Il fuoco di sbarramento aperto ― immediatamente e da più parti (operatori di settore e politici nazionali e locali) ― contro il “Disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021” palesa ancora una volta le ragioni per le quali, nel nostro Paese, la riforma della concorrenza di mercato ― salvo occasionali manifestazioni ― sia sempre rimasta in lista d’attesa. Con questo disegno di legge ― approvato il 4 novembre 2021 ―, il Governo Draghi cerca di sbloccare la situazione.
Per rafforzare il buon esito del suo intervento, ha collocato questa riforma tra i progetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, progetti da rendere operanti entro la fine del 2022. L’approvazione della riforma diventa quindi indispensabile non solo, e principalmente, per ottenere i fondi previsti dal Piano europeo per la ripresa Next Generation EU, ma anche per far cessare le procedure d’infrazione avviate nei confronti dell’Italia dall’Europa per mancati adeguamenti alla legislazione europea in materia di concorrenza (concessioni balneari che proseguono senza gara). Ciononostante, l’opposizione alla riforma si è ri-manifestata e soltanto il tempo dirà se e come il nuovo tentativo andrà in porto. Eppure, da anni, la riforma della concorrenza di mercato avrebbe dovuto vedere la luce piena, in osservanza di un quadro giuridicodel quale anche l’Italia è partecipe.
I Trattati sull’Unione europea hanno norme specifiche anche in materia di concorrenza. Vi si prevede (art. 101 e ss.): l’incompatibilità con il mercato interno dell’Unione, e quindi il divieto, di pratiche volte a impedire, restringere o falsare la concorrenza. Sono vietate le posizioni dominanti di una o più imprese che possano imporre vincoli nei rapporti commerciali. Anche le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi caratteristiche di monopolio ― tipicamente i servizi pubblici ― sono sottoposte alle norme dei Trattati. La Commissione europea vigila sull’applicazione di queste norme rivolgendo agli Stati membri, ove occorra, opportune direttive o decisioni. La concorrenza è dunque una regola generale da applicare in tutti i Paesi dell’Unione e per ogni situazione.
Tuttavia ― se si escludono i principi generali contenuti nella legge 287/1990 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato), per lo più incentrata sull’istituzione e sui poteri e funzioni dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato ― nel nostro ordinamento un richiamo specifico alle regole europee sulla concorrenza lo si trova soltanto nella legge 99/2009 (Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia).
Anche in osservanza dell’art. 117 della nostra Costituzione ― che prevede che sia lo Stato a stabilire le norme sulla tutela della concorrenza ―, s’introduce l’obbligo per il Governo (art. 47) di presentare, ogni anno, una legge che disciplini il mercato e la concorrenza. La legge, tenendo altresì conto delle segnalazioni dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, deve rimuovere gli ostacoli all’apertura dei mercati anche a tutela dei consumatori. Il Governo deve allegare alla legge una relazione che evidenzi: “lo stato di conformità dell’ordinamento interno ai principi comunitari in materia di libera circolazione, concorrenza e apertura dei mercati, nonché alle politiche europee in materia di concorrenza”.
A tutt’oggi, la legge annuale sulla concorrenza è stata approvata una sola volta (L. 124/2017). Del tutto evidente che, in materia, siano ancora molti i problemi aperti. D’altro canto, se da annuale la legge diventa settennale, non potrà “fotografare d’un sol colpo” tutte le esigenze frattanto manifestatesi. Ora un nuovo tentativo è fatto dal Governo Draghi.
S’è detto, inizialmente, di ragioni che ostacolano l’approvazione di una disciplina organica in materia di concorrenza. Merita farvi cenno.
Naturalmente favorevoli all’approvazione di una disciplina sulla concorrenza sono i cittadini/consumatori. Per mantenere competitività, la concorrenza stimola le aziende all’efficienza e a migliorare la qualità della loro offerta. Dà quindi ai cittadini possibilità di scelta tra più prodotti, migliorati qualitativamente e, forsanche, a prezzi più convenienti.
La concorrenza si contrappone al monopolio, forma di mercato in cui tutta l’offerta di un determinato bene o servizio è concentrata nelle mani di un’unica impresa la quale può modificare, discrezionalmente, la quantità offerta e il suo prezzo. Sono i detentori di monopoli ― più o meno evidenti ― che si oppongono a introdurre norme sulla concorrenza.
Tra questi, troviamo le corporazioni di produttori. Avendo acquisito rendite di posizione, sono assolutamente ostili ad ogni intervento che tenti di sottrargliele (ambulanti, gestori di stabilimenti balneari, tassisti, ecc.).
La loro opposizione trova tuttavia una sponda trasversale nella classe politica. Questa appoggia le corporazioni, in primo luogo, per il timore di perderne il consenso e, quindi, l’appoggio al momento elettorale. Me c’è di più.
Le istituzioni pubbliche (Stato, enti locali, enti pubblici) hanno creato una rete di monopoli attraverso il sistema delle partecipazioni. Le cosiddette “partecipate”. Ed è in questi soggetti ― che, tra l’altro, movimentano masse di denaro ormai superiori alla metà dell’intero Prodotto interno lordo nazionale ― che la classe politica esercita il proprio potere: nomine di chi li deve governare, regole di gestione che possano convenire all’uno o all’altro schieramento, individuazione di loro collaboratori e via cantando. Non ha quindi alcuna convenienza ad una loro riforma, quand’anche adeguata alle particolari attività svolte. Soltanto rompendo l’ambiguo legame tra politica ed economia si potrebbe giungere ad una piena riforma della concorrenza.
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