C’è spazio per un’area “liberal” in Europa? La questione non è di poco conto. In molti paesi europei i partiti populisti radicali di destra e di sinistra continuano ad esercitare un peso elettorale non marginale. Le socialdemocrazie stanno affrontando una crisi politica e culturale con esiti diversi nei differenti paesi europei. La destra moderata – quella cristiano-democratica e conservatrice – deve invece far fronte alla spinte verso posizioni più estreme sui temi dell’identità, per competere con i partiti posti all’estrema destra. I partiti ecologisti – là dove esistono e hanno un peso elettorale consistente – sono costantemente alle prese tra radicalismo e pragmatismo di governo, in schermaglie interne che in alcuni casi li hanno dilaniati.
In questo contesto, pertanto, chiedersi se esista un’area politica – che per ora definiamo liberal – sufficientemente ampia, in grado di dare rappresentanza ad elettori delusi e preoccupati dalla deriva del centrodestra e dalla crisi delle socialdemocrazie, diventa necessario per l’esistenza stessa della democrazia rappresentativa, così come la conosciamo.
Che cosa intendo per “liberal”? Innanzitutto è bene chiarire che è un termine che il dibattito politico italiano mutua dal contesto americano, dove è sinonimo di “sinistra”. Fondamentalmente il “liberal” americano è un sostenitore della giustizia sociale e di un’economia di mercato mista, dove siano garantiti diritti civili e sociali.
Se però ci spostiamo dall’Italia agli altri paesi europei la situazione già cambia.
In Francia “libéral” è ormai una sorta di bestemmia. Nonostante il liberalismo abbia le sue radici tanto nel regno Unito quanto in Francia, nel paese dei Lumi è ormai associato a quello che il dibattito politico nostrano definirebbe come “liberismo”. Negli altri paesi il concetto è ancora diverso. Nei paesi nordici e dell’Europa centrale, esistono partiti liberali a destra e a sinistra e non sono necessariamente alleati tra di loro o con altri partiti di destra e di sinistra. In Germania e Olanda i liberali sono una forza di centrodestra; in Belgio, oltre al posizionamento sull’asse destra-sinistra, vi sono differenze che dipendono dall’appartenenza alla comunità regionale e linguistica; in Austria, il partito liberale, che pure ha governato con i socialdemocratici, è stato il partito rifugio di molti ex nazisti e negli anno Novanta il partito di Haider, la “start-up” del populismo di destra europeo. Nel sud dell’Europa nemmeno parlarne, a parte l’esperienza di Ciudadanos in Spagna, forse più in linea con le esperienze dei partiti liberali di centrodestra dei paesi del Nord Europa.
Nel Regno Unito, nonostante le percentuali elettorali alte, i Liberal-Democrats o LibDem contano molto poco nel Parlamento britannico. E storicamente il rapporto con i partiti di sinistra è stato molto forte. Non solo con l’attuale partito, che nasce dalla fusione tra il glorioso Partito Liberale di Gladstone e l’Alleanza Socialdemocratica di Roy Jenkins e della destra del Labour. Ma è grazie allo stesso Partito Liberale che il Labour riesce ad entrare in parlamento nel 1906, il frutto di un accordo tra l’allora leader dei Liberali e il futuro primo ministro laburista Ramsay MacDonald. Certo, poi, i Libdem hanno governato con i Tories nel primo governo di David Cameron. Ma molti nel Labour coltivano da tempo l’idea d’una “Progressive Alliance“ con i liberaldemocratici e i verdi per sconfiggere Boris Johnson, un progetto a lungo accarezzato anche Tony Blair, all’inizio della sua decennale carriera come primo ministro.
Dunque, il termine italiano forse più adatto a descrivere quest’area politica – e maggiormente comprensibile nel contesto europeo – è social-liberale. In questo modo si restringe di molto il campo. I social-liberali sono a favore del libero mercato ma anche dell’esistenza di soggetti regolatori e di regolamentazioni del mercato stesso; riconoscono la necessità dell’intervento pubblico là dove necessario, poiché comprendono l’esistenza delle disuguaglianze economiche tra ricchi e poveri; sono a favore dell’espansione dei diritti civili e politici; sono atlantisti e sostenitori del processo d’integrazione europea.
Ora partiti schiettamente social-liberali che abbiano avuto successo elettorale in Europa si contano sulle dita di una mano. È c’è una ragione. In molti paesi europei con forti partiti laburisti e socialdemocratici la prospettiva social-liberale era parte di quegli stessi partiti. O almeno ne hanno costituito per alcune fasi temporali la linea principale. L’esperienza stessa della Terza Via di Clinton, Blair e Schroeder e le esperienze governative in molti paesi europei tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila sono riconducibili all’idealtipo social-liberale (e per molti a destra e a sinistra la causa di tutti i mali del mondo attuale). Con la fine dell’esperienza della Terza Via, i partiti laburisti e socialdemocratici hanno scelto altre strade.
Per trovare qualcuno che, in qualche modo e decenni dopo quell’esperienza, adotti quelle idee in un partito che fa riferimento alla famiglia socialista europea bisognerà attendere Matteo Renzi e il tentativo di trasformare il Pd in un partito social-liberale “di massa”.
(il resto dell’articolo è possibile leggerlo su www.luminosigiorni.it)
Beppe Merlo
Renzi non e’ un social liberale, bensì’ un democristiano digitale del terzo millennio.
Visione poca, tattica molta, ‘politique d’abord ‘ si diceva una volta. Sta sul pezzo, usufruisce di una visibilità inversamente proporzionale al consenso, la volatilità al servizio del suo tatticismo e o’ egocentrismo lo posizionano come un bonapartista senza seguito ma von forte influenza. Uno spazio che occupa finché’ gli viene concesso. Da rivedere se lo spazio si chiude.