Alle parole di estrema chiarezza e determinazione pronunciate da Mario Draghi in Senato (sintetizzabili nel seguente passaggio: “Continuano a emergere nuove atrocità commesse ai danni dei civili da parte dell’esercito russo. Le responsabilità saranno accertate e i crimini di guerra saranno puniti.”), fanno eco sul Corriere della Sera di domenica 26 giugno e aggiungono un ulteriore elemento di comprensione le affermazioni di Galli della Loggia sul “feroce e e radicale tentativo di snazionalizzazione di tutti i territori occupati”, che culmina con la crudele deportazione in Russia di migliaia e migliaia di bambini ucraini per fini che non si riesce neppure a pronunciare.
E allora il paragone storico non può che essere con la Germania di Hitler o L’Unione Sovietica di Stalin. Perché, se analizziamo i fatti, neppure ai tempi di Breznev, che pure si macchiò di azioni nefande come l’invasione della Cecoslovacchia nel 1968, si era arrivati a distruggere non solo le istituzioni democratiche e le infrastrutture civili e militari ma l’identità stessa di un popolo: la sua cultura, la sua lingua, il suo diritto ad esistere e a riprodursi.
Ciononostante in Europa, e soprattutto in Italia, le voci autorevoli che si levano contro questa tragedia immane sono relativamente poche e non fanno audience. Come ci ha spiegato il presidente Draghi ci sono due scuole di pensiero sulla guerra in Ucraina: una è la sua e di tutti quelli che si schierano senza se e senza ma con l’aggredito; l’altra è quella di chi, in nome della più cinica real-politik, vorrebbe la resa immediata dell’Ucraina di fronte all’evidente superiorità bellica della Russia. E da quanto leggiamo sui giornali (Il Fatto Quotidiano in primis) e vediamo nei talk show (soprattutto su La 7) sembra proprio che la seconda scuola sia quella ormai prevalente.
L’idea che il conflitto sia soltanto regionale e quindi non ci debba coinvolgere direttamente; la convinzione che l’Ucraina sia eterodiretta dagli USA del guerrafondaio Biden, e che si riallaccia a una lunga tradizione anti-americana presente nel nostro Paese sia a destra che a sinistra; le relazioni politiche e commerciali strette in passato con la Russia al punto da aver portato l’Italia ad essere quasi totalmente dipendente dalla sue forniture energetiche (apriamo una piccola parentesi: non fu proprio l’ex ministro dello Sviluppo Di Maio, oggi miracolosamente convertito all’atlantismo, a far fallire il progetto di un gasdotto proveniente da Israele?) sono solo alcuni degli evidenti pregiudizi ideologici nonché degli interessi di carattere economico che vorrebbero modificata la netta posizione pro-Ucraina espressa dal governo Draghi.
Ma il presidente del Consiglio, in questo senso, non trova nemici ed ostacoli solo in Italia. Purtroppo anche in sede europea, dove si continua a non prendere una posizione sempre unanime e prevalgono le politiche diversamente nazionalistiche: come quella espressa dall’Olanda – ma sottotraccia probabilmente anche dalla Germania – che ha rifiutato la proposta lanciata da Mario Draghi di mettere subito un tetto ai prezzi per l’acquisto del gas.
Se nei prossimi mesi dovessimo assistere in silenzio al ripetersi della tragica vicenda del genocidio degli Armeni, nonostante che oggi siamo tutti pienamente informati sulle atrocità (davvero neo-naziste) che l’esercito russo sta compiendo in Ucraina, questo sarebbe – Dio non voglia – il segno definitivo della sconfitta dell’Occidente.
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