Nella posizione degli intellettuali organici, dei compagni di strada e nell’atteggiamento del PCI verso Arcipelago Gulag c’era il rifiuto di aprire gli occhi sulla realtà perché avrebbe significato ammettere il fallimento della rivoluzione bolscevica e quindi della ragion d’essere che aveva portato alla nascita dei partiti comunisti? Perché, come aveva scritto Fortini, se tutto questo fosse vero “bisognerebbe concludere che la rivoluzione socialista è fallita […] la nostra vita è stata inutile».?
Nella domanda c’è la risposta: già prima di Arcipelago Gulag (1974) ne erano accadute di cose e nessuno poteva dire di non sapere quale fosse la mostruosa realtà del sistema sovietico. Non solo libri, come ad esempio quello di Victor Kravcenko, ma fatti come la repressione brutale della rivoluzione ungherese e poi quella di Praga, persino la nuova mitologia del comunismo cinese, il libretto rosso di Mao, erano giunti al capolinea. Pol Pot dava il via al genocidio in Cambogia. Dal glorioso Vietnam scappavano a migliaia rischiando la vita (boat people). Inoltre arrivavano in Europa occidentale i perseguitati del dissenso sovietico, reduci dai lager e dai manicomi dell’era di Breznev. Quando uscì arcipelago Gulag in Francia ci fu un’enorme reazione e molti intellettuali capirono che era giunto il tempo di prendere atto di quel mostruoso sistema creato con il totalitarismo comunista: Perché in Italia ciò non avvenne? Perché da noi gli intellettuali “impegnati”, molto impegnati anche ad occupare poltrone, chiusero gli occhi e addirittura marchiarono di pensatore reazionario il povero Solgenitsin. Parte notevole degli intellettuali italiani erano “bigotti” e come vedremo facili a passare dal sessantottismo al bigottismo. . Oggi ne vediamo ancora gli effetti. In Francia, dove si prese atto del fallimento del comunismo, la gauche poté andare al potere. In Italia no, o meglio, si adattò al sistema di potere dominante con l’aiutino della grande borghesia illuminata e delle “Procure giustizialiste”
Quanto pesò il differente impegno a sostegno dei dissidenti nell’Unione sovietica nei rapporti tempestosi tra il PCI di Berlinguer ed il PSI di Craxi? Si pensi alla vicenda della Biennale del dissenso a Venezia del 1977 fortemente voluta dai socialisti, contro cui tuonavano i sovietici con gli sbandamenti evidenti nel PCI che si salvò promuovendo tardivamente un convegno riparatore a Firenze promosso dal Sindaco Gabbugiani
Molto e giustamente si fa riferimento alla vicenda della Biennale del dissenso a Venezia del 1977, contro cui non solo protestarono i comunisti sovietici ma “mugugnò” anche il PCI che pure diceva di voler cambiare verso. Salvo la eccezione del Sindaco Gabbuggiani a Firenze che però non fu seguito dal grosso del partito, nemmeno dall’ala più attenta al riformismo.
Bettino Craxi che curava allora i rapporti internazionali del PSI, segretario De Martino, non fece mancare il suo sostegno a Solgenitsin. La traduzione italiana di Arcipelago Gulag fu salutato da Craxi come “l’atto di accusa più vero e profondo nei confronti degli inquisitori della nuova era” (in “Avanti” 10 gennaio 1974.
Naturale che quando Craxi dopo De Martino approdò alla segreteria del PSI i rapporti con il PCI divennero sempre più difficili
E questo rifiuto a vedere la realtà sovietica per quello che era non persiste ancora oggi nelle resistenze a classificarla tra i totalitarismi del secolo, che porta al rifiuto del concetto di totalitarismo? In fondo i sovietici sono compagni che sbagliano
Esattamente. Persino nella storiografia si è a lungo indugiato o negato la definizione di totalitarismo applicata ai regimi comunisti. I “revisionisti” alla François Furet erano guardati con fastidio. Questa asimmetria, questo non vedere la dimensione sistemica del totalitarismo, del comunismo come del nazifascismo era necessario per lo sfruttamento dell’antifascismo come ultima risorsa politica.
Cosa si può dire della posizione ufficiale del PCI riassunta nell’articolo di Giorgio Napolitano ed ovviamente avallata da Berlinguer e dal gruppo dirigente nel suo complesso?
Sulla posizione ufficiale del PCI nel caso di Arcipelago Gulag affidata a Giorgio Napolitano, allora responsabile della commissione cultura del PCI, con l’assenso del segretario Enrico Berlinguer, c’è poco da dire.
Napolitano è stato sempre, purtroppo, un “riformista mancato”. Specialmente negli appuntamenti decisivi Lo sanno anche i poveri “miglioristi” che insieme a qualche intellettuale socialista negli anni ottanta provarono ad uscire dalla contrapposizione e dalle secche del massimalismo presente di qua e di là per dar vita ad un vero indirizzo culturale e politico di tipo socialista liberale e decisamente riformista…
Infine, vogliamo fare un calcolo dei costi spaventosi del sistema sovietico? Eccolo, lo riprendo da Robert Conquest: tra il 1930 ed il 1953 il regime sovietico causò la morte di 20 milioni di persone. Più 7 milioni per le carestie indotte, come in Ucraina, dalla collettivizzazione forzata. Ancora nel 1950 nei Gulag erano ancora rinchiuse due milioni ed ottocentomila persone
Daniele Carozzi
Questa intervista a Ciuffoletti mi regala una salutare boccata di ossigeno. Sono questioni per le quali mi batto da anni contro questi figli e nipotini di un comunismo che andrebbe finalmente messo al bando per gli eccidi (i famosi “compagni che sbagliano”, i razzismi, l’odio sociale, il degrado culturale e istituzionale che ha seminato in Italia dal sessantotto ad oggi. Unica loro banale risorsa: brandeggiare come clava l’antifascismo. Sotto di esso… il nulla!