Se non avessero già il copy-right Calenda e Renzi, l’autentico Terzo Polo, all’indomani delle regionali, sarebbe l’astensionismo: visto che in Lazio ha votato solo il 37,2% della popolazione e in Lombardia il 41,6%. Allora è lui il vero vincitore di questa tornata elettorale, altro che Fratelli d’Italia che comunque si aggiudica un brillante secondo posto.
Chiamatela come vi pare (crisi della rappresentanza, crisi delle istituzioni o addirittura crisi della democrazia) il dato è impressionante e dovrebbe interrogare tutti: sia i vinti che i vincitori, anche perché, come ci spiegò Verga nella sua celebre introduzione a “Mastro don Gesualdo”, i vincitori di oggi potrebbero essere i vinti di domani.
E allora vediamo un po’ di fare il punto della situazione e di capire che cos’è che non funziona nell’insieme e nel particolare. Non funziona più il maggioritario perché spinge gli italiani a dividersi ancora una volta in guelfi e ghibellini, interisti e milanisti, romanisti e laziali, post-fascisti e antifascisti; e a votare – lo ha detto Carlo Calenda che sta ancora provando a mandar giù il boccone amaro del risultato deludente soprattutto nel Lazio dove giocava “in casa”- come se fossero al palio di Siena, dove notoriamente ognuno tifa per la contrada di appartenenza a prescindere dal cavallo e dal fantino.
Non ha torto il leader di Azione a prendersela con gli italiani che partecipano alla politica con lo spirito dei tifosi, ma non basta questo ragionamento a spiegare la debacle del suo Terzo Polo (quello del marchio depositato). Eh sì, perché è già da un pezzo che lui e Renzi stanno facendo le prove generali del partito liberal-democratico, e intanto si sono fermati esattamente dov’erano a settembre, cioè alla federazione. Va bene che si sono dati come obiettivo di fare il salto di qualità alle europee del 2024 – peraltro di tipo proporzionale e quindi teoricamente a loro vantaggio -, ma se continuano con le prove e le riprove, rischiano di finire come quei fidanzati che dopo anni e anni di fidanzamento perdono l’entusiasmo, la credibilità e persino la voglia di sposarsi.
Veniamo alla medaglia d’argento: colei che ha cavalcato bene l’onda lunga del suo successo alle elezioni politiche e che, dopo alcune sbandate iniziali tipo quella sui rave-party, ha saputo mostrarsi in una veste istituzionale più consona al suo ruolo e soprattutto al prestigio dell’Italia a livello internazionale. Per cui, schierarsi sul fronte atlantico ed europeista senza se e senza ma, compreso il sostegno armato all’Ucraina, è stata una mossa vincente, con ricadute positive per lei anche sul piano della politica nazionale. Lo testimonia il risultato di Fratelli d’Italia in Lombardia e ancora di più nel Lazio.
Tutte rose e fiori, dunque, per Giorgia? Non mi sembra, visto che l’alleanza di centro-destra e poi di destra-centro si è ormai stabilizzata in destra tout court; perché la Lega ha tenuto, soprattutto in Lombardia grazie a Fontana, ma Forza Italia è ulteriormente scesa, anche se non sotto la fatidica soglia del cinque per centro che ne avrebbe decretato il funerale.
Ragione per cui, Silvio Berlusconi diventa sempre di più la mina vagante che potrebbe far saltare il banco da un giorno all’altro, come dimostrano le sue esternazioni filo-putiniane di questi giorni, che rischiano di imbarazzare la premier e di mettere in crisi tutto il lavoro da lei fatto per accreditarsi come partner fidato degli americani e dell’alleanza atlantica.
Anche il Pd ha mantenuto le sue quotazioni, a dimostrazione del fatto che una base di votanti ce l’ha sempre, nonostante la crisi di leadership in cui si è avvitato negli ultimi cinque anni che hanno visto nominare e cadere ben tre segretari. Certo è che ha perso la Regione Lazio dopo un ventennio di governo quasi ininterrotto. E soprattutto sul suo futuro pesa l’incognita di un congresso autoreferenziale e per molti versi distante dalle problematiche dell’Uomo qualunque.
Così torniamo al punto di partenza, ovvero la disaffezione della gran parte degli italiani per la politica e le offerte che la stessa mette in campo. Se i partiti non la smetteranno di contemplare il proprio ombelico (un’attività nella quale bisogna riconoscere la supremazia della sinistra ma anche degli aspiranti liberali), o di offrire immagini contraddittorie di sé come fa Forza Italia in cui si alternano le oscene sparate di Berlusconi a favore della Russia e poi i rattoppi di Tajani, o di proporre una classe dirigente fatta di personaggi che non riescono a controllare le loro pulsioni (del tipo Delmastro e Donzelli), è certo che anche in futuro le elezioni continuerà a vincerle il neo-partito dell’astensionismo.
Elisabetta Briano
Ai partiti va bene così. I votanti sono una minoranza e sono per lo più benestanti; chi fatica a campare non ci va. Ne consegue che gli interessi da rappresentare sono solo quelli della fascia medio alta del paese ed è quindi il gioco della spartizione risulta più facile. Se prosegue la linea di tendenza e a votare ci andranno più soltanto i candidati con i loro famigli e clientes meglio ancora….per loro.