Il riformatore deluso che è in me (e che ancora non si è affatto ripreso dal fatidico 4 dicembre 2016, quando gli elettori buttarono nel cestino il più ampio e serio tentativo di riformare le nostre istituzioni politiche) assiste con scetticismo e molta incertezza al nuovo avvio di un ragionamento sulle riforme, per iniziativa della presidente del Consiglio Meloni.
Da un lato dovrei essere (e in fondo sono) ben contento che di riforme si torni a parlare; dall’altro vedo accumularsi un sacco di ambiguità e di equivoci. Il confronto con lo slancio e l’impegno (per molti anche l’entusiasmo) di altre volte è impietoso: penso ai tempi della commissione Bozzi (1983-1985), ai tempi della commissione D’Alema (1997-1998), ai tempi dei governi Letta e Renzi (2013-2016).
Magari, per un uno di quei paradossi di cui la storia politica è piena, proprio il tentativo che nasce sotto le peggiori stelle sarà quello che produrrà un risultato. Ci credo poco, ma son pronto a cambiare idea.
Vediamo in breve.
(1) Intanto perdura la gara delle formule dietro le quali non si sa cosa ci sia. E a metterci quel che torna comodo per dirsi pro o dirsi contro. Vale per il “presidenzialismo”, ma vale purtroppo anche per il “premierato”, specie nella versione “elezione diretta del presidente del Consiglio”.
(2) Per il “presidenzialismo” una certa cortina fumogena va diradandosi: trattasi di mero slogan per dire “rafforzamento e maggior stabilità dell’esecutivo”. Il presidenzialismo vero (= USA) non lo vuole nessuno. E anche il “semipresidenzialismo” (= Francia) è in ribasso: per ragioni di contenuto e per ragioni tattiche. Meloni per prima sembra essersi convinta che pasticciare con la figura del capo dello Stato non conviene, è politicamente inopportuno, porta a sicura sconfitta.
(3) In compenso il fumo si addensa ora sul premierato (cioè il rafforzamento del presidente del Consiglio): parliamo solo di qualche potere giuridico in più? E quale? parliamo di un nesso virtuoso con la legge elettorale, cioè con la composizione della Camera politica? o parliamo di vera elezione diretta (c.d. “sindaco d’Italia”)?
(4) Chiaro come il sole che pur rilevanti poteri giuridici in più non bastano: anche se utili. Bene che il presidente del Consiglio possa nominare e revocare i ministri; bene che riceva lui/lei solo/a la fiducia del Parlamento; qualcosina può fare – forse – anche una ben congegnata sfiducia costruttiva. Escludo però che con ciò i problemi si possano risolvere. Ci vuole di più: almeno un’investitura politica elettorale (collegata con la sfiducia costruttiva) e un concorso in alcuni casi decisivo allo scioglimento del Parlamento.
(5) Noto inoltre che non si sente parlare di trasformazione o abolizione del Senato (solennemente celebrato, anzi, qualche giorno fa). Come, tutte le cose belle che si possono immaginare, possano funzionare senza superare l’attuale bicameralismo io proprio non lo capisco…
(6) Vedo poi che ci si attarda (il classico “deja vu” di una vita) sulle questioni di metodo: bicamerale sì, bicamerale no, con quali poteri, iniziativa diretta. In realtà la cosa più seria, anzi l’unica!, che il Governo dovrebbe fare sarebbe presentare un buon disegno di legge costituzionale: in modo che il fumo si diradi e si possa entrare davvero nel merito. Certo: avvertendo che è aperto ai contributi di tutte le forze politiche disposte a lavorare seriamente alla riforma. Perché senza un testo si continuerà con gli slogan, e con la propensione a dire sì o no a non si sa che cosa!
(7) Nemmeno la maggioranza appare consolidata su una proposta. Meloni si è collocata dove doveva (premierato). Ma Lega e Forza Italia fanno abbastanza gli gnorri, per ora. Il dubbio è che non vogliano soluzioni che possano avvantaggiare proprio Meloni. Quanto all’opposizione i riformisti centristi sono aperti al dialogo. Ma non gli altri, a partire dal Pd di Schlein precipitato nel non riformismo più ottuso (sarà interessante vedere se poi – un giorno – i riformisti sopravvissuti al suo interno staranno alle indicazioni di gruppo, sulle riforme, o renderanno il pan per focaccia a coloro che resero la vita impossibile al progetto Renzi-Boschi sullo stesso tema).
(8) Concludo: “difendere la Costituzione, giù le mani dalla Costituzione”. Chi non ricorda questi slogan, lanciati contro fior di democratici riformisti da parte degli iperconservatori istituzionali di ogni risma? Figuriamoci la canea che si solleverà a fronte di riforme promosse e rilanciate dalle destre (di cui la principale, nipotina del Msi)! E’ dunque del tutto irragionevole pensare che, se mai il tentativo partito ieri avrà uno sbocco parlamentare, questo possa essere a maggioranza dei due terzi. Ci sarà dunque un referendum: sicuro come il levar del sole.
Con un caveat però: Meloni, a differenza di Renzi, rischia di vincerlo. Fossi all’opposizione ci rifletterei bene.
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