Per gentile concessione del giornalista Giancarlo Capozzoli dell’Espresso e del Professor Severino Saccardi direttore della Rivista Testimonianze pubblichiamo:
La celebre rivista Testimonianze fondata da Padre Ernesto Balducci nel 1958 e diretta dal Prof. Severino Saccardi dedica il suo prossimo numero al tema “Occidente”. Ho parlato con il Prof. Marco Mayer per anticipare alcuni passaggi di un saggio del che sarà pubblicato nel numero di novembre (per l’esattezza il numero 545).
D: Prof. Mayer, la questione del “tramonto dell’Occidente” non è nuova. Lei cosa intende dire quando scrive che l’ Occidente “non esiste più”?
R: Dal 1999 in termini di geopolitica gli Stati Uniti hanno concentrato gran parte della loro attenzione all’ Asia. In materia di geografia economica si può osservare un’ analoga distanza tra percezione e realtà. Il primato economico dell’Occidente che ha segnato i tre secoli passati, (prima era in oriente) è in declino da diversi anni.
D: Eppure, tutti parlano ancora di Occidente ?
R: Dott. Capozzoli Lei ha assolutamente ragione. Nonostante questo dato di realtà l’espressione “The West and the Rest” resta la percezione dominante in gran parte dei paesi del mondo. Il sostantivo Occidente e l’aggettivo occidentale sono parte del linguaggio comune di miliardi di persone. A mio avviso sarebbe l’ora di abbandonare o quantomeno ridimensionare un termine che non rispecchia più la realtà politica ed economica contemporanea.
D: Come stanno le cose?
R: Oggi l’epicentro della crescita economica mondiale è a Oriente. Quest’ anno per la prima volta il tasso di crescita di alcuni paesi asiatici supererà quello cinese. Gli equilibri del sistema internazionale si determinano nel Pacifico, nell’Oceano Indiano, nel Mar della Cina, nell’Artico. L’ Oceano Atlantico resta molto rilevante, ma ha perso la centralità che ha avuto dal XVIII secolo sino a 30 anni fa.
D: Dal punto di vista della la politica internazionale, questo cosa comporta?
R: Per più di 40 anni dopo la XX guerra mondiale l’assetto bipolare si è fondato sul dualismo Washington/Mosca e sulla contrapposizione tra Alleanza Atlantica e Patto di Varsavia. L’ inizio del terzo millennio è caratterizzato nuovamente da una tendenza al bipolarismo, ma tra Washington e Pechino. Passata la lunga luna di miele tra USA e Cina, la competizione e le rivalità sono cresciuta in modo esponenziale.
D: In sintesi, cosa è accaduto?
R: Dal 1972(Richard Nixon lo aveva anticipato in un saggio su Foreign Affairs quando ancora non era Presidente) gli Stati Uniti hanno iniziato un dialogo con Il Dragone su una molteplicità di piani. Per accennare solo alla fase più recente basti pensare all’intensa cooperazione tra Silicon Valley e Shenzen/Grand Bay in campo digitale e TLC. La California è stata forse il laboratorio di tanti scambi e collaborazioni sino-americane sul piano universitario e imprenditoriale.
D: E poi?
R: Già nel 2007/8 si osserva una incrinatura nei rapporti. Dal 2012/13 (anche in seguito alla elezione del Presidente Xi Ping) le relazioni tra Cina e Stati Uniti si sono poi rapidamente e ulteriormente deteriorate.
D: Questo, perché?
R: La Cina si è proposta esplicitamente come un modello politico-istituzionale alternativo agli Stati Uniti e agli Stati democratici. Ha inoltre perseguito una politica estera espansiva, soprattutto nei confronti dell’ Africa e dell’Europa. Al di là della bilancia commerciale quasi sempre piu’ favorevole a Pechino, la Cina ha scelto di aumentare la propria influenza politica a livello globale. L’ espressione più netta di questa postura è la Via della Seta a cui l’ Italia ha aderito durante il Governo Conte 1, unico paese del G7.
D: Gli Stati Uniti sembrano consapevoli del “rischio Cina” da più di un decennio. E l’ Europa?
R: Gli Stati membri dell’Unione Europea hanno tardato molto a comprendere la portata della svolta autoritaria della Cina in politica interna e la sua postura più assertiva in politica internazionale. Mi ha particolarmente colpito la stretta repressiva su Hong Kong un crocevia scientifico, mercantile e religioso di grande rilevanza mondiale. Il grande esodo che ne è conseguito priverà la Cina di migliaia e migliaia di talenti.
D: Torniamo al tema dell’ Occidente e della sua presunta egemonia. Cosa succede oggi?
R: Nonostante il forte declino -l’idea di un Occidente dominatore del mondo è ancora viva anche nei più sperduti angoli del pianeta. Per inciso – a proposito di percezioni difficili da sradicare – non dimentichiamo quanto per noi cittadini europei sia difficile accettare l’idea che l’Europa sia ridimensionata al rango di una ricca periferia del mondo.
D: Ma si può contestare questa ipotesi di tramonto dell’ occidente?
R: Si, mi limito ad un esempio. La tesi del declino dell’Occidente è criticata dallo storico Aldo Schiavone nel suo ultimo libro. Schiavone ipotizza e auspica anzi una tendenza opposta definita come “globalizzazione dell’occidente”.
D: Quale è la sua idea?
R: La prospettiva ottimistica -di un “Occidente-mondo” mi pare francamente figlia del “dover essere”. Schiavone sembra riproporre una visione del futuro del mondo tipica delle filosofie profetiche della storia. Ricordo che Karl Popper nel suo splendido libro la “Miseria dello storicismo” (1957) dimostra che non esiste alcuna necessità storica, la storia non ha un senso di marcia, né è possibile prevedere le sue finalità.
D: A suo avviso, che spazio ha l’Occidente nella narrativa di Putin?
R: La domanda è di grande attualità. Mi ha sorpreso come – a proposito di Occidente – i media internazionali abbiano accolto in modo acritico la ricorrente narrazione di Vladimir Putin. Secondo Putin dopo l’invasione dell’Ucraina non si può più parlare di unipolarismo occidentale.
D: tra le tante cose- penso ai dis-valori a cui ha fatto riferimento Putin ad esempio, a suo avviso, cosa non va nel discorso di Putin?
R: La stagione unipolare è finita da un pezzo ed è durata pochissimo. Si può prendere come punto di riferimento iniziale la caduta del muro di Berlino nel 1989, ma dopo l’ingresso della Cina nel WTO nel 2001 e la tragica invasione dell’ Iraq nel 2003 lo scenario unipolare è andato via via esaurendosi. La crisi finanziaria negli Stati Uniti del 2007 ha chiuso definitivamente un ciclo. L’ unipolarismo americano-occidentale è durato circa 15 anni, 20 anni al massimo.
D: Perché attribuire tanta importanza all’ invasione dell’ Iraq?
R: È stata una frattura politica molto significativa perché non si è limitata ad un dissenso tra governi. In Europa la critica agli Stati Uniti ha coinvolto un’ opinione pubblica molto vasta e ha dato vita a proteste popolari assai consistenti.
Con quali effetti concreti?
R: Dal 2003 in poi parlare di Occidente e’ diventato davvero difficile. A venti anni di distanza per Washington non è facile ristabilire un rapporto di fiducia con Parigi e Berlino e con gli altri paesi europei, anche perché Donald Trump ha fatto di tutto per non rimarginare le ferite tra Stati Uniti e Unione Europea provocate dal Presidente Bush junior con la complicità di Tony Blair. Negli ultimi due decenni la distanza tra le due sponde dell’ Atlantico si è molto allargata e questo dato di realtà indebolisce ancora di più i continui riferimenti generalizzati all’ occidente come entità indistinta.
D: Rispetto a questi processi come si colloca la vicenda della Libia?
R: La disastrosa operazione militare in Libia del 2011 non è attribuibile soltanto ad un errore dei paesi europei e degli Stati Uniti. L’ astensione della Cina e della Russia nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha reso possibile l’uso della forza. Sul perché ne’ Mosca ne’ Pechino abbiano voluto esercitare il diritto di veto si possono formulare varie ipotesi, ma la cosa più importante – a mio avviso – è che i cittadini siano informati delle co-responsabilità ‘ “non occidentali” nei gravi errori commessi in Libia perché nessuno ne parla mai.
D: Ho fatto riferimento alla questione dei valori. Spostando il livello di questa analisi come la declinazione dell’ Occidente in termini di valori, quale è la sua opinione?
R: Come ho accennato sinora ci sarebbero buoni motivi, empiricamente validati, per abbandonare la nozione di “Occidente” nei suoi risvolti geopolitici e geoeconomici. Occorre tuttavia muoversi con cautela in questa direzione proprio la dimensione valoriale. La domanda da porsi è quale è oggi l’ impatto culturale dei valori “occidentali” nel mondo al di fuori dei confini del Nord America e dell’ Europa?
D: C’è una risposta?
R: Io non sono in grado di rispondere ad una domanda così impegnativa che richiederebbe risposte molteplici perché l’ impatto varia a rispetto alle diverse culture locali e nazionali…
D: Certo. Ma è possibile fare un esempio?
R: Emerge una realtà ibrida e ambivalente. Per esempi una visione caotica e per alcuni aspetti “selvaggia” del funzionamento dei mercati finanziari di matrice occidentale si sta affermando a livello planetario. Questo processo fa intravedere una occidentalizzazione negativa ovvero l’opposto di quanto auspica Schiavone.
D: Cosa la preoccupa di più?
R: Il binomio finanza globale/autocrazie (e le sue relative interazioni) è un fenomeno pericoloso e per giunta sottovalutato e poco studiato.
D: Ha fatto riferimento ad un andamento selvaggio. Che cosa intende?
R: Parliamo di mercati finanziari il cui concreto funzionamento si colloca a distanza siderale – dai modelli e dalle descrizioni analitiche di Luigi Einaudi e del pensiero economico liberale. La globalizzazione finanziaria è, infatti, priva delle condizioni istituzionali che Einaudi considera necessarie perché il mercato possa agire in modo fisiologico nella formazione dei prezzi, impedendo che questi ultimi siano imposti da chi monopolizza il market power. Ma prima di affrontare questo aspetto oggi simboleggiato da Gazprom mi sembra utile ricordare che al di là della dimensione economica ci sono valori e diritti fondamentali che in molti paesi del mondo vengono etichettati non come universali, ma come valori di matrice occidentale.
D: Con quali conseguenze?
R: Il rifiuto dell’ universalità di questi valori. Durante la guerra fredda piu o meno strumentalmente si contrapponevano i valori della libertà’ con quelli uguaglianza, i diritti della singola persona ai diritti sociali. Oggi spesso si criticano certi valori come occidentali e ci si ferma lì.
D: Quale dovrebbe essere un approccio più equilibrato?
R: La celebrazione di principi universali (per usare le parole di Henry Kissinger) deve (o almeno dovrebbe) accompagnarsi ad un riconoscimento delle storie e delle diverse culture delle Nazioni.
D: E invece cosa accade?
R: La dicotomia sovranismo/globalismo domina la comunicazione politica e anima i dibattiti in quasi tutti circoli intellettuali offuscando la prospettiva dei valori e dei diritti fondamentali.
D: Come rispondere?
R: A mio avviso può essere utile riprendere alcune intuizioni di Padre Balducci. Nell’ Uomo Planetario” Balducci scrive: “Quella che io propongo non è la distruzione delle identità tradizionali, è l’opzione per un’identità nuova in cui potenzialmente si ritrovino tutte le identità elaborate dal genere umano nel suo lungo cammino. Ha poco senso, per me, il trapasso da un’identità all’altra di quelle che formano il volto policromo dell’umanità attuale”.
D: Ci sono altri riferimenti all’ esperienza e al pensiero di Ernesto Balducci?
R: Si l ‘ attualità di Padre Balducci è stato rilanciata (anche se troppo piegata all’attualità giornalistica) da Vito Mancuso in un articolo pubblicato su la Stampa la primavera scorsa. Mancuso scrive:
“Insomma, l’uomo planetario è il contrario del sovranismo. Fu esattamente in questa prospettiva che Balducci giunse a scrivere qualcosa di molto sorprendente per un prete cattolico: “La qualifica di cristiano mi pesa”). È interessante notare che ai sovranisti tale qualifica non pesa per nulla, anzi fanno a gara a esibire croci e rosari, mentre a Balducci pesava perché per lui ogni qualifica identitaria portava alla divisione degli esseri umani.”
D: Perché non è convinto di questa interpretazione di Mancuso?
R: Perchè si critica il pensiero conservatore non si può dimenticare la frase di Balducci che ho appena citato: “Quella che io propongo non è la distruzione delle identità tradizionali”. La nuova identità che Balducci suggerisce di costruire nel terzo millennio considera le tradizioni religiose e/ o laiche spirituali e culturali tessere con cui costruire un nuovo e policromo mosaico.
D: Come si pone Padre Balducci rispetto al rapporto comunità umane e natura?
R: Su questo punto Mancuso ha ragione nel sottolineare il valore dall’ espressione profetica “l’ ecologia come pace con il pianeta” e ricorda che “Balducci fu tra i primi a cogliere non solo l’urgenza, ma anche il valore spirituale dell’ecologia”. Fa molta impressione in effetti che Balducci quasi 40 anni fa dichiarasse: “La questione ecologica sta diventando la questione centrale”.
D: Un altro punto centrale della nuova identità planetaria è la cultura della pace?
R: Il tema della cultura della pace accanto all’ecologia è il secondo pilastro della nuova identità a cui Padre Balducci fa riferimento. Per Mancuso essa si concretizzerebbe “nella necessità di scegliere tra “Boden und Blut” e planetizzazione, tra religione nazionale e spiritualità universale. Tale alternativa viene oggi incarnata sulla scena mondiale da due figure: il patriarca Kirill e papa Francesco. Da un lato la nazione, dall’altro l’ecologia. Da un lato “la forza del nostro popolo”, dall’altro “fratelli tutti” .
D: È convinto di questa contrapposizione?
R: Non pienamente, mi sembra che qui nuovamente Vito Mancuso pieghi troppo gli scritti di Balducci all’ attualità. È vero che l’ orizzonte dell’ Uomo planetario è una reazione al pericolo di un apocalisse nucleare. Ma Balducci ha anche guardato con grande attenzione ai movimenti di liberazione dei popoli dal colonialismo e al rispetto delle comunità locali, soprattutto quelle indios perseguitate dagli invasori cristiani. Rispetto all’ attualità Avvenire ha pubblicato la risposta del Papa ad un giornalista tedesco che gli ha chiesto: “Noi in Germania, che ottanta anni fa è stata responsabile di ottanta milioni di morti, impariamo a scuola a non usare mai le armi, mai la violenza. L’unica eccezione è l’autodifesa. Per lei, in questo momento, bisogna dare armi all’Ucraina? Il Papa ha risposto
“Questa è una decisione politica che può essere moralmente accettata se si fa con intenzioni di moralità. Ma può non essere morale se si fa per incentivare la guerra, per produrre e vendere armi. La motivazione giustifica questo atto. Difendersi è atto di amore per la patria. Si dovrebbe però riflettere di più sul concetto di guerra giusta.” Se per la Parola del Papa “difendersi è atto di amore per la patria” ha senso contrapporre come scrive Mancuso “Da un lato la nazione, dall’altro l’ecologia”?
D: Quali sono per Lei le implicazioni da trarre?
R: La domanda, invece a cui non sono in grado di rispondere è la seguente: a cosa allude specificamente Ernesto Balducci quando scrive “non voglio distruggere le identità tradizionali”? Il mio personale punto di vista è che combattere per liberare il proprio paese dagli invasori (come hanno fatto da noi i partigiani) non significa essere guerrafondai, che essere orgogliosi della propria nazione non significa essere nazionalisti, che lottare per una maggiore cooperazione internazionale) non significa essere globalisti.
D: Mi sembra condivisibile. Per questo la dicotomia sovranismo/globalismo non la convince?
R: Esatto così come mi sembra assurdo contrapporre lo Stato agli organismi sovranazionali o multilaterali. Senza Stato non funziona niente, ma lo Stato da solo non basta più. Servono istituzioni multilaterali molto più efficienti di quelle attuali, ma a loro volta queste funzionano soltanto se gli Stati fanno il loro dovere. Da questo punto di vista il sovranismo e il globalismo sono vuote etichette che sottendono una contrapposizione identitaria senza fondamento.
D: Sul tema della pace ha qualcosa da aggiungere?
R: Moltissime persone non sanno che dalla prima guerra mondiale in poi non c’è mai stata guerra tra Stati democratici. E’ un elemento fattuale incoraggiante, certo non si si può aspettare che tutti i paesi del mondo diventino democratici per promuovere la pace! All’indubbio successo della pace democratica ha fatto da contraltare l’ illusione che la democrazia si possa esportare, un vero e proprio disastro, rimedio peggiore del male.
D: Quali sono le minacce alla pace oltre la guerra di invasione messa in atto da Putin?
R: C’ è una minaccia alla pace a cui ho accennato in precedenza e che coinvolge anche l’ Europa: l’intreccio tra capitalismo finanziario più o meno globalizzato e le autocrazie e regimi. Non si tratta di un connubio nuovo, ma già tragicamente sperimentato in Europa e nel mondo con la Shoa , parte integrante dell’ Occidente, ma rimosso dalla retorica sulle virtù occidentali.
D: Capisco il punto ma la globalizzazione non è una fase che si è chiusa?
R: La globalizzazione è morta solo nella memte di Giulio Tremonti. A mio avviso, la fine della globalizzazione è un’illusione ottica di Tremonti. Siamo entrati in una fase diversa, ma di persistentiinterdipendenze economico-finanziarie globali. La crisi finanziaria mondiale e del 2007/8 fu innescata dalle cattive politiche degli Stati Uniti; le attuali turbolenze finanziarie sono riconducibili all’ invasione russa in Ucraina e ai ritardi con cui la Cina ha affrontato (e soprattutto comunicato al mondo) il primo focolaio della crisi pandemica a Wuhan.
D: Ma quale é la correlazione con i nuovi equilibri mondiali?
R: Il paradosso è che il tramonto dell’occidente coincide con il trionfo globale di alcuni dei suoi principi ispiratori. Il capitalismo finanziario degli Stati Uniti (peggiorato nel 1999 per la “liberalizzazione bancaria” introdotta da Bill Clinton) si è progressivamente diffuso -con ulteriori distorsioni negative – in paesi come la Cina, l’India, l’ Indonesia, la Russia e tutti i paesi del G20.
D: È qui il nesso pericoloso tra finanza globale e autocrazie?
R: Le borse -esattamente come i regimi politici – non sono tutte uguali. Molti sono privi di una polizia finanziaria dotata di poteri e capacità investigative paragonabili alla SEC americana con le conseguenze negative che non è difficile immaginare. In Cina numerose multinazionali vivono in uno strano limbo tra controllo politico del partito e quotazione internazionale in borsa. Il Dragone resta sostanzialmente chiuso a liberi investimenti stranieri, ma le aziende cinesi possono muoversi all’estero con disinvoltura. Ma come ho accennato in precedenza il caso più emblematico di capitalismo di una autocrazia è Gazprom, l’azienda russa di produzione di gas naturale più grande del mondo. Non è difficile ricostruire la sua poliedrica potenza in campo energetico, finanziario, bancario, mediatico, politico e infrastrutturale e le sue articolazioni societarie e diramazioni operative presenti in quasi tutti i paesi del mondo. Il colosso energetico è contemporaneamente uno dei più potenti strumenti della guerra di Putin e impresa “impeccabile” quotata in ben sei borse mondiali: a Londra, Berlino, Francoforte, Singapore, Karachi, Mosca.
D: Quale è l’aspetto inquietante?
R: E’ moralmente e politicamente accettabile che le azioni di Gazprom siano tranquillamente scambiate in borsa a Londra, Berlino, Francoforte e Singapore? Nel 1983 – in epoca sovietica – l’amministrazione Reagan suggeriva ai paesi europei di non superare la soglia del 30/35% nelle rispettive importazioni di gas russo. A 40 anni di distanza la sudditanza politica di Orban a Putin è la riprova di quanto l’energia (gas e impianti nucleari russi) possano fare la differenza. L’aumento progressivo delle importazioni di gas russo è una vicenda su cui Germania e Italia dovrebbero riflettere seriamente chiedendo a se stesse perché è potuto accadere…La più eclatante rappresentazione della incredibile sottovalutazione della minaccia militare russa che il 24 febbraio 2022 ben sei ex primi ministri di paesi europei (Germania, Francia, Finlandia, Italia e 2 austriaci) erano nei board delle più importanti aziende russe.
D: Come si colloca il pensiero di Balducci rispetto alla Dichiarazione: valori occidentali o diritti universali?
R: Tra il 1946 e il 1948 la commissione dell’ONU (coordinata da Eleonor Rooosevelt) ha avuto la costante preoccupazione di evitare una visione occidentale cercando di rappresentare -per usare le parole di Balducci – la realtà policroma di tutte le identità elaborate dal genere umano nel suo lungo cammino. La vedova del Presidente FD Roosevelt esercitò una grandissima pressione sul Dipartimento di Stato sostenendo: “that for the declaration to have any impact it must not be seen as an American or western dominated document. In the process, she played the key role in convincing the State Department to expand its concept of human rights from a concept of merely political and civil rights to include economic, social, and cultural right .
D: Che riflessi nella realtà contemporanea?
R: Fa effetto pensare che 74 anni la Dichiarazione sia ancora percepita come uno strumento di promozione dei diritti politici e civili dell’Occidente quando nel testo i diritti sociali rivestono un ruolo di primo piano, basti leggere gli articoli 22, 23, 24, 25 e 26. Le disposizioni comprendono come diritti inalienabili della persona il diritto al lavoro al riposo e alla pensione, il diritto all’istruzione e alla salute nonché il contrasto alla fame e alla povertà.
D: E’ importante sottolineare il rilievo della Dichiarazione del 10 dicembre del 1948 nel pensiero di Padre Ernesto Balducci come si può leggere in un numero dedicato specificamente ai diritti dalla Rivista Testimonianze?
R: Assolutamente sì. Le rispondo con due citazioni che forse temperano alcune critiche radicali di Balducci ai modelli occidentali e che sono determinanti nelle società digitali in cui siamo immersi. Ecco la prima: «Nonostante le riserve che si devono avere dinanzi all’organizzazione tecnologica dei rapporti tra uomo e cultura e tra uomo e società, non c’è nessun dubbio che è stata la tecnica a creare le condizioni di struttura dell’uomo planetario». La seconda è dedicata all’universo ebraico: «che il destino storico degli ebrei è di aspirare all’universalità attraverso la propria unicità, così che essi rimarranno uno scandalo e un simbolo fino a che le diverse famiglie umane, fedeli alle rispettive particolarità, non si incontreranno in una comunità universale». «Finora» seguita Balducci «se abbiamo scelto sulla linea della fedeltà etnica abbiamo manomesso i criteri della totale uguaglianza fra gli uomini e quando abbiamo scelto sulla linea di questa uguaglianza abbiamo mostrato ostilità, teorica e pratica, per ogni forma di diversità, individuale e collettiva” .
D: Quali conseguenze ne trae?
R: Balducci da un lato denuncia duramente l’ ostilità, teorica e pratica, per ogni forma di diversità, individuale e collettiva e dall’altro prospetta un orizzonte planetario in cui le diverse famiglie umane, pur fedeli alle rispettive particolarità, si incontreranno in una comunità universale. In questo passaggio che include nell’universalità dei diritti il diritto alle diversità collettive e individuali trovo una delle più feconde chiavi di lettura del pensiero di Balducci circa il futuro dell’umanità. Nella sua visione planetaria la nuova identità in grado di esprimere una comunità universale resta comunità di “famiglie” e di individui che rispettano le tradizioni, che desiderano innovarle o che vogliono “tradirle”. Il diritto delle donna di riprodurre la propria cultura di appartenenza portando il velo deve essere garantito purché si consenta anche ad una sola donna della comunità di non portarlo e quindi di uscire dalla tradizione. E’ l’Exit right della singola persona che connette la diversità delle tradizioni al universalità dei diritti fondamentali.
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