Movimento: né iscritto (per sua stessa ammissione), né vero capo (come attesta l’imprimatur conferitogli dal Garante), né -tantomeno- leader (per l’impossibilità conclamata e reiterata di poter disporre di quell’agibilità politica propria dei capi).
Ma Giuseppe Conte non potrà lamentarsi: a lui è concessa l’esibizione della mostrina di essere stato convocato dal Presidente del Consiglio al pari (o quasi) degli altri capi-partito.
“Soldi di cioccolato” ma molto appariscenti!
Lascia un commento