Il triplice delitto di tre prostitute – due cinesi e una colombiana (Yang Yun Xia, Li Yan Rong, Marta Castano Torres) – nel quartiere Prati di Roma il 17 novembre 2022, non può non destare l’equivoco interesse di chi, come me, ha studiato i delitti sadici nell’ambito delle condotte perverse (vedi Perversioni. Sessualità etica psicoanalisi, Bollati-Boringhieri).
Il serial killer viene considerato sadico quando i suoi omicidi non hanno alcuna utilità pratica: uccide per uccidere. Di solito donne o bambine. Il più prolifico assassino seriale oggi noto è il colombiano Pedro López (nato nel 1948), che sconta tuttora l’ergastolo in Ecuador: ha confessato di aver ucciso oltre 300 ragazze, adolescenti o bambine, in vari paesi sud-americani fino al 1980.
Il serial killer più affascinante è forse il mormone americano Ted Bundy (1942-1989), il quale confessò di avere rapito, stuprato e quindi ucciso almeno 30 giovani donne. Spesso dissotterrava le sue vittime per copulare con il cadavere in decomposizione. Era un uomo bello, attraente, grande affabulatore, con un alto quoziente intellettuale, il suo processo fu un grande evento mediatico.
Non tutti i killer seriali sono però misogini. Il killer omosessuale preferisce i ragazzi. Jeffrey Dahmer (1960-1994) uccise 17 ragazzi nel Wisconsin che avevano la particolarità di essere, oltre che omosessuali, neri o latinos, e soprattutto poveri. Praticò il cannibalismo e la necrofilia con alcuni dei cadaveri. Insomma, la vittima designata del sadico è allo stesso tempo oggetto di attrazione erotica per lui, sesso e morte si implicano.
Di una particolare popolarità godono i serial killer di prostitute. Il più famoso è Jack the Ripper, lo Squartatore. Ancora oggi, a Londra, si organizzano gite turistiche di pellegrinaggio sui luoghi dove si svolsero i famosi eccidi nel 1888. All’epoca, nel quartiere malfamato di Whitechapel, da cinque a sette prostitute furono uccise e i loro corpi vennero orrendamente mutilati. Lo Squartatore non fu mai trovato – Jack the Ripper è nomignolo datogli dalla vox populi.
Donato Bilancia tra 1997 e 1998 ammazzò 17 persone. Delle nove donne che uccise, quattro erano prostitute di varie nazionalità. Sparò anche a una prostituta italiana mentre gli faceva sesso orale, ma costei sopravvisse. Gli otto uomini che Bilancia uccise erano per lo più persone di cui voleva vendicarsi o che voleva derubare, mentre le uccisioni delle donne erano atti gratuiti, insomma lussuriosi. Quando nel 1998 salì sul treno Genova-Venezia e poi Genova-San Remo, uccise due donne giovani a lui sconosciute mentre usavano la toilette.
Cinema e letteratura hanno ampiamente sfruttato il tema del femminicida seriale, descrivendolo in modo anche molto perspicuo. Particolarmente convincente è la figura di Parker, interpretato da Robert Mitchum, protagonista del film di Charles Laughton The Night of the Hunter (La morte corre sul fiume) del 1953. Uno dei capolavori del cinema. Mitchum è un predicatore protestante fondamentalista che ha ucciso 24 donne, senza mai copulare con loro. Il punto è che la hybris puritana di Mitchum, che si esprime in un’oratoria apocalittica, piace particolarmente alle donne di qualsiasi età, dalle anziane alle bambine, che gli si offrono come vittime quasi consenzienti su un piatto d’argento. Una scena del film dice tutto: Mitchum, assistendo al recital erotico di un’attrice succintamente vestita, appare allo stesso tempo disgustato e magnetizzato dall’esibizione, finché da dietro la sua giacca fuoriesce un coltello a scatto… tutti pensiamo all’equivalente micidiale di un’erezione. Mitchum uccide le donne accoltellandole, come l’assassino di Prati: il coltello, molto più di ogni altra arma, appare una protesi saliente del corpo dell’assassino.
Il “mostro di Firenze” tra il 1968 e il 1985 uccise non prostitute ma coppie di giovani appartate, intente a effusioni sessuali. Ma il vero oggetto di quella passione sacrificale erano le ragazze. Di solito uccideva prima l’uomo, poi trascinava la donna morta fuori dall’auto o dalla tenda: una separazione fisica tra corpo maschile e corpo femminile che la dice lunga. In quattro degli otto casi asportò il pube della ragazza, in due casi recise anche il seno sinistro di lei. L’escissione di pube e seno operava una simbolica desessualizzazione della donna. L’assassino sembrava mosso da una iperbolica missione punitiva contro i “peccati della carne” delle ragazze.
La vocazione moralista di molti serial killer è ben descritta dal film Seven di David Fincher (1995): l’assassino sceglie ogni vittima come incarnazione di uno dei sette peccati capitali. Tra questi peccatori da uccidere c’è lui stesso, uomo invidioso. L’ispirazione mistica, in certi casi biblica, degli assassini sadici emerge anche nel serial killer di donne in Millennium. Uomini che odiano le donne di Stieg Larsson: l’assassino, ispirato dal modo di punizione delle donne infedeli nel Levitico, si pone come punitore dei peccati femminili.
Ma, come ha mostrato lo psicoanalista Jean Clavreul, il vero godimento sadico è nel punire persone, in particolare donne, innocenti. Il che complica terribilmente la logica sadica: il killer sadico è un agente morale, ma che infierisce sull’innocenza.
Perché da Jack di Whitechapel all’assassino di Prati le prostitute, soprattutto se povere, anziane e brutte, appaiono le vittime preferite? Le due prostitute cinesi di Prati avevano rispettivamente 45 e 55 anni, la colombiana 65. Una delle cinesi era nota come Maria, nomignolo non casuale, come vedremo. Pensare che siano di preferenza le prostitute a venir accoltellate o squartate solo perché sono le più inermi e deboli è alquanto superficiale. Non è la vigliaccheria a eleggere la donna perduta come vittima paradigmatica, ma una urgenza purificatoria. Penso che l’assassino in questi casi sia preso da una passione castigante, come quella di Mitchum in The Night of the Hunter.
Il punto è che una prostituta anziana, brutta e povera, e magari alcolizzata o tossica, è il non plus ultra del degrado sociale e morale che un essere umano possa raggiungere, almeno secondo una visione del mondo tradizionale. Una prostituta bella, giovane e ricca non suscita molta compassione. La meretrice degradata è l’opposto esatto dell’immagine divinizzata della donna offerta, nella cultura cristiana, da Maria Vergine. Ma, come vedremo, nella cultura cristiana i due estremi si toccano.
Anche il fatto che le vittime del killer di Prati fossero tutte straniere, di continenti extra-europei, può non essere casuale – l’atto sadico spande una gran puzza di xenofobia, come abbiamo già visto nel caso di Jeffrey Dahmer. L’essere non-europee aggiungeva probabilmente agli occhi dell’assassino una quota di svilimento alle sue vittime.
Come ha ben visto Lacan nel suo commento al marchese de Sade (“Kant con Sade”, Scritti), il sadico descritto è un moralista kantiano alla rovescia: si sottomette all’imperativo categorico non di Dio ma della Natura, che esige un godimento sconfinato dei soggetti fino alla loro distruzione. Il sadico anche odierno è un ferreo esecutore di una Legge trascendente, volta a punire soprattutto le donne, quando costoro sono attraenti o dissolute. Il suo motto inconscio non è esattamente “Dio patria famiglia” ma “moralità maschilità patriarcalità”. Il sadico è un moralista che uccidendo vuole estirpare il Male dal mondo, e, come Pandora – l’Eva dei Greci –, la donna è matrice di ogni male. Non che i killer sadici siano dei moralisti, tutt’altro, ma si sentono agenti di una sorta di missione etico-politica, eliminare la lascivia femminile, punire i deboli proprio perché deboli. Il sadico si sente braccio secolare di una tetra eutanasia sociale.
Il punto però è che la prostituta non fa affatto sesso per lussuria. Il mostro di Firenze colpiva ragazze “colpevoli”, ma la prostituta, tutti lo sanno, non desidera affatto fare sesso. La p… è una peccatrice innocente…
Forse proprio per questo la cultura cristiana ha sempre santificato la prostituta. A cominciare da Maria Magdalena, che nei Vangeli non è affatto una prostituta, ma un’indemoniata che Gesù aveva liberato da sette diavoli. Eppure da millenni i cristiani vogliono assolutamente credere che la principale discepola femmina di Gesù fosse una puttana. Come se le due Marie tracciassero ai due estremi il ventaglio completo della femminilità.
Non si contano, nella letteratura pre- e post-cristiana, le prostitute o lussuriose che diventano monache e sante. Da Terenzio a John Ford (la Dallas di Ombre rosse), l’encomio della puttana ha esaltato la donna che la morale borghese mette all’ultimo gradino del decoro. Questa pornofilia (da porné, prostituta) prosegue nella narrativa laica e moderna, dalla prostituta patriota di Boule de suif (Palla di sego) di Maupassant, fino a Sonya, la santa prostituta di Delitto e castigo che redime Raskol’nikov seguendolo nella deportazione per espiare il suo delitto, su su fino alla Cabiria di Fellini (Le notti di Cabiria del 1957), alla bocca di rosa di de André, e oltre. Da notare che molto spesso le prostitute nelle fiction si chiamano Maria, come Maria Vergine e Maria di Magdala. Maria è il nome che dà Paulo Coelho a una ragazza brasiliana che si prostituisce a Ginevra nel suo romanzo Undici minuti. Come abbiamo visto, una delle due cinesi assassinate si faceva chiamare “Sofia” o “Maria”.
Persino il parroco che non disprezza
Fra un miserere e un’estrema unzione
Il bene effimero della bellezza
La vuole accanto in processione
E con la Vergine in prima fila
E bocca di rosa poco lontano
Si porta a spasso per il paese
L’amore sacro e l’amor profano
Questa ambivalenza radicale nei confronti della prostituta genera un ciclone affettivo da cui la passione sadica trae linfa. E’ come se nel proprio inconscio l’assassino di meretrici sapesse che uccidendo Maria egli fa fuori anche santa Maria. In questo modo, l’uccisione quasi rituale della prostituta combina in modo vertiginoso due estremi: nella stessa persona si uccide la più vile delle donne ma anche l’unico essere umano concepito senza peccato.
Lascia un commento