Partiamo dalla tua reazione alla richiesta che qualcuno, settimane fa, aveva avanzato, per rimuovere lapidi e monumenti che ricordano grandi rappresentanti della cultura russa
Nelle volte che a un fiorentino sia capitato di passare davanti alla lapide che, alla fine di Piazza Pitti, indica il luogo dove Dostoevskij visse per qualche tempo e dove concluse “L’Idiota”, probabilmente non ce n’è stata una in cui lo sguardo non sia corso a cercare le parole incise sul marmo che ricordano l’autore di uno dei libri più conosciuti e amati della letteratura universale.
Sono convinto che la stessa cosa accada a tanti altri cittadini, di qualunque parte del mondo essi siano e a cui succede di attraversare una delle piazze più note di Firenze.
A nessuno, penso, è mai potuto venire in mente che Dostoevskij possa essere confuso con i tanti despoti che si sono succeduti nella storia russa, dagli zar a Stalin (tanto per dire), fino all’erede contemporaneo: Putin.
Chi alza la testa per vedere il marmo di Piazza Pitti lo fa con un sentimento di riconoscenza e di ammirazione per uno spirito universale che ha pensato e scritto cose che lo riguardano, sia che venga dal Sud o dal Nord del mondo.
Quindi l’invasione l dell’Ucraina da parte dell’esercito di Mosca non muta il punto di vista che hai espresso prima?
Anche nei momenti di più dura e definitiva contrapposizione con un regime occorre tener ferma la distinzione fra un sistema di potere degenerato e la realtà umana e culturale di un popolo, anche quando questo appaia sostenere il sistema che prima di tutto opprime proprio lui.
La risposta alle proposte di boicottaggio culturale della crudele guerra scatenata da Putin è semplice: Dostoevskij, Puskin, Lermontov Turgenev, Tolstoj, Goncarov, Sologub, Cechov, l’ucraino Gogol, tanto per citarne alcuni del grande loro Ottocento non sono di Putin. Insieme a tutti quelli del Novecento, da Nabokov a Salamov, a Bulgakov di Kiev o a Balbe di Odessa e più avanti fino a oggi, sono la Russia che è parte irrinunciabile della nostra cultura.
Bisogna tuttavia approfondire: questa grande cultura russa, proiettata verso l’Europa che conosceva e frequentava, profondamente amata da noi europei, quanto e come esprime la Russia profonda? C’ è un movimento che attraversa i secoli ed i regimi e che si riferisce all’anima russa, che volge le spalle all’Europa “La Russia appartiene all’Europa? Disgraziatamente o fortunatamente, purtroppo o meno male, no! La Russia non appartiene all’Europa. Non è stata nutrita da nessuna di quelle radici attraverso le quali l’Europa ha succhiato ogni linfa benefica e nociva che proveniva direttamente dalla matrice stessa che ha generato quel mondo antico da lei stessa distrutto…” Nikolaj J.Danilevskij ”.
La domanda è certamente importante per capire quello che sta succedendo, proprio in queste ore in cui si vedono le immagini di Bucha e del sedicente ritiro dei russi da Kiev, ma non ne vedo il legame con la questione che si è imposta all’attenzione pubblica con la sospensione del seminario su Dostoevskij alla Bicocca.
La musica, l’arte figurativa, la letteratura possono essere creati in ambienti che storicamente non hanno somiglianze con altre zone geografiche con le quali sono in relazione o viceversa in conflitto, ma nel momento in cui c’è un autore che con le sue opere nate da un contesto particolare, quasi sempre apparentemente provinciale, riesce a esprimere un qualsiasi sentimento universale, allora quella cultura diventa patrimonio di chiunque ne venga a conoscenza.
Negare che la Russia dall’inizio dell’’800 abbia dato vita, per esempio, a una delle più grandi letterature che siano apparse sulla scena mondiale e, prima di tutto su quella europea, è forse possibile?
Quanto sopra non significa che quella che tu chiami la Russia profonda ne sia stata o ne sia consapevole (come ne siamo noi) in ognuno degli undici fusi orari che definiscono lo spazio fra San Pietroburgo e Vladivostok.
Non voglio entrare (non ne avrei neanche titolo, ovviamente) in un’analisi storica sulle relazioni dell’Europa, occidentale o orientale che si voglia, con la Russia per quanto riguarda la cultura in generale e quella politica in particolare da Puskin e ai decabristi in poi, ma non c’è dubbio su quante reciproche influenze vi siano state nel corso di due secoli sul piano delle idee e dei movimenti sociali e politici.
Per quelli che come noi hanno un poco o molto di esperienza politica prima del crollo del Muro di Berlino, un’affermazione come quella precedente è come sfondare una porta aperta.
Alexander Dugin, considerato l’ideologo di Putin, distingue un Putin solare “il Putin della ‘Grande Eurasia’, il Putin patriota e sovranista, l’uomo che rompe con la postmodernità occidentale, contro la globalizzazione” dal Putin lunare” quello invece che scende a compromessi con l’Occidente, il WTO, Davos, l’élite liberale atlantista”. La stessa distinzione si può fare, secondo te, con riferimento alla cultura russa, tra quella cosmopolita, aperta all’Occidente, ed una sedimentata nel profondo che esprime l’anima russa, la piccola patria, la missione della Russia “per appianare definitivamente le contraddizioni europee, indicare con la propria anima russa una via d’uscita all’angoscia europea” (Dostoevskij)?
A Firenze si usa un vecchio proverbio che consiglia di non confondere il **** con le quarant’ore. Si può riflettere su una parte o su un’altra della cultura russa dell’’800 o del secolo successivo. Si può discutere su Dostoevskij e i suoi tempi diversi da Povera gente al ’48 e quello dopo della slavofilia e della religiosità.
Si può fare una cosa simile con qualunque dei grandi autori di un paese che senza dubbio alcuno è una potenza euroasiatica, con tutte le diversità e anche le possibilità di espressioni diverse: ma metterci dentro Putin ci rimanderebbe al modo di dire popolare che ho citato all’inizio della risposta, purtroppo oggi in maniera tragica.
In Italia a sinistra, più rumorosi, non so se più numerosi, dei difensori della cultura russa, sono apparsi gli orfani dell’URSS, soprattutto tra gli ex esponenti del PCI a livello locale, che di fatto di nuovo assegnano alla guardia russa, non più rossa, il compito di liberare l’oppressa umanità. Emerge la strumentalità di tanti ex militanti dell’adesione ai principi della democrazia liberale, dei valori dell’Occidente, l’antiamericanismo come stella polare delle scelte politiche e che si agitano contro gli insopportabili ucraini che non si riconsegnano al dominio russo.
Io non so delle nuove generazioni, ma quelle che nuove non lo sono proprio per niente, come la mia, hanno vissuto quasi sempre con la necessità in un modo o nell’altro di fare i conti con la Russia o, fino al ’91 del secolo scorso, con l’URSS.
Alcuni partecipavano (è il caso del sottoscritto) dell’illusione ideologica di un sistema politico che più oppressivo non poteva essere, cercando poi di uscirne, anche se fuori tempo.
Si può riflettere su quel tempo passato, però bisogna riconoscere sinceramente che altri si erano sempre opposti duramente e giustamente a tutta una storia e a un sistema che alla fine non aveva più niente da proporre, perfino su quel piano ideologico che era stato per decenni vincente in larga parte dell’opinione dei paesi occidentali.
Gli orfani di oggi sono in realtà quelli che tu descrivi. nelle ultime due righe della domanda e a cui non c’è niente da aggiungere di più chiaro.
In fondo c’eravamo illusi che la storia fosse finita ma invece si era presa soltanto una pausa, e solo qui in Europa. Forse aveva ragione Solzennicyn a denunciare nei suoi “Discorsi americani” sui comunisti “..tutt’a un tratto sono divenuti sostenitori della pace ad ogni costo: Hanno cominciato a riunirsi in congressi in difesa della pace. E il mondo occidentale si è lasciato ingannare”.
Oggi c’è unità, anche in Italia, nel condannare una guerra in piena Europa che quelli delle generazioni successive alla fine della Seconda guerra mondiale non avrebbero mai immaginato di vedere.
Chi scrive lo può dire a ragion veduta: credevamo che quello che era stato prima del ’45 non sarebbe mai più riapparso.
Era tanto vero che c’eravamo permessi anche di sognare la rivoluzione, per accorgersi poi che era andata bene che non fosse successo e quando il Muro di Berlino era caduto addosso anche a noi, c’eravamo sinceramente sentiti meglio.
Come dici tu, la storia si era concessa una pausa, o forse lo avevamo creduto ingenuamente, e ora riprende un suo cammino che più drammatico non potrebbe essere.
Solzenicyn è stato fondamentale (come Salamov, con i suoi Racconti di Kolyma) per capire il passato di un’illusione, avrebbe detto Furet.
Tanto fondamentale che in Italia, per il peso che ancora begli anni ’60 e ‘70 del secolo scorso aveva la mentalità filosovietica, bisognò aspettare a lungo prima che Arcipelago Gulag venisse tradotto nella nostra lingua e così lo si lesse prima nella tempestiva traduzione che ne fecero i francesi.
Tante cose si potrebbero ancora dire, anche sull’affermazione di Solzenicyn che tu riporti, ma è più il tempo della guerra che della riflessione su queste cose, pur importanti.
C’è solo da augurarsi che questa volta l’Europa non si faccia ingannare e sappia fare la differenza fra il metano per uso domestico e le bombe che cadono su Odessa, la città di Isaac Babel, tanto per ricordarne uno, ancora una volta.
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