Alle elementari le maestre ci hanno insegnato che non è possibile sommare pere e mele. Poi ci sono operazioni dove i termini non soltanto non sono sommabili tra loro ma sono addirittura e del tutto incompatibili. Ne abbiamo avuto prove in questo primo periodo post pandemia in cui si rincorre una normalità che però sembra sempre più difficile essere tale.
La prima stramba addizione è quella che è stata tentata tra Piero della Francesca e Banksy, lo street artist ormai sempre meno street e fin troppo artist che nella nostra penisola è ormai come il prezzemolo, sta da tutte le parti. Senza dubbio sono due artisti (come pere e mele due frutti) e, sempre senza dubbio, hanno utilizzato i muri (in luoghi e modi molto diversi) come superfici per le loro opere: un impianto critico fin troppo ridotto all’osso per giustificare una loro mostra come quella presentata al Museo di San Sepolcro, museo che ospita ben quattro opere di uno tra i maggiori artisti del Rinascimento. Una coppia strana quella messa insieme in quest’operazione che mi riporta ai tempi del liceo e a quell’interrogazione di letteratura latina dove un compagno si limitò a dire che Cesare era un romano e Cicerone un altro romano e che ambedue erano stati scrittori. In effetti le ragioni per una “visita” di Bansky a Piero sono misere come erano state le risposte all’interrogazione. È davvero poca cosa e, per una volta, non può convincere né chi si schiera dalla parte dei puri che rifiutano ogni dialogo tra epoche diverse, definiti anche i “puzzalnasisti”, sia chi, in un atteggiamento parimenti ideologico, pensa che tutto sia permesso soltanto perché nell’arte contemporanea, essendo sempre stata tale, tutto può dialogare con tutto.
Facile è ascrivere questa iniziativa nella grande macchina tritatutto delle mostre effimere fatte di niente che hanno dominato la scena culturale degli ultimi dieci anni e che oggi sarebbero abbondantemente da ripensare come modello culturale. E dire che proprio dal rapporto tra opere e luoghi di epoche diverse possono nascere nuove possibilità di lettura per illuminare non soltanto la contemporaneità ma soprattutto per rileggere il passato che è sempre sottoposto alla lente del presente. Però ci sarebbe bisogno di applicare rigore e scientificità. Caratteri che non si ritrovano nemmeno nell’installazione all’aperto di quel branco di lupi che ha invaso le piazze fiorentine di Pitti e Santissima Annunziata. Scarsa anche in questo caso la giustificazione: regalare alla città un’esperienza artistica partecipativa. Almeno che questa pratica, davvero necessaria per avvicinare il pubblico all’esperienza dell’arte, non sia semplicemente ridotta alla possibilità di poter utilizzare le opere, in questo i 100 animali fusi in ferro, come panchine, riscaldamento da solleone estivo permettendo.
Sempre la qualità e l’opportunità di un confronto è all’origine di un’altra maldestra operazione che in questi giorni ha riguardato, purtroppo, ancora una volta le Gallerie degli Uffizi, tra i promotori anche di “Lupi in arrivo”. E dire che il Direttore Eike Schmidt nelle interviste durante il periodo di lockdown era stato uno dei più lucidi interpreti della situazione e dei suoi possibili sviluppi per quanto riguarda nuove politiche culturali post covid. Chiariamo subito che il problema non è la presenza di Chiara Ferragni nel museo, anche se bisogna specificare che vi si era recata per lavoro, ovvero per un servizio fotografico per la rivista Vouge e non proprio per diletto. Anzi, mi auguro che le sue visite continuino spontaneamente anche in altri musei italiani magari con il marito Fedez e il piccolo Leone proprio per testimoniare, lei che è così tanto seguita, che questi luoghi sono vistabili da tutti, famiglie comprese, e non riserve per le diverse tribù di studiosi o appassionati. A stonare, quindi non è la sua presenza ma il come sia stata resa pubblica, ovvero con un post su instagram (e anche qui non ci sarebbe niente di male) che introduce a un confronto, cito testualmente, tra “ideali femminili”: quello della Venere che esce dalle acque e quello della più nota blogger. È vero, tutte e due sono bionde e giovani!
Un momento di storia dell’arte sbagliato quel post, se è stato questo l’intento, perché parlare di “canoni estetici” e “ideali di bellezza” nel 2020 è veramente cosa antica come pure è fuorviante ridurre la questione a chiacchiera da estetista (pieno rispetto per questo lavoro). Forse sarebbe bastata una più semplice “istagrammata” della Chiara nazionale insieme al Direttore e la cosa avrebbe avuto comunque la sua eco. Ma nella rincorsa al follower e al nuovo pubblico post pandemia per rimpolpare il numero delle visite si è forse voluto un poco esagerare.
Ancor più grave, però, è quel messaggio che è stato lanciato ai giovani, quelli che si vorrebbero attirare, da una così importante istituzione culturale internazionale. Un messaggio sbagliato perché è caduto su quella irrealtà, fisica e psicologica, che proprio i giovani in maniera erronea e inconsapevole rincorrono. Mentre un museo di ogni ordine e grado dovrebbe essere luogo di educazione per poter vivere più consapevolmente il nostro tempo.
Certo, in quei lunghi mesi in casa ci auguravamo una diversa ripartenza, mentre la mostra di San Sepolcro, i lupi nelle piazze e la “bella Chiara” sono soltanto il simbolo del ritorno a quella normalità che ci aspettavamo superata. Una normalità che normale non era perché ci aveva illuso che era possibile fare anche la somma delle pere e delle mele per poi farci ritrovare all’improvviso senza niente in mano. Ma l’importante era, e purtroppo è ancora, parlarne.
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