L’accordo sperimentale tra la Comunità di Sant’Egidio e il Viminale per l’ingresso di 300 migranti in Italia al di fuori del decreto flussi ha un significato da non sottovalutare. Trecento persone sono una goccia nel mare rispetto alle decine di migliaia di lavoratori stranieri richiesti dalle aziende italiane, ma l’accordo é importante perché la Chiesa insegna che per comunicare i valori non basta predicare, serve dare l’esempio per quanto piccolo. L’autorevolezza internazionale della Comunità di Sant’Egidio (e la sua vicinanza al pensiero e all’azione di San Giovanni Paolo II) rivestono inoltre una importanza particolare per i cattolici italiani, sinora piuttosto divisi in tema di politiche migratorie.
Alla vigilia delle elezioni europee il messaggio é chiaro. Basta demonizzare gli stranieri: i lavoratori migranti costituiscono una risorsa preziosa e sono indispensabili per la crescita economica e per il benessere sociale dell’ Italia nei prossimi anni. C’ è peraltro un altro valore aggiunto ignorato dai media: le comunità straniere presenti nel territorio nazionale offrono da sempre un contributo particolarmente significativo alla sicurezza nazionale per le ottime relazioni costruite nel territorio con le forze dell’ordine, in particolare per il loro supporto alle azioni di contrasto al terrorismo.
L’iniziativa della Comunità di Sant’Egidio con il Viminale coincide temporalmente con l’approvazione del Patto sui migranti del Parlamento Europeo che ha prodotto inedite divisioni nelle forze politiche nonché sostanzialmente deluso le aspettative della Conferenza Episcopale Italiana che ha definito la nuova normativa “una deriva nella politica europea dell’asilo e il fallimento della solidarietà europea, che sembra infrangersi come le onde contro i barconi della speranza”.
La materia é molto complessa, ma su questo fronte c’é purtroppo un tema specifico (il soccorso in mare) su cui le ambiguità normative europee e nazionali restano invariate. Per questo penso che la Comunità di Sant’Egidio dovrebbe avere il coraggio di aggiungere la materia del soccorso in mare nel corso delle sue periodiche interlocuzioni con il Ministero dell’Interno. Alcuni giorni fa mi è capitato di avvicinarmi alla SeaWatch – ferma da settimane nel porto di Siracusa.
E’ noto che i giudici hanno alla fine deciso di sospendere il fermo amministrativo della nave ma – al di là dei profili giudiziari – chiunque veda la nave di soccorso bloccata in porto si pone inevitabilmente una serie di domande. Quante persone avrebbe potuto salvare?
Ci si può dividere su tanti aspetti (procedure per la richiesta del diritto d’asilo protezione dei minori, rimpatri, ecc.), ma c’é un dato di fatto indiscutibile: soccorrere chi sta per affogare in mare è diventato molto più complicato. I fermi amministrativi, le sanzioni finanziarie, la lontananza dei porti di sbarco sono diventati al Viminale e dintorni routine quotidiana.
Se anche solo una di queste limitazioni introdotte per i soccorsi in mare venisse applicata ad una ambulanza della Misericordia di Firenze nata quasi mille anni fa, il 14 agosto del 1244 la mia città insorgerebbe; cosi come – ne sono assolutamente certo – accadrebbe in tutte le città italiane.
Le acque del Mediterraneo sono lontane dagli sguardi dei cittadini, ma il problema del soccorso in mare é molto serio. Per questo mi aspetto che la Comunità di Sant’Egidio sollevi questo tema in occasione dei suoi prossimi incontri al Viminale.
Lascia un commento