Sono trascorsi ventidue anni dall’entrata in vigore della riforma costituzionale del Titolo V. Da allora molto è cambiato, in particolare lo stesso Titolo V, come noto, quasi completamente riscritto attraverso le pronunce della Corte costituzionale, che hanno di fatto depotenziato la retorica federalista che aveva ispirato la riforma. La Corte costituzionale ha ridato un senso all’autonomia, riconducendo il sistema all’interno degli stessi principi fondamentali della nostra Carta: a partire dall’art. 5 Cost. che, nel promuovere le autonomie territoriali, contestualmente, afferma l’unità e indivisibilità della Repubblica.
Come noto, il tema del riconoscimento di maggiori forme di autonomia alle Regioni a statuto ordinario, ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, si è imposto al centro del dibattito a seguito delle iniziative intraprese da Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna nel 2017.
L’approccio di Regione Lombardia fu tuttavia diverso da quello dell’Emilia Romagna. Quest’ultima iniziò una seria trattativa con il Governo, a differenza dell’impostazione leghista del povero Maroni che tuttavia, non può scordarsi, spese ingenti risorse dei lombardi (oltre 50 milioni di euro) per un referendum inutile e squisitamente elettorale, in quanto riteneva di aver bisogno di una pressione referendaria dal basso da far valere al Governo.
È in questo quadro che va letta la mancata attuazione del comma 3 dell’art. 116 Cost. sul c.d. regionalismo differenziato. Disposizione sulla quale in dottrina si erano riversate molte aspettative per consentire la possibilità di sviluppare un nuovo modello di autonomia, ulteriore all’alternativa tra regioni a statuto ordinario e regioni a statuto speciale. Un modello nel quale le regioni che avessero la capacità e la forza di assumere ulteriori competenze legislative, potessero concordare con lo Stato (nei casi circoscritti dallo stesso art. 116 c. 3 Cost.) maggiori competenze di legge.
Uno strumento, dunque, in teoria utile, ma che in pratica pone l’interrogativo su quali materie e per quali finalità vadano concesse maggiori competenze di legge, nell’interesse della Regione, ma altresì più complessivo del Paese.
Tale interrogativo pare lecito alla luce di due constatazioni: la prima l’esperienza delle regioni a statuto speciale. Come la loro esperienza insegna, più autonomia non significa più efficienza o migliori prestazioni di governo.
La seconda. Se guardiamo a questi ventidue anni di regionalismo italiano, non pare emergere un protagonismo delle regioni in ambito legislativo. Il ruolo appare più di un ente amministrativo. Se prendiamo ad esempio una delle regioni più attive come la Lombardia. La sua banca dati ufficiale registra tra le venti e le trenta leggi all’anno. Se però si escludono le leggi più o meno direttamente connesse al bilancio, si scoprirà che la maggior parte delle normative non riguarda scelte politiche di riforma pubblica, bensì interessi che forse potrebbero essere disciplinati anche attraverso un regolamento amministrativo. Si pensi – tra i numerosi esempi – alla legge “per il contenimento delle nutrie” o “istituzione del mese e della giornata regionale dell’anziano”.
Capire quali competenze legislative e per quali finalità si attiva un processo di diversificazione dell’autonomia, consentirà di dare un senso, non solo al regionalismo differenziato, ma soprattutto alla stessa autonomia regionale. Quello che chiedono ogni giorno i cittadini sono servizi efficienti e innovativi. E tali legittime aspettative hanno a che fare con l’efficienza dell’attività amministrativa, non con le competenze di legge.
Il decreto Calderoli, salutato dallo stesso promotore il progetto di “un’Italia ad alta velocità”, è stato efficacemente commentato dal prof. Flick ( di cui non riesco a tacere lo splendido passaggio che il comitato di saggi in Italia può sempre diventare una commissione di seggi) che ci avverte di una autonomia manchevole e non calata nella realtà indivisibile e unitaria sancita dalla Costituzione. Una proposta capace di relegare il Parlamento a un ruolo notarile e di creare un forte squilibrio tra le diverse Regioni assicurando maggiori finanziamenti alle regioni del Nord, in quanto hanno più risorse e una spesa storica più alta, e meno a quelle del Sud, dove ci sono meno risorse e quindi una spesa storica più bassa.
Quanto ai candidati presidenti di Regione Lombardia, le posizioni appaiono eterogenee : Attilio Fontana parla genericamente di una nuova autonomia basata sul merito di tutti gli enti che possono lavorare in chiave sussidiaria, ma poi dichiara che la Città metropolitana deve tornare ad essere la Provincia ante 2014; Pier Francesco Majorino, preoccupato della eccessiva burocratizzazione, dichiara che l’autonomia debba andare più ai comuni che alle Regioni, Letizia Moratti, che dichiara di non volere una Italia a doppia velocità, ritiene che l’autonomia differenziata sia un valore solo se riportata in un quadro di unità nazionale senza che ci siano territori che si sentano discriminati.
In conclusione: bene le maggiori competenze, ma forse prima dovrebbe esser chiaro per quali fini.
Daniele Carozzi
Le vie di mezzo e i compromessi, spesso non accontentano nessuno. Sarei per una forte autonomia regionale lombarda. Starei per dire uno Statuto speciale, per quanto riguarda istruzione, sicurezza, sanità pubblica e mezzi di trasporto. La pervicace contrarietà ad ogni autonomia delle regioni del Nord, appare come una implicita ammissione che senza il Nord il Sud non potrebbe camminare da solo, eppure le potenzialità, con agricoltura, turismo e bacino culturale, il Sud potrebbe arrivare a egregia ricchezza. Dunque, si diano una mossa!
Salvatore Giannella
Cara Daniela, giuste considerazioni e domande le tue. Io. sto con Flick e con padri e madri della nostra Costituzione (vedi sul mio blog Giannella Channel RICOSTIIAMOCI, le parole che raccolsi da Nilda Iotti, Tina Anselmi e Giovanni Ferrara sulle tre anime della nostra Carta comune). Ho scarsa fiducia in Calderoli autore di una famosa e autodefinita legge elettorale “porcata”. Temo ci avviamo verso una poco chiara porcata bis.
Salvatore Giannella
Correggo titolo mio precedente commento: RICOSTITUIAMOCI. E Nilde Iotti. Grazie. . (SG)
Antonio
la Lombardia dopo trent’anni di governo di CD; CL prima e lega dopo… cosa potevano aspettarsi i lombardi debiti e disuguaglianze sia interne alla regione che a discapito del martoriato Sud!
Alessandro
Ottimo articolo, che pone fondati interrogativi.
Paola Colombini
Cara Daniela, osservo nel tema delle autonomie differenziate proposte da “questo” governo un inganno, ideologico e pericoloso. Innanzi tutto, andrebbero abolite le Regioni a Statuto Speciale, che nel XXI secolo non hanno più ragione di esistere. Sono residuo novecentesco in contesti politici e geopolitici più che inutili, dannosi, a parte la Sicilia che è stata fucina di leggi improprie per una classe dirigente incapace, se non collusa. Per la Sardegna ho un solo pensiero: è stata Regione attenta alla preservazione di paesaggi e ambienti quando c’era un governo attento a essi, poi col cambio di governo è scattato il liberi tutti. Sono piccoli esempi che ci riportano però al tema di fondo : quale Italia si pensa e si progetta? Siamo pronti a essa? Abbiamo in generale una classe politica eletta, o nominata, capace di sostenere e gestire un progetto democratico : costituzionale ed ugualitario? Che superi le categorie di destra e sinistra : per il bene comune? Specifico in ogni territorio, ma sempre e comunque di stare dentro ai principi costituzionali e per la qualità di vita collettiva, garantita in ogni territorio? Il caso sanità è la cartina di tornasole. E con essa la condizione dell’istruzione pubblica. Due gangli del presente e del futuro del nostro Paese. E poi, c’è il tema dell’alta amministrazione, la burocrazia. : quali sono le competenze e quali i meccanismi di cooptazione dirigenziali Regione per Regione? Perché i fondi comunitari a progetto vengono spesi in alcune Regioni e in altre scompaiono o vengono inutilizzati perché ogni governo regionale fa scelte congrue o incongue (o peggio) nelle nomine? E dunque la questione dell’autonomia infine si incardina ai finanziamenti. E non al progresso civile delle Regioni per fare finalmente dell’Italia un Paese senza disuguaglianze e con uguali potenzialità di vita civile. Anzi, le accentua come se fosse “destino” ineluttabile. Dunque. Occorre partire dall’abolizione delle Regioni a Statuto Speciale, residuo inutile anzi dannoso del Novecento, quindi ripensare seriamente al tentativo (solo ideologico) di nuove Autonomie. Qui, più che atomizzare occorre unire, non politicamente o finanziariamente, ma sui diritti costituzionali fondamentali della Repubblica Italiana
Franco Benaglia
Ma prima di affrontare l’autonomia differenziata non sarebbe il caso di fare verifiche profonde del funzionamento delle Regioni e un esame sincero delle rispettive situazioni finanziarie e debitorie? Una vera operazione verità!
Ricordo una pubblicazione di Pirfrancesco De Robertis edito da Rubbettino. Sono passati ormai dieci anni ma niente è cambiato…….. anzi..
stefano vatti
Argomento politicamente complesso, perchè tocca di fatto ciò che sta più a cuore all’essere umano, dopo gli affetti familiari, ovvero la sicurezza economica, visto che il desiderio di maggiore autonomia (salvo che nella testa del professor Miglio, che aveva una precisa posizione scientifica sull’argomento) sorge dal maggior desiderio di benessere, e che su questa base trovi campo la dialettica.
come scrivevi in altra sede, è ora che il mondo liberal – riformista e il mondo liberal-cattolico, in compagnia di chi ancora può essere definito liberale puro o liberale laico aggiungo io, ritorni a trovare un tavolo di condivisione per riprendere le fila di un discorso che il bipolarismo ha reso d’un tratto quasi “agonistico/sportivo”. oggi assistiamo a due opposte fazioni (iper-federalismo, iper-centralismo), che – come sempre gli estremi – creano solo squilibri.