Matteo Salvini ha l’urgenza politica di tornare al governo. Se possibile (ovvero se saranno accettate le sue condizioni) con il centrodestra, ma non necessariamente.
A chiarire/svelare la politica dei due forni in salsa lumbard è la querelle innescata dalle parole pronunciate da Giorgia Meloni alla kermes di Affaritaliani.it: se le prossime elezioni vedranno l’affermazione del centrodestra e se Fratelli d’Italia risulterà essere il primo partito della coalizione, Mattarella non potrà che scegliere la sottoscritta come nuovo premier. Apriti cielo!
“Vedremo! Lasciamo che gli italiani votino e poi deciderà Mattarella” è stata la risposta ghiacciata di Matteo Salvini. Se non una vera e propria sportellata (come i più alludono) un modo assai poco diplomatico per tenersi le mani libere.
Del resto se Giorgia Meloni: una che la politica la mastica assai bene e che una volta acchiappato un osso non lo molla con facilità, dovesse raggiungere Palazzo Chigi vestendo i panni di leader della coalizione a Salvini “non resterebbero più banane” (come dicono a Firenze) con il rischio, persino, di vedersi defenestrato anche da via Bellerio.
Ecco l’urgenza politica di alzare il prezzo di un via libera alla leader di Fratelli d’Italia per la guida del governo o guardare altrove.
E il nuovo prezzo è presto detto: Giorgia premier e Matteo leader della coalizione.
Altrimenti, mani libere su tutto!
Cioè?
Altrimenti meglio pensare ad un secondo forno: quello, per esempio, di una nuova grande maggioranza invocata ed evocata dal leader del terzo polo Carlo Calenda (e non solo, sia a destra come a sinistra). Ad un “Draghi bis”, ad esempio, magari sulla scia dell’emergenza gas (scusa già pronta).
L’avviso è chiaro: tutto a te, presidente Meloni, no!
In fondo per Matteo Salvini risulterebbe assai più indolore un nuovo approdo ad un “Mister BCE Bis” che l’amara debacle verso un “Meloni One” capa (pressoché assoluta) dell’intera coalizione.
Mani libere, dunque, e messaggi mirati verso i -pesantissimi- malpancisti interni quelli che hanno lavorato per la riconferma di Sergio Mattarella, hanno mal digerito la sfiducia al governo Draghi e lo vorrebbero ancora premier, hanno respinto al mittente la proposta di candidatura di via Bellerio (un “gran rifiuto” importantissimo passato troppo in sordina), vogliono una tregua elettorale sul gas (da qui l’adesione di Salvini alla proposta lanciata da Calenda) e che lavorano da tempo ad una “nuova Lega” (senza Salvini, almeno nel simbolo).
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