Un tempo si diceva che, a Torino, esistesse già una forma di “Governo del Presidente”. Aveva sede in Corso Marconi, al numero civico 10. Lì c’era l’ufficio dell’Avvocato, cioè del Senatore Giovanni Agnelli. L’Avvocato era il Presidente della Fiat. Ma correva voce che non disdegnasse di occuparsi anche del governo della Città. L’interessamento gli era consentito non soltanto per il peso economico che la Fiat aveva in Torino, ma anche per il carisma e l’autorevolezza che possedeva. Sebbene indirettamente, svolgeva cioè una sorta di “Governo del Presidente”.
Chi aspirava a governare le istituzioni pubbliche cittadine (Comune, Provincia e poi anche Regione) non mancava di fare un passaggio da Corso Marconi per esporre all’Avvocato le sue visioni per l’ente che si candidava a governare ed i programmi che intendeva mettere in campo per raggiungere gli obiettivi che si prefiggeva. Così l’Avvocato poteva, in qualche maniera, indirizzare gli sviluppi della Città. Forsanche indicare alcune candidature che potevano essere utili.
Ancor oggi, taluno giudica negativamente queste “procedure”. Che, tuttavia, avevano una loro giustificazione magari soltanto ― né poteva essere diversamente ― per confrontare le compatibilità dei programmi delle istituzioni pubbliche con quelli della casa automobilistica ed evitare inopportune interferenze con gli sviluppi di questi. Si creava così una “pax politica”, un compromesso storico alla piemontese, che faceva dialogare forze conservatrici e forze progressiste. Comunque, il dialogo era sempre mirato a far crescere Torino. Com’è noto, questo governo indiretto ha consentito alla città di Torino, da ultimo, di essere assegnataria, nel 2006, dei XX Giochi olimpici invernali.
Passando ai giorni nostri, concedendo anche come scusante il difficile momento della pandemia da Covid-19, la comprovata incapacità della classe politica di governare ordinatamente e proficuamente il Paese, ha indotto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a dare vita, a livello nazionale, ad un “Governo del Presidente”. Ha posto alla sua guida una persona di altissimo valore e prestigio. Lo compongono esponenti di partiti politici della sinistra e della destra, ma anche soggetti con “curricula” di altissimo livello professionale, slegati da appartenenze partitiche. In questa unione, si dovrebbero trovare equilibri tra istanze politiche ed esigenze tecniche che, sfuggendo da ideologie, dovrebbero essere tutte tese a far risalire il Paese dal baratro sanitario, economico e sociale nel quale è caduto, e non soltanto a causa di Covid. Il tempo dirà se ciò sarà avvenuto.
Tenendo sotto gli occhi questa formula e ripensando alle riferite metodologie che, in passato, portavano al governo delle istituzioni pubbliche torinesi e piemontesi, nasce un desiderio: ridare a Torino un “Governo del Presidente”. Certamente, lo schema sarebbe diverso da quello del passato. Né potrebbe essere assimilabile a quello di livello nazionale. Ma potrebbe contenere qualche elemento di questa speciale formazione di governo. Un leader in grado di coagulare attorno a sé forze politiche di varia estrazione, ma sulle quali egli ― per riconosciute competenza e saggezza, ed avvalendosi di collaboratori professionalmente preparati e non soltanto ventriloqui dei partiti politici di appartenenza ―, è capace di esercitare un’influenza determinante. Sorge questo desiderio poiché la situazione politica di Torino non è diversa da quella nazionale che ha indotto il Capo dello Stato alla scelta di un governo deciso da Lui.
A Torino, l’incapacità di un rinnovamento della politica si è manifestata in un ventennio di opaco governo della sinistra, presentatosi sempre con gli stessi volti (sebbene abili nello scambiarsi i posti di potere nelle istituzioni pubbliche). Tra l’altro, questo governo ha assistito, indolentemente, all’abbandono della Città da parte dell’industria automobilistica che ne era stata il simbolo per oltre cent’anni. Né ha saputo costruire progetti di sviluppo idonei a colmare il vuoto creatosi dall’abbandono della produzione automobilistica
Una destra ― poco radicata nella Città e altamente incline al consociativismo ― non ha rappresentato un’alternativa idonea a scardinare il monopolio della sinistra. Conseguenza inevitabile: spazio politico occupato dalla neonata formazione del M5S. Questa ha dato vita a un governo monocolore ― tuttora in carica ― avulso dalla realtà non soltanto cittadina, fortemente ispirato a stravaganti ideologie della “decrescita felice” e in permanente stato di conflitti interni. Ecco perché tornerebbe quanto mai opportuno un governo del presidente. E il momento lo potrebbe consentire.
Torino si sta preparando alle elezioni per il rinnovo dell’amministrazione civica. Ancor prima che ne sia stata stabilita la data, riprendono balletti e piroette di tipo personale, ma senza annunci di progetti capaci di dare rinnovata vitalità alla Città.
In questo contesto, non va dimenticato che la competizione elettorale riguarderà anche il rinnovo dell’amministrazione della Città metropolitana di Torino. Considerando che la Città metropolitana di Torino comprende 312 Comuni ― ciascuno con propri organi di governo e rappresentativi di una popolazione di oltre 2 milioni di abitanti, più della metà dell’intera popolazione piemontese ―; che copre una superficie superiore a un quarto del territorio del Piemonte e che il Sindaco di Torino è di dritto anche il Sindaco della Città metropolitana, non sfuggono gli intrecci ― quasi sempre ignorati ― che inevitabilmente esistono tra progetti riguardanti il Capoluogo della Regione e quelli da realizzarsi nella Città metropolitana.
Per queste ragioni, sarebbe auspicabile che l’aspirante Sindaco fosse persona autorevole, in grado di trovare gli equilibri tra le forze politiche occorrenti per una rinascita della Città e capace di interloquire, positivamente, con l’amministrazione regionale e le istituzioni nazionali. In buona sostanza, il leader di uno pseudo “Governo del Presidente”. Se non sarà così, il declino di Torino potrebbe essere irreversibile.
Lascia un commento