Il PD nasce dall’incontro fra la cultura del comunismo democratico italiano e la cultura sociale cattolica. In termini politici dall’incontro fra l’ex PCI e la ex DC sociale. Il nuovo pd cosa dovrebbe mantenere e cosa dovrebbe aggiungere a questi filoni culturali?
Il PD per me dovrebbe essere una sinistra plurale, europea e moderna. Della sinistra storica e del cattolicesimo progressista dovrebbe – doveva – sottoporre a verifica collettiva le radici: quali sono soltanto storia e memoria, quali ancora gemme da innestare e sviluppare. Insomma, separare la cenere dal fuoco. Con una consapevolezza: il Novecento è finito. Anche le radici ancora vive sono da sviluppare e innovare, non semplicemente da replicare. Quali sono i temi che possono fondare l’identità valoriale e politica di una sinistra plurale? Il lavoro o meglio il mondo dei lavori come concretamente oggi sono; il welfare, in particolare sanità, istruzione, assistenza; la transizione ecologica ; la democrazia federale europea ; la non violenza e la pace. Una sinistra plurale potrebbe riassumersi per me con queste due espressioni: libertà /responsabilità cioè diritti e doveri; uguaglianza che non è omogeneità forzosa ma condizione che permetta a ognuno/ognuna di esprimere le proprie potenzialità. Finora il PD non ha compiuto questa riflessione critica collettiva né impostato il progetto di un futuro da costruire. Speravo che si facesse con la fase costituente. Come si vede una fase costituente seria e vera non ci sarà. Al solito si voterà sui candidati alla segreteria, senza una discussione ampia e reale. Il rischio di un declino per me non è banale. Lo dico con amarezza: il PD era quindici anni fa la strada giusta. Peccato lo abbiamo realizzato male e, testardi, non vogliamo o sappiamo cambiare strada.
Il PD è nato come partito a vocazione maggioritaria. È ancora attuale questa impostazione?
Walter Veltroni aveva lanciato la vocazione maggioritaria del PD , Renzi e i gruppi dirigenti insediatisi con lui l’hanno fatta sprofondare nella presunzione di autosufficienza, esattamente l’opposto come dimostrano gli esiti. La vocazione maggioritaria può essere negli obiettivi di un partito o di una coalizione quando vi siano un sistema politico bipolare e una legge elettorale che lo sostenga. Oggi non è questa la situazione. Un partito degno di questo nome deve avere l’ambizione di conquistare una maggioranza di consensi. Detto questo oggi mi contento di un patto di alleanza che preveda l’indicazione ai cittadini del candidato premier; dell’introduzione in Costituzione della sfiducia costruttiva e del principio di supremazia (se capita un’emergenza nazionale non si può vagare nella confusione di responsabilità vista con il covid); di una legge elettorale che permetta ai cittadini di scegliere i parlamentari. L’attuale legge, il cosiddetto rosatellum, è impresentabile: mi permetta di dirle che non sono pentito ma orgoglioso di essermi opposto alla sua approvazione nonostante la fiducia posta dal governo Gentiloni.
Il problema delle disuguaglianze sociali è uno dei principali fenomeni da affrontare nell’attuale fase dello sviluppo economico mondiale. Nella tradizione della sinistra italiana questo tema è vastato affrontato principalmente attraverso un approccio laburista. Diffondere formazione e competenze, abbattere blocchi all’ingresso nel mondo del lavoro e favorire la collocazione dei gruppi e dei singoli svantaggiati attraverso serie politiche attive. Il Rdc propone un altro approccio al tema. Cosa pensi in proposito?
Non sono per abolire né per “definanziare” il reddito di cittadinanza ma per riformarlo. Così come sono per un salario minimo di dignità, di 9 euro all’ora. Non sono d’accordo che questi strumenti rappresentino una impostazione opposta o alternativa rispetto all’approccio laburista per l’accesso al lavoro ed alla formazione. Del resto paesi europei si sono mossi in questa direzione e l’Unione Europea ha indicato reddito di cittadinanza e salario minimo come politiche utili per il lavoro e per fronteggiare fasi di crisi. Bisogna stare attenti a discorsi astratti che nascondono – mi riferisco non alla domanda ma alle concezioni di certa destra – un disprezzo per le povertà. Se non esiste la possibilità di trovare un lavoro o di trovarlo a un salario dignitoso, se sono un disabile e non mi si danno altri mezzi di sostegno, la questione riguarda il reddito di cittadinanza o invece le misure complessive per lo sviluppo e l’efficacia della formazione offerta ? A volte, mi si consenta questa battuta, finisce che guardiamo il dito anziché la luna. Insomma ci scagliamo sulle conseguenze e non sulle scelte : riformiamo queste ultime, non gettiamo sul lastrico un altro milione di persone. Già abbiamo attorno a 6 milioni di persone sotto l’asticella della povertà e il 25% dei lavoratori stabilmente occupati nel settore privato hanno un reddito che li colloca al di sotto di questa asticella. Non sono dati miei ma del ministero del lavoro e sono riferiti al 2019, cioè precedenti alla pandemia e alla guerra in Europa.
Sul tema ambientale col PD ha scelto una strada netta: decarbonizzare il sistema per cercare di delimitare gli effetti negativi del cambiamento climatico e puntare su un serio piano di mitigazione degli effetti. Il piano per la mitigazione richiede forti investimenti per i prossimi trent’anni. Siete disposti a sostenere più investimenti e meno spesa corrente? E a dirottare investimenti verso la mitigazione( acqua, rischi naturali, calore innalzamento del mare etc)
Il governo della transizione ecologica non è una possibile opzione ma la priorità resa necessaria, anzi imposta dall’aumento del clima e dai rischi che corre il nostro pianeta. È il terreno su cui concentrare risorse, innovazione, attività di lavoro, formazione di nuove competenze. Naturalmente non si affronta nella dimensione del solo Stato nazionale : sono fondamentali l’Unione Europea e la cooperazione internazionale. L’Unione Europea si è posta nel gruppo di testa dell’impegno sul controllo del clima. Non si vince però la sfida ecologica in Occidente, senza Cina, India, Russia e le nazioni del Sud del mondo. E questo guardando al presente ci mostra oggi le difficoltà e i ritardi : la guerra di aggressione della Russia all’Ucraina non aiuta certo lo sviluppo di una cooperazione che sarebbe indispensabile. Due considerazioni ancora sull’uso e la disponibilità delle risorse. 0ccorre privilegiare gli investimenti, con un equilibrio rispetto alle spese correnti, non riducibile tuttavia a slogan. La materia è un po’ più complessa. Realizzare un centro ricerche, un istituto per progettare nuove tecnologie, come del resto una scuola o un ospedale è politica di investimenti. Il personale competente per farli essere operativi è spesa corrente. Senza prevederla si fanno però sprechi o cattedrali nel deserto. È un problema ad esempio che a me non sembra sia stato correttamente risolto nel Pnrr. Siamo poi in un paese, l’Italia, che ha un’evasione fiscale spaventosa, attorno a cento miliardi di euro l’anno. Senza affrontarla e superare questo handicap, che divide i cittadini e causa ingiustizie, non avremo soldi né per il clima e la transizione ecologica né per il welfare.
Il rapporto stato mercato è un punto sensibile per la sinistra. C’è tradizionalmente una fiducia ex ante forte per lo stato, mai verificata ex post, e d’altra parte una sfiducia non sempre motivata sul mercato. Il nuovo PD come deve posizionarsi sulla dicotomia stato/mercato?
L’economia non può che essere di mercato. Non esistono altri modelli validi. Meglio, come è in Europa, precisare economia sociale di mercato. Questo ci dice che è il mercato a muovere l’economia, che il profitto è legittimo ma anche che occorrono regole che impediscano comportamenti fraudolenti, diano una finalità sociale alle imprese. Queste regole non sono prodotte dal mercato, in modo autonomo: sono decise dagli Stati e oggi molte di esse richiederebbero una competenza europea. In fondo il segreto per l’equilibrio è la capacità di creare consenso e fiducia nei confronti delle attività di lavoro, dipendente e autonomo. Ho visto che in Europa le economie che funzionano meglio sono quelle dei paesi che hanno legislazioni che permettono ai rappresentanti dei lavoratori una partecipazione nelle attività dell’impresa : ad esempio in Germania, dagli anni Settanta del secolo passato, nelle imprese medie e grandi i rappresentanti dei lavoratori siedono nei consigli di amministrazione e hanno un ruolo significativo nella valutazione dei programmi, nella scelta dei manager, nel giudizio sul loro operato. In Italia non è così! L’economia deve essere di mercato ma la sinistra non può volere una società di mercato. In settori del welfare come l’istruzione, la sanità, l’assistenza il ruolo dello Stato, anche nelle sue articolazioni regionali e locali, resta fondamentale : non è obbligatorio un monopolio nella gestione, ma lo Stato deve poter programmare e controllare. Concludo con quello che per me dovrebbe essere il progetto di una sinistra moderna : una riforma del capitalismo, un nuovo, grande compromesso sociale, economico, ambientale e politico, come avvenne in Europa dopo il secondo conflitto mondiale. Al centro i diritti /doveri dei lavoratori e degli imprenditori, dai salari agli orari di lavoro nella società della rivoluzione tecnologico-scientifica; la transizione ecologica, con le sue priorità nelle produzioni e nei metodi del lavoro; il welfare fondamentale, come già indicato, e cioè istruzione, sanità, assistenza da assicurare a ogni persona, quale che sia il colore della sua pelle, la cultura, la fede religiosa; la democrazia federale europea. Un grande e nuovo compromesso che faccia agire il mercato nella vita economica ma non ne faccia il protagonista assoluto, totalitario e pressoché divino nell’intera società. Nelle relazioni umane c’è e conta l’economia ma i rapporti tra le persone non possono essere ricondotti, ricompresi a forza nella sola sfera dell’economia.
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