Nel dibattito internazionale sulle prospettive dell’economia, comincia a emergere, anche per le sofferenze dei mercati finanziari, un tema finora sottovalutato. La stagflazione sembrava, infatti, un pallido ricordo del passato, specialmente nelle forme assunte negli anni Settanta per effetto delle crisi petrolifere e dell’interruzione dello sviluppo propulsivo dei due decenni precedenti. La frattura fu netta, perché vennero duramente colpiti i Paesi impreparati a un’innovazione di fondo e fu inferto un colpo inaspettato alla teoria keynesiana. L’inflazione non era affatto moderata e non accompagnava la crescita, ma si abbinava, in un cocktail micidiale, alla stagnazione economica. Da allora in poi, le strategie espansive per risollevare l’economia globale si sono sempre più rarefatte e il mondo si è incamminato in una quasi ininterrotta “età di crisi”, secondo l’espressione coniata da Antonio Di Vittorio. La ripresa dopo la pandemia deriva in parte da un rimbalzo naturale, dovuto alla riapertura delle attività economiche, e in parte da una crescita vera, sorretta da un clima economico e sociale del tutto nuovo, simile a quello del dopoguerra. Eppure, Nouriel Roubini, soprannominato “dottor destino” per essere stato tra i pochi a prevedere le crisi, ha esaminato il rischio di una combinazione tra uno stimolo eccessivo della domanda aggregata e una serie di shock negativi dell’offerta a medio termine, che potrebbe portare a una ricomparsa in grande stile del fenomeno stagflattivo. Solo che, in questo caso, un evento del genere non segnerebbe il passaggio da un ciclo economico espansivo a uno recessivo, ma da una fase di iniziale risalita a una di contrazione della crescita. Nell’articolo dal titolo “Riccioli d’oro sta morendo”, Roubini, richiamando un’antica favola, indica quattro prospettive plausibili dopo l’impennata dei prezzi. Nello scenario dorato (Goldilocks), previsto da molti analisti di mercato e politici, l’economia globale aumenterebbe notevolmente e l’inflazione manterrebbe un andamento tenue, corrispondente all’obiettivo del 2%: la lieve stagflazione dipenderebbe dalle varianti pandemiche e le restrizioni negli approvvigionamenti sarebbero temporanee. Nel secondo scenario, quello da lui pronosticato, si verificherebbe un surriscaldamento dell’economia, con una crescita resa possibile solo dal progressivo superamento delle strozzature dell’offerta: l’inflazione si attesterebbe su livelli elevati, per motivi non effimeri. Nel terzo scenario, si assisterebbe a una stagflazione prolungata, provocata da una forte spinta inflazionistica e da un andamento economico molto fiacco. Nel quarto scenario, prevarrebbe un rallentamento della ripresa, con un indebolimento durevole della domanda aggregata e un’inflazione più bassa. In queste ipotesi, il “surriscaldamento” comporterebbe l’inasprirsi di due condizioni estremamente sfavorevoli per l’azione delle Banche Centrali. Infatti, una pericolosa “trappola del debito” (pubblico e privato) e un’inflazione costantemente al di sopra dell’obiettivo potrebbero portare a una completa stagflazione. Nei mesi scorsi, anche Kenneth Rogoff aveva preventivato un ritorno ai problemi strutturali degli anni Settanta. Ora, a causa delle limitazioni di forniture, della carenza di manodopera, dei blocchi di diverse filiere produttive e dei costi di conversione della transizione energetica, il timore di un aumento dei prezzi persistente si sta insinuando tra i vertici delle istituzioni finanziarie internazionali. Gli Stati Uniti e la Cina stanno sperimentando per primi queste incognite. L’Europa si trova ancora in uno stato di relativa reflazione, ma le tensioni sui prezzi che si avvertono in Germania potrebbero preludere a un’accentuazione del fenomeno nell’intero continente. Per non parlare delle aree meno avanzate, per le quali la minaccia della stagflazione può essere rovinosa. Tuttavia, i poderosi investimenti innescati con i programmi di ripresa potranno contribuire, man mano che assumono corpo, a lenire le preoccupazioni dei mercati per questa crisi inedita sul versante dell’offerta. Perciò, può darsi che sia più calzante il paragone con il periodo successivo alla seconda guerra mondiale, anziché con gli anni Settanta. Allora, dopo un principio di inflazione nei territori anglosassoni, vi fu una rapida inversione di tendenza e la situazione si normalizzò, dando avvio all’epoca di più intenso sviluppo del Novecento. Certo è che oggi le autorità monetarie devono camminare sul filo, misurando bene l’applicazione dei loro strumenti e sperando che l’economia reale dei produttori riesca a sostenere un incremento stabile del reddito, dell’efficienza e dell’occupazione.
(questo articolo con il consenso dell’autore è ripreso dal quotidiano Il Mattino del 09/10/21)
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