Tutto come sette anni fa: stessa scadenza, stessi protagonisti e medesime manfrine.
Il gioco della politica italiana sembra essere tornato alla casella iniziale. E ad Arcore come in quel di Fiesole, il postino della storia sembra intenzionato a suonare una seconda volta.
Tutto diverso, tutto uguale! Dal patto del Nazareno, alla quasi indifferenza. Dalla leadership indiscussa (per entrambi) alla residualità strategica. Da cenerentole dei due poli ad indispensabili interlocutori nella scelta del nuovo Capo dello Stato. Il destino politico di Silvio Berlusconi appare legato inscindibilmente a quello di Matteo Renzi.
Al momento le posizioni sembrano lontane. Ma non quanto si vorrebbe far credere. All’auto candidatura dell’uno: fumo negli occhi per gli avversari ed arma di distrazione di massa per alleati e media, si contrappongono analisi simili sulle caratteristiche/peculiarità del nuovo inquilino del Colle più Alto individuato (il maschile sembra -al momento- prevale) come europeista, moderato, fortemente competente in politica estera, internazionalmente stimato e, soprattutto, riformista (aggettivo sconosciuto al vocabolario lettiano).
Sicuramente entrambi non potranno mai votare un leader della sinistra ortodossa (Massimo D’Alema tanto per non fare nomi) o della sinistra ulivista (Romano Prodi) né, tantomeno, un portabandiera grillino (Giuseppe Conte).
Allo stesso modo, sia Matteo Renzi che Silvio Berlusconi, si guarderanno bene dal destabilizzare e depotenziare una impalcatura istituzionale in fieri (da entrambi condivisa e votata tanto in Italia come in Europa) e che si sta rivelando assai utile al Paese con candidature alla Paolo Gentiloni (Commissario europeo all’economia strategico in vista -soprattutto- della revisione dei trattati) o alla Mario Draghi: apprezzatissimo Premier e indiscusso numero uno dei leader europei dopo l’addio di Angela Merkel.
Per stessa ammissione dei due, poi, appaiono escluse dal novero delle possibili candidature anche tutte le figure divisive (siano essere autorevoli personalità della cultura -Liliana Segre in primis-, delle Istituzioni -Sabino Cassese- o della Magistratura -Piercamillo Davigo-) e quelle istituzionalmente di parte come i segretari generali dei sindacali o i leader di partito (la storia, a tal proposito, testimonia come mai un presidente/segretario di partito sia asceso al soglio quirinalizio con ciò liquidando ogni velleità arcorese).
Insomma chi non potrà divenire il 13° Presidente della Repubblica Italiana sembra abbastanza chiaro ed assodato. Resta da individuare un nominativo condiviso ed in questo percorso le opinioni di Matteo Renzi e Silvio Berlusconi saranno decisive come i voti di Italia Viva e Forza Italia per la sua elezione.
Come sette anni fa: attenti a quei due!
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