Qualcuno mi chiede un parere, da economista, sulle proposte dei partiti o meglio delle coalizioni che si propongono a governare il paese, in tema di politica economica di governo.
Sfida impossibile. Appare troppo difficile eliminare il “rumore di fondo” delle mille e mille proposte “à la carte” che i vari partiti fanno ai cittadini “clienti” per invogliarli ad entrare nel proprio ristorante. Si propone di tutto, dalla carne al pesce, dal vegano all’indiano, tante portate, abbondanti e a poco prezzo. C’è chi si è specializzato anche nelle “offerte gratis”. Gratis, subito e per tutti. E che volete di più?
In un mondo perfetto tutto risulta facile: a sinistra ci sta, non dico Marx che funge solo da “special guest”, ma piuttosto Keynes e i “teorici del fallimento dello Stato”. La “mano pubblica” serve e va utilizzata solo laddove il mercato fallisce. E su questo si esalta il dibattito nel centrosinistra. Si va dai “comunisti dentro” che vedono ovunque fallimenti e crisi, e quindi vedono lo Stato come il grande salvatore, e i riformisti che invece, sempre dotati di capacità di “analisi fine”, usano lo Stato e la mano pubblica solo come “ultima arma”. Da utilizzare con attenzione: “handle with care”.
A destra c’è invece l’amore per il mercato. Gli individui sono i reali portatori di diritti e di interessi ed è principalmente nella libertà, di cui il mercato è il principale strumento, che gli individui si esaltano e raggiungono, o meno, i propri obiettivi di ruolo, di carriera e di status. Lo Stato si accetta al minimo, solo per l’ordine pubblico e sociale e per il rispetto delle regole, e al massimo si accetta una presenza nel welfare purché non sia troppo invadente e, più che altro, non impedisca ai cultori della libertà e del mercato di utilizzare in alternativa lo strumento del mercato e della sovranità del consumatore anche nei servizi sociali.
Ma questo è il mondo perfetto che sta nella nostra “testa ordinata” di economisti della vecchia generazione. Nel mondo nuovo c’è un certo “rimescolamento” dei principi base e lo scontro fra destra e sinistra si presenta in maniera meno netta su alcuni elementi che un tempo erano fondamentali e spazia invece su altre coordinate.
Lo scontro sullo Stato non appare più netto come un tempo si poteva pensare e troviamo sia a destra che a sinistra un grande amore per il dirigismo di stato e per l’intervento pubblico su una gamma di “fallimenti del mercato” che appare immensa. Dalla assegnazione delle concessioni, che non può seguire “logiche di mercato”, alle politiche del lavoro che per molti dovrebbero essere completamente sottratte da qualsiasi logica di domanda e offerta.
Il M5s e la Lega, ma per alcuni versi anche Fratelli d’Italia, pensano allo Stato come un soggetto fortemente attivo nei confronti della vita delle persone. E il PD, che da tempo ha giustamente abbadonato una visione statalista, appare oggi un “partito moderato” rispetto alle visioni decisamente estreme che animano oggi sia la destra che la sinistra per di più in versione grillina. E’ chiaro che il minor tasso di statalismo si ascolta nel Terzo polo che vive un’altra atmosfera fra il vitalismo spinto di Renzi e il liberalismo, pur socialista, di Calenda.
A destra magari resiste, come lascito storico, l’abbassamento delle tasse e la pace fiscale (condoni, evasione controllata, etc), che però mal si adattano all’interventismo statale. A meno di non seguire la Moderna Teoria Monetaria che professa candidamente l’irrilevanza del Debito Pubblico come problema attuale degli Stati sovrani. E forse la Lega non è escluso che abbia un “flirt” con questo raggruppamento di studiosi che in Italia e nel Mondo si dilettano di tale teoria.
Un altro tema rilevante nell’Agenda politica attuale è quello della disuguaglianza. Un tema difficile e di particolare sensibilità sociale dopo due anni di lockdown e un anno di guerra. I sistemi sociali, anche quelli dei paesi avanzati, hanno visto crescere la disuguaglianza e hanno messo in maggiore evidenza, anche per effetto di migrazioni consistenti di popolazione da paesi in difficoltà, l’emergere di fasce di popolazione povera. E’ un tema sentito sia a destra, che nel centro che a sinistra. Un tema che va affrontato ma che divide la politica sugli strumenti. Il M5s è il partito più identificato con la scelta del Reddito di cittadinanza. Una scelta che ha evidenziato diverse criticità ma che non ha ricevuto dagli altri partiti una risposta organica alternativa. Per questo la narrazione del M5s tiene nonostante tutto e rappresenta la base per la sua probabile tenuta elettorale. Il passaggio dal reddito di cittadinanza al lavoro di cittadinanza potrebbe essere la chiave per il superamento dell’attuale criticità. Un passaggio che sta dentro le corde sia del PD, nella sua componente riformista, sia del Terzo Polo ma che richiederebbe un maggiore approfondimento. La destra su questo tema si tiene relativamente abbottonata: certamente c’è una grande attenzione alla povertà, e al popolo che soffre, ma al di là dei sussidi emergenziali legati prima al covid e dopo alle bollette energetiche non si va.
L’ultimo vero spartiacque fra destra e sinistra appare oggi il rapporto con l’Europa. La sinistra riformista e il Terzo polo sono Europeisti senza se e senza ma. Il M5s viene da una politica antieuropeista ma oggi appare in una situazione di sovranismo debole. Non si critica più l’istituzione ma gli uomini. Come facevano i cattolici del dissenso negli anni 70 verso la Chiesa di Roma. Un modo per apparire ancora critici ma nello stesso tempo non contrari al sistema. Un po’ dentro, un po’ fuori. La posizione della destra è invece più complessa. E anche più diversificata all’interno della coalizione. Se Forza Italia sta vicina a PD e Terzo Polo, la Lega ha ancora forti rigurgiti sovranisti mentre Fratelli d’Italia sembra aver abbandonato i toni estremi del sovranismo ma dentro una cultura che continua ad essere fortemente nazionalista. E la frase prima gli italiani in un contesto di Europa unita non è che sia distruttivo in sé ma è in primo luogo impossibile. Perché se prevalesse in Europa il nazionalismo spinto del “prima i nostri” non solo non reggerebbe l’Europa ma non reggerebbe neppure l’Alleanza sovranista. Non si può essere tutti “primi”. E’ chiaro che in una campagna elettorale lo slogan “prima gli italiani” riceve un grande sostegno di popolo. Nella attività di Governo, in caso di vittoria netta della coalizione di destra, tale posizione appare del tutto velleitaria.
In conclusione si può dire che dalla campagna elettorale risulta difficile capire quali potranno essere i capisaldi della politica economica del futuro Governo. Si potranno vedere solo vivendo. E noi vivremo, in attesa che, tolti i “rumori di fondo”, si comincino percepire le strategie.
Rino
Analisi di profonda conoscenza della catastrofica situazione economica del ns Paese