In Palestina la guerra è riesplosa su larga scala. Non che, in realtà, fosse mai finita, semplicemente si era un po’ assopita venendo così relegata tra le notizie per specialisti, spintonata via dalle nuove emergenze della cronaca: Ucraina e Taiwan sulle altre. Tutto scorre, verrebbe da dire ricordando il grande e tenebroso Eraclito di Efeso, e il dissolversi dalle prime pagine della pandemia da Covid-19 lo testimonia. Non è che il virus non ci sia più. Anzi. Si continua pure a morire, ma la percezione del rischio è diversa, perché esistono vaccini, cure e poi la faccenda sembra riguardare in sostanza i cosiddetti “fragili” e quindi alla maggior parte di noi, che si ritiene a torto o a ragione sana e robusta, importa poco.
Palestina, dunque, nel senso di regione geografica. Con il tradizionale corredo di schieramenti pro e contro Israele, quasi si trattasse di una partita di calcio in cui ci si schiera a difesa dei propri colori. A prescindere. Storia e politica finiscono sbattute in soffitta, trionfa l’inscalfibile moralismo da bar. Per quanti amano approfondire, la dimostrazione che Macchiavelli non è stato ben compreso ancora dentro il XXI secolo dell’Era Comune.
Perché la questione resta sempre la stessa: cosa deve guidare l’agire politico? Secondo molti bisogna ci sia una solida base di natura etico-morale, per Macchiavelli, come noto, il vero fondamento non poteva che essere la nozione di interesse. Semplifico, è chiaro. Il pensiero dei primi appoggia su un retroterra solido, il quale affonda le radici nel pensiero greco e soprattutto nel romano bellum iustum e nella necessità di non offendere gli Dèi, i quali altrimenti si schiererebbero dall’altra parte. Un’idea che l’affermarsi del Cristianesimo riciclerà a proprio uso e consumo, al punto da giustificare i bagni di sangue delle Crociate perché Deus vult! Già, Dio lo vuole e che sia quello di Mosè, Gesù Cristo o Maometto non fa differenza. Per tutti c’è Paradiso, come nell’originale persiano, e Vita Eterna e Felice se caduti per affermare i valori chiave della Fede. Quella degli altri non è mai contemplata. La vera novità la introdusse il maledetto Macchiavelli. Gli Dèi e Dio vennero spintonati fuori dalla Storia, perché la Politica era cosa dell’Uomo, la sola specie sul Pianeta dedita alla conquista del potere in ogni sua forma. Il geniale segretario della Repubblica Fiorentina l’aveva ben capito.
La riflessione ha da quel momento di continuo oscillato tra questi due poli. Lo vediamo oggi, perché lo sforzo della propaganda, chiamata adesso Guerra Informativa, è grande da parte di qualunque attore in campo. Si tratta di tenere unito il fronte interno, stimolandone la voglia di combattere e di accettare il sacrificio certo dei beni e probabile delle vite, se non altro delle persone care. Poi, di aggregare al proprio fronte gli incerti, facendo leva su valori ritenuti comuni. Infine, d’indebolire l’avversario, insinuando dubbi capaci di ridurne la volontà di lottare e sottrargli possibili alleati. Da qui l’enfasi sugli aspetti peggiori dell’azione della controparte. Gli uomini di Hamas hanno sgozzato e decapitato perfino i bambini nelle culle, violentato e ucciso ragazze indifese, rapito anziane e anziani strappandoli alla loro pacifica vita quotidiana. Dall’altra parte, gli israeliani bombardano e occupano militarmente ospedali, ambulanze, case civili e tagliano ogni tipo di rifornimento per affamare, assetare e impedire la fuga della gente inerme. Un bel campionario, non c’è che dire. Appena visto in azione in Ucraina, dove entrambi le parti si accusano reciprocamente di “nazismo”, variamente declinato.
Forse Macchiavelli aveva torto? L’agire politico pare dover avere una qualche base morale, visto che la difesa di valori fondamentali sembra all’origine del comportamento generale, rappresentando l’elemento su cui calibrare le scelte di schieramento ed evitare di precipitare nella barbarie pura e semplice. Come dando un’occhiata alle manifestazioni di piazza in Occidente a favore dei Palestinesi parrebbe certo. I governi dello stesso Occidente, d’altronde, nel posizionarsi compatti e decisi a fianco di Israele si sono basati su altrettanti elementi morali: andiamo dalla colpa storica dell’Olocausto, Germania in particolare perché gli altri fanno finta di non averne alcuna parte, alla difesa dell’unica democrazia dell’intero Vicino Oriente della maggioranza. Stile di vita occidentale incluso. Dopo di che, sappiamo benissimo che al di là della Guerra Informativa o propaganda le scelte concrete dei governi attingono sempre le proprie ragioni dalla nozione di interesse nazionale e, quindi, in sostanza da Macchiavelli.
L’Occidente appoggia l’Ucraina e Taiwan, fornendo loro supporto diretto e indiretto, perché ormai impegnato nel duello decisivo con Russia e Cina: sono utili ad arginare l’espansionismo imperiale delle due democrature euroasiatiche. Intanto, i giganti del futuro, India e Brasile in testa, attendono sornioni gli sviluppi. L’Islam nel contesto è una sorta di variabile indipendente, che vorrebbe giocare da sola, ma dall’unico collante reale rappresentato dalla vocazione anti-occidentale. Del resto, a nessuno sarà sfuggito che Hamas è stata lasciata sola contro Israele. Hezbollah, Iran, Siria di Assad, Houthi yemeniti hanno al massimo lanciato qualche razzo, giusto per far vedere che esistono, ma si sono ben guardati da intervenire a fianco dei “fratelli” di Gaza. Come questi si aspettavano, perché probabilmente concordato. L’attacco simultaneo da Nord e da Sud con i Territori a esplodere da Est avrebbe messo di sicuro in crisi Tsahal. Stavolta davvero colto di sorpresa e non più veloce nella reazione come una volta. Non per niente gli USA si sono subito preoccupati di aprire i loro depositi di armi pre-posizionati e, soprattutto, di schierare i gruppi d’attacco delle portaerei per dare profondità strategica alle forze di Israele. Poi, hanno avviato la loro Guerra Informativa.
Bambini ebrei d’Israele o arabi di Gaza? Per i superficiali la questione pare in questi termini. Come fino a poco tempo fa sembrava dovessero confrontarsi bambini ucraini contro coetanei russofoni del Donbas. La guerra deve tenersi lontana dai civili. E quando mai è stato così? Fanno sorridere i “buoni” di ogni angolo del Mondo. La guerra riguarda e coinvolge in prima istanza i civili. Sono i civili che, non solo nei fatti ma dichiaratamente, vanno colpiti. In epoche recenti successe durante la Battaglia d’Inghilterra del 1940 e l’offensiva aerea sulla Germania tra il 1942 e il 1945 o quella sul Giappone, dove non per caso sono state lanciate due atomiche. La meta è spezzare la volontà di combattere del nemico. Come? I nostri antenati Romani facevano «il deserto e lo chiamano pace», scrisse Tacito. Il quale parlava dei “suoi”. I Veneziani, in tempi meno remoti, praticavano il saccheggio e la deportazione sistematica per fiaccare il nemico. Gli Inglesi hanno usato campi di concentramento per la popolazione afrikaans al fine di avere ragione della resistenza dei Boeri in Sudafrica. Uccidendo donne e bambini più che guerriglieri dei kommando. Potrei continuare all’infinito.
Quindi, basta con le ipocrisie. Quando la parola passa alle armi, i civili ne sono i destinatari naturali. Vince chi ne ammazza di più. È sempre stato così e continuerà a esserlo. La guerra pulita, limitata allo scontro tra professionisti super-addestrati i quali se la giocano tra di loro è un antico sogno, di continuo riproposto e ogni volta dissolto dal contatto con la realtà. Allora, che si fa? L’unica risposta possibile la fornisce proprio il maledetto Occidente che tutti, in nome apparente della loro autonomia ma in realtà solo per occuparne il posto, sognano di abbattere. Perché è l’Occidente che ha concepito e prodotto le idee di libertà individuale, democrazia, diritto, intervento pubblico per limitare i danni della prepotenza dei singoli. Niente male, bisogna ammettere.
Qualcuno osserverà che la cosiddetta “esportazione dei valori” ha portato negli ultimi due decenni a un’infinità di conflitti in ogni parte del Pianeta e al fallimento dei vari esperimenti tentati. È vero. Resta il fatto che tra poter indossare una minigonna, come a Kabul e Teheran era normale negli Anni Settanta del Novecento, e morire perché lo hijab non è posizionato correttamente esiste sempre una grande e ineliminabile distanza. La quale passa per le aule di scuola e si riversa nelle strade dell’esistenza quotidiana, perché la cultura altro non è che «mentalità suscettibile di diventare stile di vita», come scrisse a suo tempo Georg Mosse. Quale stile di vita si vuole? Esistono differenze di valore tra le diverse opzioni?
La cancel culture sarebbe divertente se non comportasse pericolose conseguenze. Abbattere statue di Colombo perché simbolo di oppressione coloniale fa ridere, se non portasse sull’altro piatto l’esaltazione delle culture precolombiane. Le quali hanno avuto grandi meriti artistici, ma sono state sotto ogni aspetto terrificanti esempi nel concreto. O ci dimentichiamo delle piramidi innalzate per strappare il cuore a vivo delle vittime umane il più vicino possibile agli Dèi celesti? I massacri su larga scala dei vinti, la schiavitù degli sconfitti, le uccisioni e la divisione in caste, di genere, economiche… esistevano anche altrove? Certo, però il maledetto pensiero occidentale ha partorito anche i possibili antidoti, in nessun’altra parte del mondo è accaduto mai niente di simile. Neppure si sono succedute la serie di rivoluzioni che hanno portato alla vittoria questi principi. “Esportandoli” in tutto il Mondo. A cominciare dalle colonie. Forse un giorno bisognerà tornare sulla storia del colonialismo, cercando di schivare quanto possibile le scorciatoie ideologiche.
Attenzione, dunque. Il più pericoloso dei ragionamenti capziosi passa dall’equiparare tutti i morti e qualunque guerra. Perché i primi sarebbero sempre da piangere e le seconde rappresenterebbero comunque il male. Quasi i principi etico-morali appiattissero ogni differenza. Qua Macchiavelli non ci aiuta, se non attraverso la nozione di interesse: quale il nostro in tutta la faccenda? Però una mano ce la danno anche proprio i valori, i “nostri”, del maledetto-amato Occidente. Perché combattere e morire per imporre agli altri la conversione al mio “stile di vita” non fa di me una vittima in quanto cadavere. Lo fa se la cultura per la quale lotto merita di essere valutata superiore. Perché, è ora di affermarlo con chiarezza, non tutte sono sullo stesso piano. Non lo sono mai state. Alcune presentano elementi capaci di cambiare in meglio la vite di singoli e intere società. Altre no. Dobbiamo deciderci, insomma: bisogna stabilire se libertà, democrazia, diritto, pur con le loro manchevolezze, valgano di più di sottomissione, autoritarismo, arbitrio. Altrimenti massima diventa la confusione sotto il cielo. Solo in senso negativo, però. E il futuro diventerebbe di colpo cupo.
(articolo apparso su www.luminosigiorni.it)
Federico Moro vive e lavora a Venezia. Di formazione classica e storica, intervalla ricerca e scrittura letteraria, saggistica, teatrale. È membro dell’Associazione Italiana Cultura Classica e della Società Italiana di Storia Militare.
Ha pubblicato saggi, romanzi, racconti, poesie e testi teatrali.
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