L’informazione sulla diffusione della pandemia da COVID 19 è stata imponente in virtù del pesantissimo impatto che ha avuto sulla vita dei cittadini dell’intero pianeta, un drammatico evento globale per il costo in termini di vite umane, di ammalati con postumi anche seri e di blocco sostanziale della vita sociale e di relazione oltre che delle attività economiche.
Serve una informazione essenziale e tempestiva
È evidente che una informazione tempestiva e approfondita è una precondizione indispensabile per la definizione di strategie di contenimento e di cura e per questo merita di essere oggetto di attenta valutazione nella sua capacità di illustrare le dinamiche della pandemia ed illuminare i nodi critici nei quali occorre intervenire con misure appropriate, in primis ai fini di prevenzione con l’uso delle mascherine, disinfezione delle mani e degli ambienti, distanziamento sociale.
I mezzi di comunicazione, dalla stampa alle tv alla informazione on line, nella sostanza hanno messo in rilievo due dati: a) la diffusione del contagio, presente senza particolari differenziazioni per età, e b). il numero dei decessi, concentrati tra la popolazione più anziana, entrambi analizzati nel loro andamento giornaliero attraverso le diverse ondate con il calcolo di indici. A questi due dati si è accompagnata la quotidiana indicazione del numero dei ricoverati nei reparti ordinari degli ospedali e nei reparti di terapia intensiva, giustamente assunti ad indicatori della pressione sulle strutture ospedaliere e della loro capacità di risposta (peraltro solo tardivamente accresciuti).
Sui lockdown e sulla differenziazione dei colori
Avvicinandosi l’esaurirsi di questa capacità si è ricorsi all’inevitabile lockdown inizialmente totale- salvo la sanità ed i servizi essenziali – poi con esenzioni più o meno ampie che comunque hanno causato il coma profondo – non si sa se e in quale misura reversibile – di tutte le attività fondate sulla vita di relazione, dal turismo agli eventi come dallo spettacolo alla ristorazione allo sport , verso le quali erano stati indirizzati tanti giovani, anche per assenza di alternative, con importanti perdite occupazionali, cui altre se ne aggiungeranno per la fine del blocco dei licenziamenti e la ripresa delle procedure fallimentari.
Il sistema delle restrizioni differenziate secondo diversi colori assegnati in base ai punteggi di un algoritmo appare se possibile ancora più nocivo, ingenerando aspettative di ripresa per le quali si investe attingendo a riserve che si assottigliano salvo poi ricevere il CONTRORDINE COMPAGNI, con il ritorno di restrizioni: un allargarsi e richiudersi demenziale e perdita di risorse e di fiducia: ultimo disastroso episodio il rinnovato blocco degli impianti sciistici a poche ore dalla riapertura precedentemente fissata.
Il lockdown blocca tutto e tutti, ugualmente esposti al rischio di contagio ma, si dice, non presenta alternative e a conferma di questa affermazione si portano esempi di altri paesi che non stanno meglio dell’Italia pur avendo effettuato scelte diverse, mirate ad una immunità di gregge non raggiunta, per tutti si cita la Svezia dove queste scelte sicuramente non hanno funzionato e si trova nelle condizioni del nostro paese, per contagi, sovraccarico degli ospedali e decessi, ma a differenza dell’Italia non ha sopportato i danni causati del lockdown.
Ora che l’avvio della campagna dei vaccini[1] apre la prospettiva concreta di uscire da questa condizione di vita-non vita, si possono sviluppare riflessioni e valutazioni, consapevoli di poter essere additati come untori sulla gogna mediatica dei social.
Leggere e riflettere sui dati
a) contagi e decessi per classi di età
Per questi approfondimenti dal Centro Studi della Fondazione Turati sono state richiesti dei dati che, sicuramente disponibili, non erano apparsi nella comunicazione pubblica, distintamente all’ Istituto superiore di Sanità (ISS) ed alla Azienda Regionale di Sanità (ARS) della Toscana.
Ad entrambi gli organismi sono state formulate due richieste, la prima di avere il numero dei ricoverati in ospedale ed in terapia intensiva fino al 31 dicembre 2020 per classi di età, la seconda di avere questi stessi dati per soggetti contagiati tra ospiti di strutture sociosanitarie protette, RSA o RSD o comunità.
Mostrando grande attenzione e rapidità, considerato il momento, dall’l’ISS, Reparto Epidemiologia, Modelli Matematici e Biostatistica, sono arrivati i dati relativi ai ricoverati in ospedale e terapie intensive distinti per età mentre per quanto riguarda i dati sulle persone ricoverate o decedute provenienti da strutture assistenziali è stato fatto presente che “.. nel sistema di sorveglianza non è raccolta l’informazione in maniera strutturata delle persone che erano ospiti in RSA al momento della diagnosi”.
I dati, che sono stati resi disponibili per classi di età decennali, sono stati riorganizzati in tre grandi gruppi: i giovani fino a 29 anni che sono 16,7 milioni (27,8% della popolazione), i maturi in età lavorativa tra 30 e 69 anni che ammontano a 32,6 milioni (54,6%) e gli ultrasettantenni che sono 13,4 milioni (17,6%).[2]
Si è scelto di elaborare indicatori elementari rinviando per più sofisticate analisi alle pubblicazioni dell’ISS[3] intanto per misurare la diffusione del contagio e la mortalità da COVID 19 nel 2020 dall’esplodere della pandemia fino al 31 dicembre.
Tra i giovani si sono contati lo scorso anno 519.061, ovvero 31 casi per 1000 abitanti, tra i maturi i casi accertati sono stati 1.236.556 (38 casi per 1000 abitanti) e tra gli ultrasettantenni sono 397.421, ancora 38 casi per 1000 abitanti: si può concludere che il contagio corre più o meno con la stessa intensità quale che sia l’età, tenendo anche conto del fatto che sul più basso indice di contagio tra i giovani può aver inciso un minor numero di test effettuati all’emergere di qualche sintomo data la prevalente asintomaticità della infezione in queste fasce di età.
Ben diversa si presenta la situazione dei decessi[4] per coronavirus, come è stato immediatamente percepito dalla opinione pubblica.
In totale i decessi al 31 dicembre 2020 sono stati 70.797, ossia 118,7 ogni 100.000 abitanti ma tra i diversi gruppi considerati si hanno rilevantissime differenziazioni: i decessi tra i giovani sono stati in tutto 54 cioè 0,3 ogni 100.000 residenti di questo gruppo, tra i maturi si contano 9.946 decessi ovvero 30,5 decessi ogni 100.000 residenti, fino al dato drammatico di 60.797 morti dai 70 anni in su, ( l’86% dei deceduti) per oltre 585 morti ogni 100.000 residenti di questo gruppo. .
Si comprende come a fronte di questa ecatombe sarebbe importante sapere quanto ha pesato la inadeguata protezione degli anziani ospiti di strutture sociosanitarie, all’inizio abbandonate a se stesse di fronte al dilagare della infezione, e poi in qualche modo danneggiate da misure adottate senza un’ottica di sistema, come il colmare la carenza di infermieri negli ospedali pubblici sottraendoli alle RSA. Dopo una indagine sommaria sulle RSA nella prima fase della pandemia[5], non risultano a chi scrive approfondimenti statistici seri sull’impatto della pandemia sugli ospiti di queste strutture.
b) i ricoveri in ospedale ed in terapia intensiva per classi di età
I dati dell’ISS sui ricoveri in ospedale ed in terapia intensiva mostrano chi sono i più fragili di fronte alla infezione (intuitivamente era noto) dai quali origina la pressione sulle strutture ospedaliere,
Tra i giovani, su 1.000 contagiati poco più di 18 finiscono in ospedale e meno di 1 su mille mostre condizioni critiche che impongono la terapia intensiva. Si potrebbe dire, ovviamente con il rischio di essere rimbrottati, che per loro è poco più di una brutta influenza? E allora ci si può immaginare la loro frustrazione nell’essere soggetti a restrizioni nella vita sociale in nome di una solidarietà intergenerazionale verso i loro padri e nonni che non ne hanno mostrata granché per quel debito pubblico monstre che peserà su di loro negli anni a venire?
Gli esiti sono più pesanti per i contagiati maturi: oltre 84 su 1.000 finiscono in ospedale e quasi 13 su 1.000 in terapia intensiva, contandovi in tutto lo scorso anno 15.000 ricoverati, quasi la metà del totale.
Dai settant’anni in su il rischio di finire in ospedale se si prende il contagio sale vertiginosamente, 318 su 1.000 anziani, quasi 1 su 3, finiscono ricoverato in ospedale e 40 su 1.000 in terapia intensiva, per un totale di oltre 16.000.
Rapportato alla dimensione demografica delle classi di età emerge con chiarezza come il ricovero in terapia intensiva, lo snodo critico del sistema di cura, esplode al crescere dell’età.
Ricoverati in terapia intensiva per Covid-19 per 100.000 abitanti, per classe di età
È evidente che gli anziani finivano in ospedale in percentuali ben superiori agli altri anche prima della pandemia ma l’infezione da Coronavirus ha accresciuto e di molto questo rischio, perché secondo i dati ISTAT il 42,3% degli over 75 è multi-cronico, cioè soffre di tre o più patologie.
Quindi proteggere gli anziani maggiormente esposti alle più pesanti conseguenze dell’infezione è diventato l’obiettivo delle strategie di contrasto al virus, attraverso lockdown generali per impedire che figli e nipoti con le loro relazioni esterne contraggano il contaggio trasmettendoli ai familiari anziani.
Ma quanti sono gli anziani che vivono con i figli? Secondo gli stessi dati ISTAT solo uno su cinque, il 20,9%, vive con i figli e quindi con i nipoti, se presenti, mentre un restante 40% vive o nello stesso caseggiato o entro un km di distanza: fra quelli che vivono da soli due su tre hanno almeno un nipote con i quali, nel 40% dei casi, i contatti sono settimanali.
Tutti questi numeri dovrebbero essere considerati per stabilire se le strategie di limitazioni indifferenziate – nazionali o regionali che siano – non possano essere sostituite da limitazioni ristrette ai soggetti maggiormente a rischio, nello specifico gli anziani, cui dovrebbe essere assicurata adeguata assistenza domiciliare e compensazioni attraverso mirate occasioni di rapporti sociali protetti, di impegno del tempo libero, di soggiorni – vacanze tramite le quali oltre che a proteggere e promuovere il benessere di queste persone si sosterrebbe l’economia dei territori.
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[1] Ci occuperemo della vicenda dei vaccini e di come è stata trattata dai media, come se la loro scoperta e messa in produzione fosse lo stesso che, in situazione di afa estiva, tirar su qualche chiosco per vendere fette di cocomero (senza dimenticare che anche questa messa in opera richiede tempi).
[2] ovviamente potrà essere affinata l’analisi ad esempio restringendo il primo gruppo fino a 24 anni, il secondo da 25 a 64, l’ultimo includendo dagli ultrasessantacinquenni in su.
[3] Rapporto Iss Covid-19, n. 1/2021 “Il case fatality rate dell’infezione SARS-CoV-2 a livello regionale e attraverso le differenti fasi dell’epidemia in Italia”.
[4] I dati di diversa fonte mostrano leggerissime discrepanze che non incidono ai fini delle considerazioni svolte in questa nota.
[5] Iss, “Survey nazionale sul contagio Covid-19 nelle strutture residenziali e sociosanitarie. Report finale. Aggiornamento 5 maggio 2020”.
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