Vedo che anche Bersani evoca con una certa nostalgia il fantasma di Metternich a proposito del dopo guerra tra Russia e Ucraina, che presto o tardi – ci si augura prestissimo – seguirà a questa inutile strage.
L’arciconservatore ministro austriaco, ricorda l’ex leader del Pd, fece sedere anche la Francia, sconfitta a Waterloo, al Congresso di Vienna che ridisegnava l’Europa. “Repubblica” titola “Serve una nuova Yalta” un commento di Paolo Galimberti, in verità assai meno assertivo. Ma Yalta o Vienna che sia, un accordo equo e proiettato sul futuro sarà possibile se e quando se ne verranno costruiti i presupposti.
Al Congresso di Vienna le potenze vincitrici incontrarono una Francia senza più Napoleone. Eliminato l’uomo e il regime che avevano scatenato vent’anni di guerre, fu possibile restaurare lo status quo ante senza infliggere inutili umiliazioni allo Stato sconfitto e, per così dire, redento.
Un secolo dopo, la pace di Versailles, seguita alla Grande Guerra, non fu ispirata dallo spirito di Vienna. I vincitori si vendicarono sulla Germania e ben presto se ne videro le conseguenze.
Alla conferenza di Yalta, che seguiva quella di Teheran, i vincitori in pectore della Seconda Guerra mondiale divisero l’Europa in sfere d’influenza poi ratificate nella conferenza definitiva, tenuta a Potsdam dopo la resa nazista. Pur tenendo il coltello sotto il tavolo, Roosevelt, Churchill e Stalin si fidarono l’uno dell’altro. Avevano due nemici mortali in comune: la Germania e il Giappone.
Poi, a guerra finita, gli USA diedero prova di straordinaria lungimiranza e soccorsero con ingenti aiuti economici gli ex nemici, anziché calpestarli. Imposero solo forti limitazioni al loro riarmo. Tanta magnanimità aveva alla base l’accettazione della democrazia, e cioè il cambio del regime politico, da parte degli ex nemici e l’affermarsi di un nuovo nemico comune, l’Unione Sovietica.
Quando si pensa a un accordo di pace duraturo sull’Ucraina, dopo queste settimane di ferro e di fuoco, è utile trarre ispirazione dalle lezioni della storia. Ma, poiché la storia non si ripete, non si potrà non tener conto delle novità e delle relative incognite.
La prima riguarda il momento del negoziato. Avverrà dopo un semplice cessate il fuoco o dopo la sconfitta militare di una delle due parti? Non è un dettaglio.
La seconda novità-incognita riguarda le leadership di Russia e Ucraina. Sarà ancora Putin il presidente russo o, al dunque, avrà dovuto lasciare il posto a un altro? Quale linea prevarrà nella Chiesa Ortodossa che con il Cremlino ha fin qui perseguito l’alleanza tra Trono e Altare? Identiche domande si pongono a Kiev: sarà sempre in sella il presidente Zelenskyy? E come si collocheranno nel tempo la Chiesa Ortodossa ucraina e la Chiesa Cattolica Uniate?
L’esito o anche solo l’andamento del conflitto armato avrà, evidentemente, una forte influenza. La tentazione di aspettare il cambio di leadership nel Paese rivale è forte. Un Quisling a Kiev rafforzerebbe Putin, e sarebbe una tragedia. Un nuovo Eltsin a Mosca rafforzerebbe l’Occidente, specialmente se, in sede negoziale, USA e Ue si ispirassero al prudente Metternich.
Diversamente da Yalta e da Potsdam, adesso USA, Ue, Ucraina e Russia non hanno un Hitler da cui difendersi, ma un grande e temibile rivale geopolitico, la Cina, che tuttavia è anche un formidabile partner commerciale e finanziario.
Ci si deve dunque chiedere se in un tale, nuovo contesto, abbia senso ragionare in termini di espansione geo-militare dell’Occidente, portando la Nato ai confini della Russia con il rischio di rinsaldare l’ entente cordiale tra Pechino e Mosca o se ricostruire rapporti di fiducia strategica. Come?
Annunciando subito la candidatura dell’Ucraina a entrare nella Ue e, al tempo stesso, avviando un accordo strategico Ue-Russia. A questo punto, la Ue offrirebbe uno scudo sufficiente a rendere pressoché inutile l’adesione dell’Ucraina alla Nato. La Finlandia, in fondo, sta benissimo, avendo aderito alla Ue e non alla Nato.
Un simile esito della crisi attuale farebbe pensare alla ripresa nei tempi nuovi del sogno di un grande occidentale, Charles De Gaulle: l’Europa dall’Atlantico agli Urali. È possibile che un simile scenario non entusiasmi i tanti che negli USA non hanno interesse a un’Europa forte, larga e unita e a tal fine alimentano la spinta a portare l’Ucraina nella Nato. Ed è pure possibile che questo nuovo gigante metta in imbarazzo la Cina, che mira a ben più comodi rapporti bilaterali. Ma la sicurezza del mondo ne ricaverebbe un evidente vantaggio. Purché la scommessa sulla fiducia si estenda al piano militare: la difesa resta una priorità.
Ebbene, Ue, Usa e Russia hanno un riferimento storico importante e abbastanza recente: Pratica di Mare. Sarebbe interessante se, anche adesso, un politologo ne ricostruisse genesi ed eclissi. Sappiamo che Berlusconi, padrone di casa del vertice tra Bush e Putin, rivendica quei colloqui in riva al Tirreno come il suo capolavoro. Oggi che anche Silvio ha condannato il suo vecchio amico russo divenuto impresentabile, una sinistra capace di superare gli storici steccati potrebbe recuperare lo spirito di Pratica di Mare nel segno della pace.
Evocare oggi l’infatuazione della destra italiana per l’uomo forte del Cremlino può essere comprensibile sul piano della polemica politica quotidiana, tanto più se i residui di quella infatuazione possono insidiare la solidarietà, anche militare, dell’Italia con Kiev. Ma poi? Dopo lo scontro bellico viene la convivenza pacifica. E la pace si costruisce – la storia insegna – quando ancora tuona il cannone.
Fin qui nell’ipotesi che a Mosca avvenga un provvidenziale cambio della guardia. Ma se Putin regge?
Se Putin regge in patria, e riesce a insediare a Kiev un governo fantoccio, il quadro si complica maledettamente. In quel caso, è probabile che le città dell’Ucraina, sconfitta ma non doma, diventerebbero teatro di una gigantesca e interminabile “Battaglia di Algeri”, mentre la Russia affamata dalle sanzioni finirebbe in braccio alla Cina e l’Occidente verrebbe impoverito dall’inflazione.
Un periodo di torbidi tremendi di durata, estensione, profondità e intensità che nessuno al momento può valutare con precisione. Sarebbe una Terza Guerra Mondiale a bassa intensità? Giocare alle definizioni eclatanti non aiuta.Lo fa già il ministro degli Esteri russo, Lavrov, quando afferma che la Terza Guerra Mondiale non potrà non essere nucleare. Quasi una minaccia.
L’alternativa ai torbidi sarebbe il negoziato con il nemico, se il nemico non cade. Ma tempi, modi, finalità di un negoziato tra USA (e Ue?) e Putin sulla sicurezza in Europa – con lo status di neutralità dell’Ucraina a quel punto fatale e probabilmente senza agganci alla Ue – resterebbero a lungo in grembo a Giove. L’ombra di Monaco 1938 ancora incombe.
(Questo articolo con il consenso dell’amministratore del blog è ripreso dal sito www.ilmigliorista.eu)
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