In Italia si è votato ogni mese e anche più volte nel medesimo, ma adesso, a parte alcuni ballottaggi, se non andremo alle politiche anticipate, le consultazioni dovrebbero dare un po’ di tregua. Nelle consultazioni in Sardegna, tra europee, regionali e amministrative, i cittadini sono stati chiamati quattro volte alle urne tra il 28 maggio e il 16 Giugno. Il primo partito è stato la stanchezza. In ogni caso era molto atteso il risultato di Cagliari. Il capoluogo sardo era guidato da un sindaco espressione di Sel, ovvero della sinistra radicale, ma poi quel Sindaco, Massimo Zedda, si è dimesso per andare a giocarsi la poltrona di Governatore della Sardegna, peraltro senza successo, dato che a vincere è stato il candidato del Centrodestra Christian Solinas. È quindi tornata contendibile la poltrona di primo cittadino del capoluogo, dove il centrodestra pare aver vinto al primo turno, ma sul risultato pesa la richiesta di riconteggio, poiché la maggioranza assoluta è espressa con uno scarto ai minimi termini. Serve prudenza per valutare cosa succederà nei prossimi giorni: “ci sono milletrecento schede nulle e oltre venti contestate”, dice Francesca Ghirra, candidata del centrosinistra. Lo scarto in effetti è minimo: 33.933 voti contro 32.351. ll candidato del centrodestra Paolo Truzzu di Fratelli d’Italia si è affermato con il 50,1% mentre Ghirra si è attestata al 47,78%. Adesso la “battaglia” è tutta nelle schede contestate. A Sassari invece il centrosinistra, in vantaggio, va al ballottaggio contro un candidato civico, con l’esponente del centrodestra rimasto fuori. Il centrodestra però si afferma al primo turno anche ad Alghero. Tutte città – Cagliari, Sassari e Alghero – che erano guidate da sindaci di centrosinistra nelle giunte uscenti. Ed è questo il dato politico, indipendentemente da ciò che succederà nel riconteggio: il Pd ha perso di nuovo. Evidentemente non giovano ai dem le incertezze della proposta politica (Zingaretti non ha una linea e non può nemmeno rivendicare le “ricette” e i risultati positivi dei governi di centrosinistra, avendo promesso discontinuità) e l’incapacità di intercettare la crisi grillina e tantomeno di arginare il fenomeno Salvini. L’elettorato tradizionale del centrosinistra è ormai in libera uscita, specialmente verso il non voto, quello grillino si rifugia nell’astensionismo, mentre una parte della popolazione super partes pare affascinata dalle promesse nazional populiste: essere liberata dalle paure e dalla crisi economica e dall’immigrazione con una bacchetta magica o forse con un rosario. Eppure in casa Pd nessuno pare preoccuparsi di tutto ciò. La resa dei conti continua: nessun “renziano” fa parte della segreteria insediata in questi giorni. E sullo sfondo non è apparsa secondaria la richiesta di Zingaretti di un passo indietro al renzianissimo Luca Lotti, finito nella rete in una brutta storia. L’ex Ministro, lo sanno anche i sassi, è stato sorpreso dalle intercettazioni mentre partecipava ad un incontro segreto con toghe di primo livello della magistratura italiana, in cui si parlava di come piazzare uomini graditi in cima agli uffici giudiziari più delicati del Paese. Un “affaire” le cui conseguenze sono al momento inimmaginabili, specie perché scuote alle radici un Potere dello Stato, ma anche per il futuro politico di Lotti e forse dello stesso Renzi. In ogni caso le beghe interne sembrano essere prevalenti sul resto. I nervi sono tesissimi, mentre Zingaretti, posto quasi all’angolo dai risultati elettorali ed alle prese con i falchi del partito profondamente antirenziani, prova comunque adesso a mediare. Nella giornata di oggi 18 Giugno, è prevista – si legge su Democratica (il sito di informazione del Pd) – una riunione della Direzione per riprendere un filo unitario che va pericolosamente logorandosi. Domani Nicola Zingaretti tenterà di ricucire le due anime del partito: “Farò uno sforzo per ricostruire in ogni modo uno spirito unitario perché sento su di me tutto il peso di questa responsabilità”, ha annunciato a margine di una iniziativa a Roma. “Cercherò riaprire un dialogo – ha aggiunto – e per verificare le condizioni di un passo avanti insieme, almeno sul terreno della politica e dell’iniziativa politica”. Zingaretti avrà un compito non facile: spiegare, chiarire, e anche rintuzzare certi toni accesi che soprattutto nella giornata di ieri sono circolati, anche pubblicamente. Non è un mistero, come dicevamo, che il caso Lotti abbia pesato sulla formazione della segreteria. I malumori sono palpabili. Adesso, finite tutte le tornate elettorali, sembra di essere tornati a prima delle primarie di marzo. Il “mi sono rotto” di Carlo Calenda, che pure non è uno che lesina uscite polemiche in varie direzioni, è emblematico. Da Assisi, dove si è riunita la componente renziana, sono partiti molti attacchi al segretario. Roberto Giachetti ha spiegato che “non siamo entrati in segreteria perché non condividiamo la linea di Zingaretti”, affermazione che conferma la ricostruzione del segretario quando dice di aver chiesto alle varie componenti di entrare nel massimo organismo del partito ricevendone un diniego. Questo non toglie – si è detto ad Assisi – che soprattutto certi nomi siano suonati come uno schiaffo (Andrea Giorgis, che aveva votato No al referendum). Di certo, il caso Lotti non aiuta. I renziani hanno visto nella richiesta di passo indietro un attacco politico all’area renziana. Maria Elena Boschi, che pure è parsa fra gli intervenuti ad Assisi fra i meno polemici, ieri ha detto che “a Lotti sono arrivati più attacchi dall’interno che dagli avversari politici”. Gli esponenti vicini al segretario tentano di smorzare le polemiche. Walter Verini, a Repubblica, dice che “litigare con schemi correntizi è quanto di più dannoso. Io credo nei Democratici senza sottotitoli”. Ma il problema più di fondo è proprio la linea del Pd. I cui contorni appaiono a molti ancora sfuggenti, bisognosi di una messa a punto più energica. Non è una questione di semplici proposte programmatiche. Ma ciò che si lamenta è la messa fuoco di una strategia politica, come ha detto Simona Bonafè alla Stampa. Con in più la paura – di cui hanno parlato molti ad Assisi – di un ritorno addirittura ai Ds o a una sua filiazione. In questa situazione di nervi a fior di pelle, non mancano sotto traccia evocazioni o paure per una separazione fra il Pd di Zingaretti e qualcos’altro più legato al renzismo (“Sarebbe una vera follia”, dice Roberta Pinotti al Corriere della Sera). Fra le due “squadre” emerge anche una terza posizione che tenterà di mediare, attendendo dai leader uno scatto in grado di chiudere questa pagina scongiurando l’ipotesi di una ennesima scissione nella storia della sinistra italiana. E mentre si consuma l’ennesima resa dei conti, Salvini impera e fa incetta di consensi, minaccia l’Europa e strizza l’occhio al trumpismo. In barba alla spesa senza controllo, al debito che cresce, agli irrisolti problemi del Paese, al calo della produzione, alle numerose crisi aziendali e non ultimo al rischio di una procedura di infrazione da parte dell’Ecofin, ovvero dei ministri economici dei Paesi dell’Unione contro l’Italia.
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