Le origini della scienza moderna si trovano nell’età del Rinascimento ma è soprattutto dal XVII secolo e ancor più nel XVIII che il metodo scientifico si afferma e produce risultati che non solo sconvolgono la concezione che fino allora l’uomo aveva di sé e della natura, ma conduce a invenzioni e scoperte che modificano radicalmente la vita di milioni di persone. Questo gigantesco sviluppo della scienza avviene in vari campi: fisica, astronomia, chimica e anche, non ultima, medicina. Questo sviluppo avviene per opera di singoli scienziati che però sottopongono i risultati delle loro ricerche ai loro pari, molto spesso riuniti in Accademie, che validano o meno quanto viene presentato. A nessuno veniva in mente che i risultati delle ricerche scientifiche potessero essere sottoposti, in una forma o in un’altra, al consenso popolare.
Più o meno nello stesso periodo storico comincia ad affacciarsi prima la teoria e poi la pratica che l’esercizio del governo di una nazione debba ricevere il consenso dei cittadini. Dapprima si tratta del consenso solo della parte più colta e più ricca della nazione ma ben presto, a partire dalla Rivoluzione francese, tutti i cittadini (almeno quelli di sesso maschile) sono chiamati a sostenere con il loro consenso l’esercizio del potere politico. Fu un processo non semplice, che si sviluppò nel corso di almeno un secolo, ma che alla fine, nel corso del XX secolo, portò alla piena affermazione del principio che il governo è legittimo solo se è sostenuto dal consenso maggioritario del popolo, composto di donne e di uomini.
I due campi, la ricerca scientifica e l’esercizio del potere politico, non sono mai stati del tutto estranei l’uno rispetto all’altro. In realtà il potere politico è sempre stato interessato agli sviluppi della scienza, stimolando e finanziando determinati settori e cercando di utilizzare, soprattutto per usi bellici ma non solo, i risultati delle ricerche. La scoperta e l’utilizzazione dell’energia atomica ha accelerato questo processo che comunque, nei Paesi democratici, si è sviluppato sulla base dei principi della democrazia rappresentativa. Anche quando ci sono state manifestazioni popolari esse hanno riguardato l’uso dei risultati delle ricerche scientifiche, non le procedure e i metodi delle ricerche stesse. Sotto questo aspetto la scienza ha mantenuto la sua autonomia, almeno nei Paesi democratici. Nell’Unione Sovietica, nella Germania nazista e nell’Italia fascista questo principio è stato più volte violato ma la fine di quei sistemi autoritari ha significato anche il pieno ritorno al principio dell’autonomia della ricerca scientifica.
I movimenti no vax che stanno dilagando, e non solo in Italia, mettono in discussione proprio il principio dell’autonomia della scienza e quindi della competenza. Utilizzando le nuove forme della comunicazione sociale, sottratte ad ogni principio di responsabilità, vengono diffuse le tesi più assurde che hanno per obiettivo e per risultato quello di diffondere il dubbio e la diffidenza in un campo, quello della ricerca, che dovrebbe essere sottoposto soltanto al giudizio di consessi scientifici competenti.
Bisogna tuttavia rilevare che le manifestazioni no vax, sempre molto clamorose e in alcuni casi anche violente, non hanno finora raggiunto il risultato che si prefiggevano. Lo dimostra il numero altissimo – e crescente – delle persone che si sono vaccinate, ignorando le pressioni e la valanga di fake news diffuse attraverso i social. Questo è un segnale molto positivo che rafforza anche la legittimazione dell’attuale Governo e dovrebbe spingerlo a prendere misure ancora più incisive, senza sopravvalutare il peso delle manifestazioni no vax..
Infatti uno degli slogan più diffusi di queste manifestazioni, quello che invoca la “libertà”, evidenzia la miseria culturale e la superficialità di questi movimenti. Uno dei fondamenti del pensiero liberale sottolinea infatti che la mia libertà ha come limite la libertà degli altri. In questo caso invocare una libertà senza limiti, la libertà di fare quello che a ciascuno pare, condiziona la libertà di tutti gli altri perché favorisce la diffusione del virus e crea le condizioni per far venir meno la base stessa della libertà, cioè la vita.
Quando la pandemia sarà stata superata molte saranno le riflessioni che dovranno essere fatte. Alcune riguardano l’organizzazione del sistema sanitario, ma accanto a queste non potrà essere trascurato il problema della libertà d’espressione. Anche questo è un principio liberale fondamentale che è sempre andato di pari passo con quello della responsabilità. L’abolizione della censura preventiva sulle manifestazioni del pensiero si è infatti accompagnata all’affermazione del principio che chi fa affermazioni menzognere e diffamatorie deve risponderne.
Finora si è messa in evidenza la difficoltà di intervenire nei confronti di quanto viene diffuso attraverso i social; ma questa difficoltà non può trasformarsi di fatto in una specie di licenza a creare fake news che rischiano di mettere in pericolo l’equilibrio democratico del Paese. Finora il Paese ha retto bene ma non si può accettare che questo bombardamento duri all’infinito. Poiché si tratta di manifestazioni pubbliche del pensiero, la diffusione delle proprie opinioni attraverso i social deve essere sottoposta alle stesse regole che valgono per le altre forme di comunicazione.
(Questo articolo con il consenso dell’autore è ripreso da La Voce Repubblicana)
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