Siamo in una crisi epocale è vero. Sfatiamo però i luoghi comuni e gli inutili disfattismi. Non tutti sono stati colpiti dalla crisi economica post Covid19 e non è vero che ci siamo tutti impoveriti.
Ci sono settori quali alimentare, digitale, delivery, sanitario che hanno avuto un impatto positivo.
Sfatiamo anche la leggenda che il popolo italiano sia immaturo, non stia alle regole, cerchi di fregare il prossimo. Il rispetto dei cittadini italiani alle regole, confuse peraltro, durante il lockdown più lungo del mondo, ci dovrebbe far comprendere qualcosa.
Dobbiamo allo stesso tempo fare chiarezza una volta per tutte sulla nostra classe politica: ammettiamo che abbiamo una classe politica che non ci rappresenta, ammettiamo che si avvicinano alla politica certo non i migliori, ammettiamo anche che chi cerca il successo personale, meritocratico, basato sulle proprie capacità, non si orienta verso la politica.
Fatte queste tre premesse, questa crisi può essere il nostro definitivo banco di prova, la nostra sfida futura, la nostra speranza di cambiamento.
Per la prima volta abbiamo la possibilità di cambiare il corso della nostra storia, che già ci vedeva come un paese incapace di gestire le proprie finanze, moribondo e senza speranza di miglioramento.
È vero siamo in una situazione ingrata. Oggi il governo italiano ha difficolta a dichiarare in che fase di emergenza siamo e cosa dovremmo fare in ogni fase. Ha difficoltà a reperire le risorse economiche, bloccato in una burocrazia infinita.
Soprattutto questo governo non ha alcuna idea del dopo emergenza. Non ha alcuna Visione.
Ecco la parola magica: la Visione
Abbiamo bisogno di un governo che dichiari la propria Visione ovvero che dichiari e condivida con i cittadini “chi vogliamo diventare”. Un governo che faccia un patto con il proprio elettorato; e se raggiunge risultati soddisfacenti ne allarghi in maniera rapida e solida i confini.
Un governo che definisca le strategie, i metodi e gli strumenti per raggiungere e consolidare la propria Visione. Un governo che realizzi un patto trasparente con i cittadini, definendo punti di verifica e di controllo del proprio operato.
Sappiamo che un’azienda, piccola media o grande, priva di visione e strategia, priva di metodo e strumenti, è destinata velocemente al fallimento. Se per l’impresa ne siamo tutti serenamente consapevoli, perché’ accettiamo di essere governati senza questi minimi ma fondamentali requisiti?
Oggi i nostri politici cercano di soddisfare le pance dei meno istruiti, dei meno consapevoli, dei militanti, degli ideologizzati. E vediamo quindi crollare i consensi dei vari Renzi, Salvini Conte, uomini con un una forte leadership carismatica, una leadership che sviluppa negli altri attese e speranze assolute di salvezza; ma sia per le difficoltà legittime e oggettive, nessuno è la salvezza di nessuno, sia per i loro errori eclatanti, questi leader vedono ridursi velocemente e drasticamente il proprio consenso, e passano dall’essere acclamati all’essere detestati.
Una parabola che rispetta in modo letterale il manuale della leadership, (mi meraviglio che questi leader di partito ci caschino ancora. Mi domando come mai non abbiano un esperto che glielo ricordi ). Si passa, in sostanza, da una leadership che crea dipendenza a una leadership che crea velocemente contro dipendenza. E la fine è definitiva. Per i leader, per il partito, per il paese.
Adesso è arrivato il momento “di fare il punto”: decidiamo chi vogliamo diventare.
Si aprono due scenari opposti, (oltre la dicotomia classica tra destra e sinistra), due visioni diverse della società`, che rappresentano due approcci culturali profondamente differenti:
Da un lato uno Stato che accentra su di se` tutte le funzioni, che celebra la decrescita felice come stile di vita e sistema valoriale, uno Stato che indirizza i propri soldi in strumenti assistenziali a cui il cittadino e le imprese devono far riferimento; sia che i soldi pubblici arrivino dall’ Europa, dallo Stato o dalle Regioni saranno utilizzati sempre più per l’assistenzialismo, come il reddito di cittadinanza, oppure per sviluppare la sanità al sud (in particolare i soldi europei), per task force numerose e onniscienti e per la diffusione a tappeto di commissari pubblici, rigorosamente ed esclusivamente con esperienza nel pubblico, che potrebbero gestire le opere infrastrutturali sul territorio. La grande impresa in questo scenario è decisamente più tutelata della piccola e media. (Vedi Alitalia).
Questo scenario frequentemente rifugge da scelte politiche specifiche, Tende a dare tutto a tutti, volendo puntare sulla cultura della tutela degli “ultimi”, spesso demonizzando i “primi”.
Si ha nello specifico una democrazia burocratica. Sicuramente impersonale. E per dirla con Max Weber “la burocrazia è una forma particolarmente pervasiva e per certi aspetti pericolosa del processo di razionalizzazione della società “.
L’ altro scenario, a cui idealmente ambisco, vede un grosso ridimensionamento dello Stato centrale, un rafforzamento delle Regioni, in numero magari inferiore e con un territorio più ampio. Una responsabilità regionale sempre più simile a un vero e proprio Stato federale, fortemente premiante per le regioni virtuose. Ma che veda le Regioni collaborare con lo Stato su molti temi prioritari come, ad esempio, la lotta all”evasione.
La vera rivoluzione nel secondo scenario è la riforma della Pubblica Amministrazione. Un governo deve avere il coraggio elettorale di intervenire su quello che ritengo essere il nostro pozzo senza fondo. Un governo che abbia il coraggio di ribaltare con criteri meritocratici le regole di ingresso e di carriera, i criteri di valutazione e soprattutto i tempi della durata contrattuale e i compensi dei ruoli apicali. Potendo magari prendere spunto dalle eccellenze nel mondo in questo ambito ( Creare una Scuola di Pubblica Amministrazione sul modello francese, oppure il modello Singapore, in cui i migliori studenti ricevono borse di studio importanti che devono ripagare con un periodo lavorativo presso la PA.)
Il secondo scenario vede i soldi pubblici destinati soprattutto alla Sanità all’ Istruzione all’Impresa, (in particolare PMI) al Turismo e alla Cultura.
Certamente non all’ impresa in quanto tale, ma solo se questa riesce ad essere innovativa a convertire il proprio modello di business e a cambiare posizionamento per restare sul mercato. Ad esempio se il business aziendale ieri era la ristorazione, oggi post Covid 19, è il delivery dei pasti pronti, domani è il prodotto confezionato per la GDO e dopodomani potrebbe essere la consulenza ad altri per diffondere i nuovi modelli di lavoro.
Se vogliamo davvero sviluppare una cultura del lavoro sana, competitiva ed equa, il fattore determinante per ottenere soldi pubblici a favore delle imprese, magari a fondo perduto, dovrebbe essere una reale politica da parte delle imprese, anche le piccole, orientata al welfare aziendale.
Occorre valorizzare economicamente le aziende che hanno saputo abbracciare da tempo la cultura del “valore condiviso” (sharing value) tra azienda e lavoratori, che hanno saputo sviluppare la reale partecipazione tra le parti. Sono le aziende che in queste settimane di Covid19, si occupano più del solito del benessere dei propri lavoratori, della loro salute, facendo esami sierologici ad esempio, occupandosi degli strumenti che questi utilizzano per lo smart working, e che continueranno a farlo in modo sempre più attento e ascoltando i bisogni di chi lavora per loro.
Forse mai come adesso, durante le emergenza sanitaria, le imprese hanno agito rispettando il patto con i propri lavoratori, rispettandone soprattutto la salute e sono state percepite da questi come una reale comunità di riferimento.
Occorre continuare su questa strada e portare anche le imprese che non hanno questi tratti caratteristici, le cosiddette free riding, a agire in merito all’importanza della partecipazione, che poi è il tema della riappropriazione della dignità del lavoro e del “contratto psicologico“ che completa il contratto di lavoro.
La centralità della persona non è solo lo slogan degli addetti alle risorse umane ma è il punto centrale dal quale ripartire per fare impresa.
Alessandro
L’articolo è molto chiaro e rispecchia esattamente quanto , nel mio piccolo , penso su questo governicchio che , purtroppo , non è lo specchio dell’elettorato ma un abuso di potere fatto da individui non adatti alla visione del futuro….una combriccola di elementi che aspira solo al protagonismo
Sandra Bianchini
Avere visione non è da tutti
Massimo
Sono favorevole alla formazione di un governo federale tipo Usa con più ampia facoltà decisionale si governatori i quali in questa circostanza hanno dimostrato più lungimiranza dei nostri politici. Anche perché conoscono meglio il territorio e i suoi problemi.
roberto zei
Non comprendo perché lo Stato dovrebbe essere burocratico e assistenzialista e le regioni no. La Sicilia che ha ampi margini di autonomia mi sembra non dia il buon esempio. Terrei distinta la questione delle competenze Stato-Regioni dalla visione di una economia più o meno dirigista e assistenzialista. E’ vero invece che manca una visione nel governo ma manca anche nei partiti. Sfido a capire quale sia oggi la linea del PD. Se comunque dovessi riassumere in due parole il problema principale dell’italia direi merito e responsabilità individuale.
Sandra
Uno stato federale potrebbe essere meno burocratico e assistenzialista ma più meritocratico, proprio perché premierebbe economicamente le regioni virtuose