Breve riassunto dalla puntata precedente: l’Italia non sa fare più figli, di conseguenza diminuisce sostanzialmente di anno in anno la base dei lavoratori attivi, ovvero, coloro che permettono agli anziani di ricevere la pensione, allo Stato di erogare i servizi e in generale alla comunità di vivere mediamente bene. È necessaria una inversione di tendenza poiché si è dimostrato che la vitalità demografica è la variabile più impattante sul benessere sociale ed economico di qualunque Paese: in Italia le cose vanno male perché siamo in ritardo un po’ su tutto, dall’uscita dal sistema scolastico, all’ingresso nel mondo del lavoro, fino al diventare genitori. In questo scenario parecchio desolante, tenuto faticosamente a galla, almeno nel passato, da copiosi flussi immigratori, (che tuttavia hanno determinato problemi sociali di integrazione), c’è una piccola provincia in controtendenza a farci ancora sperare: Trento. Fine del prologo. Trento è una provincia autonoma, e quindi gode di maggiori risorse, ma poiché tutte le altre regioni a statuto speciale hanno avuto risultati allarmanti di denatalità, non è un problema di dotazione. Il problema è di cultura sociale. Vediamolo. Nella provincia del Concilio, si sono potenziati i servizi per l’infanzia, ad esempio istituendo una capillare rete di asili nido comunali e familiari (Tagesmutter), le politiche di welfare a carico delle aziende e non da ultimo, gli aiuti economici alle famiglie con figli, con la introduzione della “dote finanziaria giovani e natalità” , ovvero la possibilità di ottenere un contributo alla nascita (o adozione) di figli, volto all’estinzione totale o parziale di prestiti bancari contratti con le banche convenzionate. E i numeri parlano chiaro: nella provincia trentina, è cresciuto un orientamento familiare positivo. Negli ultimi dieci anni, le famiglie con 3 figli rappresentano già il 15% delle coppie con discendenti, rispetto alla media nazionale del 10%. L’ Istat, per il prossimo quinquennio stima per la provincia trentina un numero di nascite che da poco più di 4mila all’anno passerebbe a 5mila nello scenario mediano e supera persino le 6mila in quello più favorevole, (+50% circa di crescita nelle migliori delle ipotesi!). Non da ultimo, se cresce il numero dei figli, cala anche il numero dei c.d.Neet (Not in education, employment, or training), ovvero quei giovani che non studiano e non lavorano e questo numero è già sensibilmente più basso rispetto alla media nazionale. Guarda caso, anche il tasso di occupazione femminile è non solo il più alto in Italia, ma allineato con i migliori standard europei. Trento rappresenta quindi una eccellenza continentale, ma soprattutto dimostra che con un po’ di programmazione, possiamo “ripopolare” il Paese. Cruciali allora saranno i prossimi cinque anni per 2 ragioni. La prima è che abbiamo una clamorosa occasione con i Fondi Next Gen Eu (spendibili entro il 2026) e la seconda è legata all’evoluzione della struttura demografica: più il tempo passerà senza invertire il trend e più diminuirà la base di popolazione in età riproduttiva. Che allora l’esempio di Trento ci liberi da questo male e speriamo che induca sempre più amministrazioni “alla tentazione” di volerne importare o copiare il modello. Mica si fa peccato…
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