Bloccare il contagio è un obiettivo prioritario. Tenere in vita il nostro tessuto produttivo durante questo periodo di letargo forzato lo è altrettanto. Perché se fra qualche settimana o mese ci troveremo ad aver debellato il virus, ma a non avere il necessario per mangiare, per curarci, per scaldarci, per vestirci, per far andare le nostre macchine, la nostra salute correrà rischi non minori, per qualità e quantità, di quelli che avremo sventato bloccando l’epidemia. Rischi, soprattutto, per la salute dei più poveri, dei più deboli.
Non ne sembrano del tutto consapevoli i politici e i sindacalisti che rivendicano la chiusura generalizzata delle aziende ‘non indispensabili’, senza se e senza ma. Sono davvero pochi i beni e servizi considerati non indispensabili che non siano necessari per la produzione di quelli considerati indispensabili. Chiudere un’azienda significa per lo più farne chiudere anche altre; ma se chiuderle è relativamente facile, poi lo sarà molto meno riaprirle, rimettere in modo il complesso meccanismo delle loro interdipendenze,
Mai come in questo momento drammatico l’interesse dei lavoratori coincide con quello delle imprese: è l’interesse comune a ridurre al minimo ragionevolmente possibile il rischio del contagio, ma è al contempo l’interesse comune a ridurre al minimo ragionevolmente possibile il rischio che, superata la crisi, il lavoro non possa riprendere. Anche il rischio di morte delle imprese deve essere ridotto al minimo, perché senza le imprese non saremo in grado né di proteggere la salute, né di garantire la sicurezza sociale.
(questo articolo con il consenso dell’autore è stato ripreso dal sito http://www.pietroichino.it)
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