Le riflessioni sull’esito delle elezioni che appaiono in questa prima pagina possono apparire sbilanciate solo su due temi, vale a dire sul buon esito del Partito Democratico e della sua giovane segretaria e sulla crisi nera del terzo polo. Sulla crisi del terzo polo persino l’apprezzabile e completa disamina elettorale di Franco Vianello Moro si sofferma maggiormente, e il solo Bruno Gerolimetto adegua il suo parere al mero scenario europeo.
Tutto ciò è comprensibile, visto che non facciamo mistero di considerare la cultura politica liberal democratica come “la” cultura politica tout court della modernità e modello da esportare. Il cuore là batte. E vorrei dire che non è che questa cultura politica non esiste, come pretenderebbero alcuni, solo perché è stata malissimo rappresentata quando ha ambito a presentarsi autonomamente circoscritta a liste e partiti, peraltro divisi tra di loro, come è accaduto in queste elezioni europee.
Anzi forse è proprio questa la lezione dell’esito del voto, quantomeno in Italia per quest’area: la liberal democrazia è talmente trasversale e silenziosamente egemonica nella nostra condizione europea che paga pegno quando ritiene di presentarsi nettamente come una “parte” (le liste elettorali e i partiti questo sono, lo dice la parola stessa).
Perché l’esser “parte” non è il suo naturale. Infatti, La liberal democrazia non è una parte, è “il tutto”. Sono, cioè, liberal democratici in pectore, evidentemente per molti a loro insaputa, tutti i 440 milioni di cittadini europei, bambini compresi.
Certo, ad una parte di loro, quelli che vanno a votare, piace giocare a ‘guardia e ladri’, come facevamo noi da ragazzi tra le capanne del Lido. E il bipolarismo è perfetto per questo gioco, che si divide tra i talk show visti dal divano, il bar sport e ogni tanto la cabina elettorale; se no, sai che noia. La politica è sempre stata fin dai tempi di Mario e Silla una palestra dove mostrare i muscoli, e il bipolarismo si presta perfettamente con regole precise a creare le condizioni per giocare a ‘guardia e ladri’ e mostrare i muscoli. Il proporzionalismo puro, dove anche lo “0,” avesse un rappresentante, non si presterebbe a questo gioco, a questo passatempo. Pussa via, proporzionale, lasciaci giocare! Poi il lunedì i bipolaristi immaginari, a prescindere da quello che hanno votato, tornano ad essere, sempre a loro insaputa, liberal democratici nella vita di ogni giorno (proprio tutti i 440 milioni), cioè a vivere liberamente senza polizie alle spalle.
Oggi però lo scenario in Italia è questo spaccato in due, delineato con il crudo realismo del momento da Federico Moro nella pagina di LG, gioco o non gioco. E già poi in Europa, Federico ammetterà, la questione è molto diversa.
Non ci sono chance per chi vuole ancora tentare una carta di autonomia dalla tenaglia bipolare? Le convulsioni post voto in quest’area nettamente sconfitta non promettono bene e mi pare che replichino una pervicace volontà di settarismo per rappresentare una cultura politica che avrebbe bisogno di ben altro respiro. Qualcuno, è vero, accenna timidamente a possibili rifondazioni. E “Se son rose…”, non c’è ragione di non prendere in considerazione una cosa seria. Se seria. E per essere tale ci vorrebbe un “Papa nero”. Staremo a vedere. (vedasi al riguardo l’articolo di Nicolò Rocco, che ha il solo neo di continuare ad usare quel termine “centro”, che, come “terzo polo”, andrebbe fatto sparire velocemente dal lessico della politica).
Quanto al Partito Democratico, la sua tenuta e il suo rilevante, ma rilevante per questi nostri tempi, avanzamento possono avere un significato solo se i conti si fanno nella sua area di competenza. E’ vero, la Schlein dice bene, chiaro e forte “cose di sinistra”, come Annalisa Martino ci ricorda nel suo articolo e come chi scrive ha rilevato fin dall’emergere della ragazza in tempi non sospetti. Ma, dicendole così bene, fa il pieno ovviamente solo dei suoi, e non esagero se dico che avrebbe ancora molto margine: Berlinguer e il PCI arrivarono al 34%. Se fossi in lei mi metterei sull’argine del fiume ad aspettar passare il definitivo cadavere dei Cinque Stelle e quei numeri riuscirebbe sicuramente ad avvicinarli. Il problema per quella sinistra è che possono essere percentuali alte, ben più dell’attuale 24%, e però da sempre in congelatore. Possono andar bene in molti comuni e in molte regioni dove si scongelano anche per tradizioni geopolitiche favorevoli e governano. E poi, guarda caso, quando governano spesso, non sempre, ma spesso, tornano d’incanto a fare scelte senza l’etichetta di sinistra, consciamente pragmatici e “ Lib Dem” anche loro nei fatti e nelle scelte di ogni giorno. Difficile trovarli ideologici se governano (e devo dire che da questo punto di vista le destre al governo, anche negli enti locali, sono molto più ideologiche, un punto a sfavore).
Ma il nodo è sempre lo stesso, che ho cercato di esporre nel mio recente editoriale https://www.luminosigiorni.it/editoriale/attendiamo-ancora-la-bad-godesberg-del-partito-democratico/ : Il PD, o comunque un partito di peso dell’area di sinistra, deve compiere il processo di Bad Godesberg per una scelta, una riconoscibilità e una conseguente prassi nettamente liberal (social) democratica, mantenendo, se proprio lo si vuole, quelle “cose di sinistra” che possono essere accettabili anche per un elettorato non di sinistra (Stato sociale, sanità e scuola pubblica per esempio sono accettate e anzi volute da un elettorato “semplicementedemocratico”). Come fece virtuosamente l’SPD tedesco appunto a Bad Godesberg nel lontano 1958.
Infatti, diamo allora per buono per un attimo lo schema bipolare. È una vita che ci si interroga se in tale sistema si vincono le elezioni (e si va al governo, se no non è vittoria) con “più sinistra” o “meno sinistra” o con “più destra” o “meno destra”. Per quest’ultima la lezione del voto conferma le lezioni precedenti: la destra vince e governa con “più destra”, cioè con più volto e parole d’ordine di “destra destra”, facendo anche a meno dei programmi. Perché, nonostante tre secoli di rivoluzioni democratiche, l’inerzia storica sui tempi “umani” è dalla sua, un’inerzia di trattenimento del vecchio (anche il non sempre profeta Marx pensava che non bastasse che i proletari fossero in maggioranza, e lo erano, e che ci volesse comunque una dittatura ad interim per tempi lungissimi). Perché non è vero infatti il contrario. La condizione ricorrentemente minoritaria dell’idea di sinistra, data dalla sua maggiore complessità e innaturalità, per quanto in certi tratti virtuosa, ci dice che le probabilità per vincere e per governare in maggioranza aumentano con il baricentro dall’altra parte, con “meno sinistra”, almeno complessiva, oppure ci dice che quantomeno ci vuole una componente pesante di schieramento che di sinistra lo sia di meno o per nulla. Con “più sinistra” o con faccia “di sinistra” puoi vincere battaglie importanti, governare Pesaro, Padova, la Toscana, qualche volta il Lazio, me se vuoi importi nella storia e vincere la guerra finale devi passare per Bad Godesberg. E il PD non c’è passato. Se no “Lunga vita” alla Schlein”, come ci dice Annalisa, ma è una lunghissima vita di orgogliosa e dignitosa opposizione. O di vittorie di Pirro.
Per concludere, queste elezioni sul piano italiano hanno sicuramente rinforzato il bipolarismo, hanno rafforzato il PD e la sua segretaria (ma un rafforzamento che rischia d’essere eternamente di bandiera) e hanno rafforzato i teorici dei due campi, in cui anche l’area politica più coscientemente Lib Dem deve scegliere uno dei due.
Su quest’ultima scelta bisogna però essere molto pragmatici (altra virtù Lib Dem)
Se questo campo dev’essere quello di Centro Sinistra, come molti invocano, puoi anche accettare il campo larghissimo che alcuni individuano in quel 52% puramente teorico che le “non destre” hanno in Italia. I pragmatici non sono mai schizzinosi, se conta il risultato di promuovere a programma di maggioranza il proprio programma. Perché il risultato che deve orientare tale scelta non può essere che quello.
Caro il mio campo larghissimo mi vuoi per vincere? Bene, “hic Rhodus, hic salta”, ti metto alla prova. Il pragmatico Lib Dem più che persone e più che partiti, dovrebbe avere sempre il suo candidato privilegiato, vale a dire il suo programma e il sistema di valori che lo ispira. Il Lib Dem candida prima di tutto un programma e su quello valuta i campi larghi o larghissimi. Poi, a seguire, valuta le persone in grado di rappresentarlo al meglio. Vale per l’Europa, vale per la nostra Venezia. Vale per le infrastrutture, come per la guerra in Ucraina, vale per la politica migratoria, come per le affittanze turistiche. Deve valere solo e sempre questo. Ma in anticipo e non invece a posteriori, secondo la logica delle partite a “guardia e ladri”, in cui si fanno “prima” le squadre e poi si gioca. No, qua è il contrario, il campo larghissimo lo faccio con chi candida lo stesso mio programma e lo firma. Prima. Se il programma del campo larghissimo di centro sinistra ( ma ipoteticamente il metodo vale anche per un campo larghissimo di centro destra) assomiglia molto al mio, vada allora per il campo larghissimo, ma solo a questa condizione.
Tutto qua: lineare. Per cui ai teorici dei campi larghissimi è questo il messaggio che va dato.
Un’ultima riflessione su quelli che invece a “guardia e ladri” non vogliono giocare, gli astensionisti. Non ho elementi sociologici per sapere che cosa passa per la testa a chi non va a votare, anarchismo?, semplice menefreghismo?, va a savèr. A volte mi piace invece pensarli, gli astenuti, come distinti e moderati signori che negli scaffali del supermarket della politica non trovano il loro prodotto e tornano a casa coscientemente a mani vuote, perché non si sentono veramente rappresentati da nessuno.
Ero seriamente intenzionato a far parte anch’io in qualche occasione di questa ciurma. Se però così fosse veramente, a volte mi capita di fantasticare, per puro ozio mentale, di una legge elettorale pazzesca, irreale, che tenga conto degli astenuti come fosse un partito, con seggi vuoti nei parlamenti e nei consigli comunali in proporzione agli astenuti. 40% di astensioni? Bene, 40% di seggi fisicamente vuoti. E però con governi approvati dalla maggioranza degli aventi diritto e dei seggi complessivi tra pieni e vuoti, cioè la maggioranza di tutti i seggi, qualcosa, che oggi come oggi sfiorerebbe più o meno dappertutto un 70% di consensi reali necessario per governare. In questa fantapolitica da veggente ubriaco, i governi di larghe intese sarebbero obbligati sempre in tutto il mondo democratico, anche con i premi di maggioranza ai vincenti, che non se ne farebbero niente, inutilizzabili. Insomma, la formula di larghe intese alla Draghi, alla Monti e simili, ma non con l’etichetta tecnica, bensì con quella pienamente politica, sarebbe la regola obbligata e non solo una possibilità. Con i benefici che abbiamo già sperimentato, con il nostro programma LIb Dem naturaliter al governo, senza il bisogno di alcuna trattativa.
Ma, si sa, è un sogno.
Però, senza andar lontani, e senza bisogno di questa follia che ho solo sognato, il governo dell’Europa, anche dopo queste elezioni, sarà probabilmente ancora più o meno proprio di tal segno. Come saggiamente ci ricorda Franco Vianello Moro nella sua lucida disamina.
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