Se sia giusto aumentare la tassazione sui cosiddetti extraprofitti delle aziende, in condizioni di emergenza (perché se neanche sussistessero tali condizioni, non avrei alcun dubbio sul fatto che sia profondamente iniquo), non mi è per niente chiaro.
Innanzitutto sussistono degli evidenti problemi contabili, dovuti alla difficoltà di individuare la soglia che discrimini i profitti in eccesso da quelli, per così dire, legittimi. Anzi, il problema è perfino duplice: in primo luogo, come detto, non si capisce come possa essere stabilita tale soglia (se qualcuno ci riuscisse in maniera attendibile, sbancherebbe tutti i mercati azionari), ma poi, ammesso e non concesso che la si possa determinare in maniera incontrovertibile, come si farebbe a stabilire che i suoi eventuali sforamenti dipendono da fattori contingenti e non, ad esempio, da un’aumentata produttività dell’azienda, dovuta magari a costosi investimenti fatti negli anni precedenti, che avrebbero dispiegato i propri effetti sui profitti anche in assenza dei fattori contingenti?
Ma il punto principale non è neanche questo.
Il vero punto è che se le aziende producono profitti «extra» (e se i prezzi al consumo aumentano), lo Stato, senza ricorrere ad alcun prelievo speciale, già ottiene di conseguenza delle entrate extra, dovute ad almeno le seguenti quattro voci (e non essendo particolarmente ferrato in materia di contabilità dello Stato, non escludo che possano essercene anche altre):
1) extra gettito della corporate tax (che da noi si chiama IRES), che viene applicata appunto sui profitti delle aziende;
2) extra gettito dell’IRAP (Imposta regionale sulle attività produttive), calcolata anch’essa sui profitti delle persone giuridiche;
3) nel caso specifico dell’aumento del prezzo dei carburanti, a parità di volume dei venduti, extra gettito dovuto alle accise, dal momento che vengono applicate in percentuale su tale prezzo (il 58,2% sulla benzina e il 51,1% sul gasolio per autotrazione);
4) extra gettito dell’IVA, dovuto all’aumento generalizzato dei prezzi (che nel caso dei carburanti viene calcolata su una base imponibile che addirittura include le accise).
In astratto si potrebbe obiettare che tali entrate addizionali, in particolari momenti di crisi, possano essere elise da mancate entrate su altri fronti (ad esempio la diminuzione dei versamenti IRES di altre aziende che hanno visto aumentare i propri costi), ma, nel nostro specifico caso, il MEF dichiara che nel periodo gennaio-novembre 2022 le entrate tributarie sono aumentate di ben il 10,1% rispetto al medesimo periodo del 2021, per ragioni tra le quali figurano anche:
«gli effetti dell’incremento dei prezzi al consumo che hanno influenzato, in particolare, la crescita del gettito dell’IVA»
come ci informa testualmente il MEF stesso, aggiungendo poi che il gettito dell’IRES è aumentato addirittura del 44%! [Link alla fonte nel primo commento].
Quindi, qualora lo Stato decidesse di applicare un prelievo addizionale sui profitti delle aziende ai fini di un qualche impiego, dovrebbe, per un patente fatto di equità, dirottare sui medesimi impieghi anzitutto gli extra gettiti derivanti dalle voci di cui sopra, perlomeno nel caso in cui il bilancio tributario registri un attivo.
Che significa, nella nostra situazione, che prima devi tagliare (o restituire) le entrate extra delle accise (e dell’IVA) sui carburanti (e, nel caso dell’IVA, anche su altri generi di largo consumo), e soltanto dopo, nel caso non sia stato sufficiente, puoi cominciare a ragionare riguardo la tassazione degli extraprofitti delle aziende, con tutte le cautele del caso.
Per motivi di preservazione del tessuto produttivo del paese e anche per un fatto che definirei di natura morale, con le due cose che coincidono molto più spesso di quanto si pensi.
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