Il settore delle costruzioni ha attraversato una lunghissima crisi a partire dal 2006/2007 dalla quale solo negli ultimi anni avevano cominciato lentamente a risollevarsi. Ora si è abbattuta la tragedia del coronavirus. Quali sono i dati che misurano la caduta della attività in Italia ed in Toscana? Quale è stato il ricorso agli ammortizzatori sociali? Le risorse stanziate sono adeguate?
Il settore delle costruzioni è caratterizzato da una grande frammentazione delle imprese questo rende difficile quantificare al momento gli effetti della crisi Covid; il primo termometro verrà dalle Casse Edili che comunque hanno responsabilmente consentito di dilazionare i versamenti di questi mesi per cui solo più avanti avremo una misura dell’impatto sulle ore lavorate. Il ricorso agli ammortizzatori sociali è stato elevato soprattutto per imprese del settore dell’edilizia civile e dei cantieri privati, spesso aziende molto piccole.
Il primo impatto sulle aziende è la scomparsa della liquidità. Prima di parlare delle misure straordinarie messe in campo dal governo, com’è la situazione dei pagamenti della pubblica amministrazione, per la quale da anni si sentono forti lamentele? Intanto lo stato potrebbe mettersi in pari.
La liquidità è sempre stato un problema per il sistema delle costruzioni e per la sua filiera fatta di appalti e subappalti, pensiamo agli effetti della crisi di grandi imprese sulle aziende fornitrici; in Toscana la situazione dei pagamenti della pubblica amministrazione è migliorata negli ultimi due anni soprattutto per gli enti locali, permangono difficoltà con alcune grandi stazioni appaltanti nazionali. Ance stima in 3 miliardi i crediti delle pubbliche amministrazioni verso le imprese, la crisi attuale potrebbe essere un’occasione per immettere facilmente liquidità alle imprese.
Le banche: il governo ha deciso di operare – non ha soldi freschi dato il livello pazzesco del nostro debito pubblico – tramite finanziamento bancario. 25.000 euro garantiti al 100% dallo stato e quindi attivabili teoricamente a richiesta, per importi superiori con garanzia dello stato al 90%, con valutazione del merito di credito da parte della banca. Che esperienza hanno fatto le imprese? È andato tutto liscio o hanno incontrato difficoltà? Ed ha qualche senso per le imprese di costruzioni l’ingresso dello stato come azionista?
Il rapporto tra banche ed imprese edili è difficile fin dal 2008 e lungi dall’essere normalizzato; le banche hanno pesanti responsabilità nell’aver finanziato prima del 2008 investitori immobiliari spesso improvvisati, a scapito delle imprese vere e proprie cui in compenso hanno limitato il credito nel periodo di crisi. Rispetto all’attualità non abbiamo notizie specifiche per il settore, ma se gli altri settori dell’economia si lamentano non vedo perché dovrebbe andare meglio per l’edilizia, l’impressione è che il sistema bancario non sia in grado di andare alla velocità della crisi e che le aspettative del governo siano ottimistiche. Rispetto all’ingresso di capitali pubblici nel capitale di grandi imprese, questo è già avvenuto con l’operazione Webuild di Cassa Depositi e Prestiti rispetto alla quale Ance ha espresso fin dall’inizio grandi preoccupazioni per la tenuta e la difesa del sistema di piccole medie imprese.
Ci sono imprese che hanno continuato a lavorare anche durante il lockdown? In virtù di codici ATECO o di richiesta alle prefetture? e con quali precauzioni da adottare? In termini di costo quanto possono incidere queste misure?
In Toscana le imprese impegnate in cantieri di infrastrutture, il codice Ateco 42, hanno continuato a lavorare grazie anche all’impegno della Regione che ha dato indicazione di mantenere operativi il maggio numero possibile di cantieri, i problemi li hanno incontrati i cantieri di edilizia in senso stretto, il codice 41, che comunque sono stati autorizzati a ripartire dal 4 maggio. Certo la necessità di adeguarsi ai nuovi protocolli di sicurezza comporta costi aggiuntivi soprattutto per l’oggettivo rallentamento del processo produttivo; sul tema è in corso a livello nazionale un importante lavoro di analisi tecnica da parte delle regioni cui compete in base al codice appalti l’adeguamento dei prezzari, tra l’altro la Toscana è una delle regioni di riferimento in materia.
Sabino Cassese, prestigioso giurista italiano, ha scritto “C’è unanimità di vedute: la ripresa, nella fase 2, ci sarà se ci liberiamo della burocrazia”. Si registrano segnali che si stia marciando in questa direzione oppure si prosegue imperterriti con vecchie abitudini, cioè legiferando per semplificare si complica ancor di più? Non dimentichiamo che qualche anno fa Romano Prodi stimò nell’1% la crescita del PIL da soppressione di TAR e Consiglio di Stato
La proposta di Prodi è chiaramente paradossale, ma fotografa un problema. La giustizia amministrativa è pervasiva e trova spazio nella complessità e nella scarsa chiarezza delle norme, è spesso contraddittoria con sentenze ed orientamenti difformi, non solo per i lavori pubblici ma anche per l’urbanistica e l’edilizia privata. Tutto nasce da una pessima qualità anche tecnica della nostra legislazione in genere, ma questo apre anche una riflessione sulla funzionalità del nostro sistema politico e burocratico per il quale non vedo miglioramento a breve. Parallelamente si pone poi un problema di carico eccessivo di responsabilità penali e contabili sui funzionari delle amministrazioni, è quello che Ance chiama lo “sciopero della firma”, gli appalti pubblici vengono visti come un tema di ordine pubblico con criminalizzazioni di tutti i soggetti. Anche autorevoli esponenti della magistratura hanno manifestato perplessità sulla reale efficacia degli attuali meccanismi di controllo.
Uscendo fuori dei ragionamenti astratti, quanto incide la normativa vigente nel settore degli appalti pubblici? Si parla di decine di miliardi disponibili per essere spesi ma restano sulla carta. Si porta l’esempio del Ponte Morandi. Ma è una via percorribile? Cosa si dovrebbe fare?
Ance stima in 30 miliardi l’importo di opere bloccate, La Regione quantifica in 7 miliardi quelle localizzate sul territorio regionale, l’esigenza di una modifica del codice dei contratti pubblici, l’ennesima ed ulteriore, si era fatta avanti ben prima della crisi attuale che ha solo accelerato questa consapevolezza; il governo ha preannunciato un provvedimento a breve stimolato anche da comuni e regioni. Ance non è pregiudizialmente contraria alla figura del commissario purché la sua figura sia prevista a monte della procedura di gara, ovverosia in quella fase amministrativa di autorizzazioni e permessi, conferenze di servizi e simili che portano via fino a quattro anni prima di poter avviare la gara, questa invece deve svolgersi con procedure veloci e trasparenti senza i defatiganti controlli attuali; ci sono casi di gare chiuse oltre un anno fa e non ancora assegnate per la necessità di controllare i documenti amministrativi. L’esperienza assolutamente eccezionale per le circostanze, del Ponte di Genova ci insegna proprio che le pubbliche amministrazioni devono lavorare in parallelo e non in successione per cui il ritardo di uno ferma tutti. Occorre poi avere il coraggio di riconoscere che per i lavori cosiddetti sotto soglia comunitaria (5 milioni) bisogna in primo luogo coinvolgere il tessuto delle imprese locali, legate al territorio.
Quali le priorità per gli investimenti pubblici? E piccole opere e grandi interventi sono in conflitto tra loro? Prima la manutenzione e poi il nuovo?
La situazione delle infrastrutture nel nostro paese, dopo 10 anni di mancanza di investimenti, è tale che c’è bisogno di tutto, comunque le priorità sono note: messa in sicurezza del territorio, riqualificazione energetica del patrimonio pubblico e sua messa in sicurezza sismica, scuole in primis, investimenti sulle reti idriche, completamento delle grandi direttrici di trasporto. Accanto agli investimenti pubblici non dimentichiamo poi la necessità di incentivare gli investimenti sul patrimonio edilizio privato, vecchio, insicuro ed energivoro. In queste ore il governo ha annunciato un “mega bonus fiscale” del 110% per la riqualificazione del patrimonio privato, vediamo come sarà declinato.
Si è affermata, specie in Toscana, durante la stagione degli “astratti furori” dell’assessora Marson, una cultura esasperatamente vincolistica del governo del territorio, non mitigata sostanzialmente da successive modifiche. Eppure le città hanno bisogno di infrastrutture, le attività economiche di nuovi spazi e le risposte non possono, se non astrattamente, venire dal recupero dell’esistente. Si avverte nella realtà delle imprese e del sistema economico questa domanda di essere liberati da lacci e laccioli?
La legge regionale 65/2014, non è di per sé una legge negativa, il problema è come spesso succede, la difficoltà di declinare nel concreto e nella operatività amministrativa principi teorici come il consumo di suolo zero o la rigenerazione urbana, che senza adeguati strumenti tecnico amministrativi e consapevolezza politica rischiano di rimanere meri enunciati culturali. Anche l’urbanistica soffre delle stesse difficoltà dei lavori pubblici, i tempi incompatibili con le necessità reali; IRPET stima in 6/8 anni il tempo di approvazione di uno strumento urbanistico. Alcune recenti modifiche apportate alla 65 dovrebbero eliminare le difficoltà incontrate, anche se rimane sullo sfondo una diffidenza culturale sugli investimenti di rigenerazione urbana, diffidenza alimentata da visioni conservatrici e statiche della città, il recente caso delle polemiche sul regolamento urbanistico di Firenze ne è un esempio. Se non si superano questi pregiudizi la rigenerazione urbana rimane un tema da convegni non da cantieri.
La pandemia che ha costretto tutti a stare nelle, che spinge al telelavoro da casa, alla didattica a distanza ha messo in luce che, oltre a connessioni veloci, c’è bisogno di abitazioni diverse, con stanze più ampie, flessibili, con spazi esterni. Anche su questo la risposta è: recupero: chi ci si prova si scontra con vincoli tali da scoraggiare i più volenterosi. Pare che, a differenza di quanto avvenuto nel passato, siano i cittadini a doversi adattare all’edificio e non viceversa. Come si dovrebbe agire?
Le città non sono mai state strutture statiche ed immutabili, anche se qualche strumento urbanistico lo vorrebbe, e soprattutto ora richiedono cambiamenti ed adattamenti; le città sono fatte di edifici, strade, mobilità, verde pubblico e tante altre cose e funzioni, e rimangono il centro della vita sociale ed economica, questo richiede anche un ripensamento sulle necessità dell’abitare e del lavorare. Appare banale constatare che forse dovremo avere abitazioni anche più grandi o multifunzionali ma il processo di adeguamento sarà evidentemente lunghissimo e soprattutto costoso, la sfida non sarà solo progettuale o tecnica ma soprattutto finanziaria, teniamo anche conto che se vogliamo essere fedeli al postulato dei volumi zero dovremo intervenire pesantemente sull’esistente ad esempio demolendo e ricostruendo. Rimane poi tutto da interpretare il futuro delle attività commerciali e turistiche tema quest’ultimo di importanza strategica e forse “drammatica” per la Toscana.
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