Sarà anche la necessità di sdrammatizzare un po’ questo momento storico così difficile, ma non fosse davvero una dinamica reale quello di cui parlerò, potrebbe sembrare la trama di “Totò d’Arabia”, film antesignano della comicità italiana. Quello, per intenderci, famoso per la frase “ccà nisciuno è fesso”. Mentre l’inflazione non sembra arrestarsi a livello mondiale, toccando livelli sconosciuti da almeno 30 anni (Usa al 7,9% e Eurozona al 7,5%), gli anglosassoni (maestri del humour raffinato) hanno coniato un neologismo per fotografare la situazione in essere: “shrinkflation”, ovvero la crasi di shrink (riduzione) e inflation (inflazione). Come funziona? Le aziende hanno capito come scaricare l’inflazione sul consumatore, senza però alzare i prezzi, ma rimpicciolendo la quantità di prodotto venduto: si paga lo stesso, ma per avere qualcosa in meno. Lapalissiano. Un caso di “prestigirizzazione”(cit.). Alcuni esempi fanno davvero sorridere (non nominerò il nome delle aziende coinvolte): si va dal pacchetto di chips, rivisto con packaging accattivante, che contiene 10 patatine in meno, a due famose bevande analcoliche che hanno fatto bottiglie più aerodinamiche, più facili da afferrare (ma più piccole), fino ai grandi rotoli di carta igienica e/o scottex, ma con una trentina di fogli in meno. Ma la lista è lunga e coinvolge marchi di biscotti, formaggini, gelati, verdure surgelate: ovvero tutti quei prodotti dalle dimensioni ridotte, ma a veloce tasso di consumo e di cui diviene quindi più immediato abituarsi alle nuove dimensioni. Sorridiamo, ma l’escamotage riesce con successo poiché, come consumatori, siamo price conscious, (ovvero focalizzati sul prezzo) e non net-weight conscious, ovvero attenti alla quantità di prodotto. Così noi paghiamo di più, ma non ce ne accorgiamo: dovremmo guardare ogni volta il prezzo al kg/litro, esposto in piccolo sull’etichetta nel retro del prodotto, ma chi ci bada? Una distrazione però fatale e a vantaggio del produttore. Anzi spesso siamo convinti dell’affare, proprio perché attratti da una comunicazione basata sul prezzo (in calo), ma inerente a una quantità di prodotto minore. La shrinkflation funziona sempre? No, poiché la creazione del nuovo packaging comporta solitamente costi di produzione e attività di comunicazione a supporto e possibili esposti da parte delle associazioni consumatori, ma in contesti di inflazione duratura (come quelli attuali) i risparmi ottenuti superano velocemente il surplus di costo. Nell’epoca (dell’abuso) del “politically correct”, molte aziende motivano persino queste scelte con l’adesione a politiche di sensibilizzazione contro lo spreco di cibo, l’ecologismo, la riduzione del materiale plastico. Una nota azienda americana di cioccolato è riuscita a motivarla con una presa di posizione nei confronti dell’obesità. Se Totò potesse tornare in vita, di certo aggrotterebbe il sopracciglio e con aria un po’stupita, ma voce stentorea, esclamerebbe “ma mi faccia il piacere”.
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