Per comprendere e prepararsi a che cosa poteva accadere in Ucraina non c’era bisogno delle informazioni riservate della Cia. In un tweet del 31 luglio 2021 Anne Applebaum, valente ricercatrice dell’opera di Hannah Arendt, aveva lanciato un accorato appello rivolto a tutti gli studiosi di Russia e Ucraina: “Avete visto l’articolo di [Vladimir] Putin, che tutti i soldati russi sono obbligati a leggere, in inglese? Si tratta essenzialmente di una chiamata alle armi per preparare il terreno all’invasione russa dell’Ucraina”.
Il lungo articolo citato si intitola “On the Historical Unity of Russians and Ukrainians” ed è stato pubblicato il 12 luglio in lingua russa e ucraina sul sito del Cremlino. Il giorno seguente Putin ha voluto anche rispondere a una serie di domande di cittadini russi su quanto aveva scritto circa l’inesistenza della Ucraina come nazione.
L’account Twitter di Applebaum ha quasi mezzo milioni di seguaci, tra cui accademici, analisti, politici e giornalisti europei esperti di Russia e Ucraina. Con il senno del poi, rileggendo oggi l’articolo e la falsa narrativa di Putin, è sin troppo facile dire che – purtroppo – Applebaum aveva perfettamente ragione a lanciare l’allarme sulla invasione dell’Ucraina.
Molto più difficile è, invece, comprendere perché – chi più, chi meno – in Europa quasi tutti non abbiamo capito quali fossero le vere intenzioni di Putin. I più pessimisti – compreso chi scrive – avevano immaginato un’azione militare limitata alle province del Donbass in analogia con i precedenti relativi a Transnistria, Ossezia del Sud, Abkhazia e Crimea. Era difficilmente immaginabile una invasione dell’intera Ucraina, secondo Paese in Europa per territorio (oltre 600.000 chilometri quadrati), grande quasi quanto l’Italia e la Germania messe insieme. Perché?
Nella destra politica sovranista si sono sviluppate due scuole di pensiero. C’è chi parla soprattutto di un profondo (e relativamente recente) cambiamento nella postura politica di Putin. In una intervista recente, Fabio Rampelli di Fratelli d’Italia, vicepresidente della Camera ha descritto nettamente la parabola di Putin tra una fase di integrazione e collaborazione con l’Europa con quella attuale in cui per l’occupazione militare, brutale e sanguinosa, dell’Ucraina Putin viene riconosciuto come “tiranno sanguinario”. Per queste ragioni Fratelli d’ Italia è favorevole all’invio di armi perché la resistenza ucraina possa difendersi dall’aggressore. La totale discontinuità della figura di Putin appare in verità forzata ignora i precedenti (pur meno gravi ed eclatanti) in Transnistria, Abkhazia Sud Ossezia e Crimea.
In campo sovranista Matteo Salvini, leader della Lega, si muove viceversa su una lunghezza d’onda diversa. Dopo tre settimane di silenzio sull’Ucraina (salvo un laconico “Zaino in spalla e passeggiata, buon sabato Amici, dopo Covid e guerra tornerà il sereno”) nelle ultime ore è intervenuto nella direzione diametralmente opposta a quella indicata da Rampelli dichiarandosi contrario all’invio di armi alla resistenza ucraina: “non è la soluzione per avvicinar la pace”, ha detto definendo il dialogo con Putin “un dovere”. E ancora. “Non capisco perché se parlo io con l’ambasciatore russo sono un soggetto pericoloso e se giustamente parla [Mario] Draghi con Putin fa il suo dovere”.. “Non bisogna additare i nemici del popolo e i nemici del mondo”. Infine, sulla telefonata tra il presidente del Consiglio e il leader del Cremlino ha aggiunto: “Spero sia utile, io i miei contatti ce l’ho”.
Che Salvini abbia mantenuto i suoi contatti di alto livello con Mosca non sorprende. Ciò che l’opinione pubblica italiana avrebbe diritto di sapere è perché non ha mai voluto prendere le distanze dai suoi legami “pericolosi” e/o quantomeno perché non trovi neppure il coraggio di appellarsi pubblicamente a Putin per invocare o un gesto di clemenza: un cessate il fuoco di almeno 48 ore come chiesto dal segretario generale della Nazioni Unite. Oppure Salvini è d’accordo con Putin quando, come ha riferito Draghi, afferma che “le condizioni per un cessate il fuoco non sono mature”.
Le chiavi del cessate il fuoco sono nelle mani di Putin, quanti morti quanti feriti quante distruzioni dobbiamo ancora aspettare?
In pratica, come in Europa si è rotto il fronte di Visegrad per la presa di distanza dall’Ungheria di Viktor Orbán da parte di Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca (il primo ministro ungherese non ha voluto rompere i suoi legami ombelicali con Mosca e Pechino), in Italia il centrodestra soffre nuove tensioni politiche in seguito alla guerra.
Tuttavia, a differenza di Fidesz (il partito ungherese di Orban) nella Lega una forte componente filo-atlantica controbilancia le fazioni filo russe oggi in declino, le stesse che nel 2016 erano riuscite a far “riconoscere” con apposite mozioni l’annessione della Crimea alla Russia nei Consigli regionali di Lombardia, Veneto e Liguria.
Più in generale, come già accaduto con il “liberismo” in seguito della grande crisi finanziario del 2008, la destra sembra perdere il suo secondo caposaldo ovvero il “sovranismo” su cui Putin aveva sperato di far leva per irrobustire la sua influenza nei partiti politici e nella politica europea. La violazione con carri armati, missili e cannoni della sovranità e dell’indipendenza dell’Ucraina ha inevitabilmente incrinato la simpatia per Russia da parte dei sovranisti.
Il declino del liberismo e del sovranismo – classici e contraddittori fondamenti del pensiero politico della destra – impone non solo a Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, ma a tutti i conservatori europei una profonda revisione della propria identità e cultura politica.
In teoria, si è creato un vuoto politico che la sinistra potrebbe riempire. Ma che cosa opporre alla crisi del liberismo e del sovranismo? Esiste un pensiero strategico della sinistra che offra una alternativa credibile per il mondo di domani? Ancora no.
Dopo le grandi intuizioni di Willy Brandt sulle nuove relazioni tra Nord e Sud del mondo la socialdemocrazia e i progressisti si sono rinchiusi nei recinti nazionali e nei casi migliori nella dimensione esclusivamente europea. Di fronte ai processi che scuotono nel profondo il mondo contemporaneo, dalla rivoluzione digitale alla globalizzazione economica dalla transizione ecologica ai processi di democratizzazione la sinistra non ha sinora espresso una voce sua, o meglio un suo pensiero strategico. Se non ora, quando?
Ma al di là della sinistra e della destra, la doppia emergenza pandemia-guerra richiederebbe una risposta all’insegna dell’unità nazionale. Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha fatto molto bene a sterilizzare le furbizie tattiche di Giuseppe Conte. Tuttavia, spostare l’attenzione verso il “riarmo” da parte dei 5 Stelle e del Fatto Quotidiano rischia di mettere in secondo piano la domanda cruciale a cui si deve rispondere oggi.
Perché nonostante papa Francesco, il segretario generale delle Nazioni Unite e i dubbi cinesi, Putin non concede un cessate il fuoco di due o tre giorni. Ci guadagnerebbe come potere negoziale, come immagine e come riorganizzazione militare. Questo è il mistero da svelare anche per cogliere le implicazioni sulla scena politica globale. Per non depistare involontariamente l’opinione pubblica i media e gli analisti dovrebbero cercare la contraddizione tra la tattica dell’oggi (il no di Putin al cessate il fuoco) e le prospettive strategiche di una Russia in irreversibile declino, perché esportare più gas e petrolio in Cina e Ungheria non potrà compensare le perdite economiche (e di fiducia) sul fronte europeo.
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