“Le sarebbe bastato prendere un taxi a Cagliari per capire che il suo Truzzu, detto Trux, non avrebbe fatto il pieno nella città che ha governato (e male secondo il Sole 24 Ore)”, così, sul Foglio di martedì 27 febbraio, Simone Canettieri commenta il risultato delle elezioni regionali in Sardegna.
In realtà Truzzu non si è limitato a non fare il pieno, ha subito, a Cagliari, una vera e propria debacle, segno evidente che gli anni passati alla guida della città hanno avuto, da parte della cittadinanza, un forte giudizio negativo.
Se a questo poi si aggiunge che il candidato presidente ha preso il 4% in meno dei voti che sono andati alle liste collegate al suo nome, si capisce quanto quella candidatura fosse sbagliata.
E questo è stato il primo grosso errore della Meloni. Il secondo però è stato anche più grave. La premier ha voluto impostare la campagna elettorale non sul nome del candidato presidente, Truzzu appunto, ma su se stessa, come se il voto dovesse essere un giudizio sul suo operato alla guida del Governo. Un errore di presunzione che è costato caro all’intero centrodestra che pure, sulla carta, con il voto alle liste, ha dimostrato di avere più consensi di un centro sinistra che fra l’altro aveva subito la defezione delle liste collegate a Soru.
Le prossime elezioni amministrative e a giugno le europee diranno se quello della Sardegna è stato un incidente di percorso o il primo segnale di una possibile inversione di tendenza.
Intanto il voto sardo ha dimostrato altre due cose. La prima è che il PD, se vuole avere una qualche possibilità di successo, deve necessariamente passare da un’alleanza con i 5 Stelle. Il punto di equilibrio che verrà volta volta raggiunto darà poi la collocazione più o meno a sinistra dell’alleanza. Ma certo solo per il fatto che l’alleanza venga fatta sposta più a sinistra l’asse del Partito Democratico e ne mette in crisi la prospettiva riformista che era stata alla base della nascita stessa del Partito Democratico.
La posizione del PD diventa così particolarmente delicata. Se non si allea con i 5Stelle non ha possibilità di vittoria, se però per allearsi deve avvicinarsi troppo alle posizioni grilline rischia di perdere consensi al centro.
La dirigenza democratica tenta la quadratura del cerchio coprendosi sul centro con un accordo con i partiti del cosiddetto terzo polo, il tanto invocato “campo largo”, ma anche questa è una strada impervia sia per le resistenze grilline sia per quelle, in verità un po’ oscillanti, degli stessi partiti di centro.
La seconda indicazione che scaturisce dal voto sardo riguarda proprio i partiti di centro che, con l’anomalia di Rifondazione, appoggiavano l’ex governatore Soru. Il risultato ottenuto, superiore all’8%, non è disprezzabile ma nemmeno esaltante. Dimostra che c’è uno spazio potenziale dato sia da chi ha votato sia da parte di chi si è astenuto, almeno il 20% del quasi 50 che si è avuto, uno spazio che però non viene occupato perché l’offerta politica viene percepita sempre come episodica e occasionale, non risultante cioè da una scelta forte e convinta. E la ragione di questo è molto terra terra: l’ego dei tre leader di Azione, Italia Viva e +Europa è inversamente proporzionale al loro consenso elettorale. Ognuno di loro pensa di essere il centro del mondo e vorrebbe che gli altri, che pensano esattamente la stessa cosa, si mettessero a sua disposizione.
La conseguenza è che questo nostro Paese, che ha potenzialità enormi, continua ad essere un vaso di coccio fra vasi di ferro.
carlo manacorda
Ottima e condivisibile analisi. Chi governa sembra aver perso il senso della realtà.