Ritorno sul tema del Riformismo, già da me qui trattato nei mesi scorsi.
Lo spunto per riprendere il discorso proviene da quella visione strabica, e priva di ogni fondamento storico, che oggi vorrebbe associare la confusa corsa ad accaparrarsi la leadership di un rinato Centro, all’ormai inderogabile necessità di dare vita a un polo autenticamente riformista, progressista.
Una visione ancora più strampalata se si pensa che essa è stata recentemente alimentata dall’uscita di Di Maio dal M5S e dalla possibilità che lui, e il suo gruppo, trovino spazio al Centro dello schieramento politico.
Premesso che, con tutto il rispetto per la persona e per le sue scelte, il futuro politico di Di Maio è un tema che non solo non mi appassionata, ma proprio non mi interessa minimamente e mi guardo bene dal prestare attenzione a certe “non” notizie sulla sua prossima collocazione nel panorama politico italiano, penso sia necessario fare chiarezza su cosa significa essere riformisti.
Oggi, come ieri, essere riformisti significa mettere in atto azioni concrete che portino a un miglioramento sociale ed economico a favore, in particolare, dei cittadini più deboli, nel pieno rispetto delle libertà individuali e collettive, senza cedere a pericolose scorciatoie massimaliste o a derive populiste.
Non si tratta quindi di occupare una posizione equidistante dalla Destra e dalla Sinistra, pronti ad allenarsi con l’una o con l’altra, perseguendo unicamente obiettivi strumentali al mantenimento del potere. Un potere che non importa con chi viene esercitato, basta che di potere si tratti.
Essere rifomisti significa declinare le politiche di una Sinistra moderna, saldamente europeista ed atlantista, con un approccio pragmatico, inclusivo dei valori e delle istanze di una democrazia liberale sana e matura, distante da ogni conservatorismo ideologico, da appiattimenti su temi esclusivamente identitari e dalle sirene dei movimenti populisti.
Precisato questo, mi pare ci siano argomenti sufficienti per dire che quando si parla di polo riformista non ci si può riferire a una non ben identificata insalata mista centrista, priva di un progetto politico chiaro, autonomo e autenticamente riformista, buona solo da essere proposta come contorno a chi offre il piatto politico più succulento e potenzialmente più gradito dagli elettori.
L’Italia, oggi più che mai, ha bisogno di una classe politica all’altezza della situazione, che sia selezionata sulla base delle competenze, delle capacità, delle proposte serie, concrete e pragmatiche da elaborare e da trasformare in azioni.
Se questo, come io ritengo, è ciò che serve al Paese, è ora che i personalismi, presenti nelle varie anime riformiste, cedano il passo allo spirito di servizio a vantaggio della causa comune.
Non sarà facile trovare una sintesi fra i tanti personaggi che, con toni spesso troppo autoreferenziali, aspirano ad assumere il ruolo di leader della casa riformista. Così come non sarà per nulla facile garantire che opportunisti vari, voltagabbana, professionisti del più bieco trasformismo e cambio di casacca, rimangano fuori dalla porta della casa riformista e vadano a prestare altrove la loro funzione di inutile zavorra.
Non ci sono riusciti in passato altri soggetti politici, nati per dare uno spazio comune a tutte le istanze riformiste e poi diventati ostaggio delle correnti e delle derive populiste, temo sarà difficile riuscirci anche questa volta.
Eccesso di pessimismo? Me lo auguro, anche se ritengo si tratti solo di semplice, seppur crudo, realismo.
Tuttavia, questa è l’ultima occasione che si presenta. L’ultima chiamata per cercare di ridare un po’ di dignità alla politica e di recuperare l’interesse da parte di quell’ampia fascia di elettori che si rifugia nell’astensionismo.
Il tempo per trovare le forme più opportune per costruire la casa comune dei riformisti sta per scadere e a oggi manca pure il progetto.
Urge trovare chi, per primo, intende fare una proposta che vada oltre il proprio orto, il proprio ego e gli interessi di bandiera.
Una proposta che tenda a includere più esperienze e sensibilità, senza pregiudizi o malcelate primordiali pretese di superiorità.
Bentivogli, Bonino, Calenda, Ceccanti, Cottarelli, Ferla, Gori, Morando, Nencini, Renzi, Sala, Tinagli e ancora
tantissimi/e altri/e riformisti/e che rivestite ruoli importanti nelle Istituzioni, nei Partiti, nelle Associazioni e nei Movimenti di area riformista, le intelligenze e le energie per cogliere l’obiettivo ci sono. Perché non proviamo a metterle tutte a fattore comune evitando che si eliminino reciprocamente a tutto vantaggio della dilagante miopia politica che, superato l’effetto Draghi, è destinata a fare scempio del Paese?
Chi di voi è disposto ad abbattere la recinzione del proprio orticello che, per quanto grande, è pur sempre troppo piccolo per produrre i frutti attesi?
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