- Il ruolo del Parlamento europeo in campo economico
Il nuovo Parlamento europeo dovrà occuparsi di economia più di quanto non sia avvenuto nel corso degli anni. In realtà, ha avuto un ruolo rilevante per l’evoluzione del sistema economico europeo, dando origine e sviluppando l’attuale Unione economica e monetaria, tuttavia, intrappolato in pastoie burocratiche e condizionato da interessi particolari nazionali, ha costituito talvolta un freno, anziché uno stimolo, all’azione della Commissione europea, soprattutto per lo sviluppo delle strategie di medio lungo periodo.
Ad ogni modo, con la definizione, la disciplina e l’evoluzione del mercato unico il Parlamento europeo ha svolto un’egregia funzione legislativa, basando il sistema economico su un principio cardine, la concorrenza. L’obiettivo perseguito è stato quello di assicurare un sistema di produzione e scambi con rivalità degli agenti economici in condizioni paritarie, evitando aiuti di stato e pratiche discriminatorie, eliminando le posizioni dominanti e le rendite da potere di mercato. La Politica per la concorrenza nazionale e intraeuropea con le Autorità garanti, che l’azione del Parlamento ha sollecitato, è stata funzionale alla formazione di uno spazio economico ed istituzionale sovrannazionale governato da un sistema dei prezzi il più possibile efficiente, libero da dazi, sussidi e imposte distorsive. Ma il mercato unico deve essere esteso alla finanza e al sistema bancario per essere davvero completo e il Parlamento europeo sarà chiamato a pronunciarsi su questo passaggio fondamentale.
Il Parlamento europeo non è stato solo investito nella diffusione e potenziamento dell’economia di mercato nell’Unione, ha anche perseguito una visione regolativa e orientativa del mercato stesso, per il benessere dei cittadini europei e delle generazioni future, cioè ha delineato, pur imperfettamente, una politica economica. Al riguardo, nell’aprile 2021 il Consiglio e il Parlamento europeo hanno adottato il programma dell’UE per il mercato unico per il periodo 2021-2027. Gli obiettivi principali del programma sono aumentare l’efficacia del mercato unico sostenere la competitività delle imprese dell’UE, rafforzare il ruolo dei consumatori e proteggerli, garantire una catena alimentare sostenibile e sicura promuovere la salute. Per di più, ll mercato unico sarà investito nel ruolo di favorire la transizione verso un’economia circolare e più rispettosa del clima.
Ma gli esempi recenti più emblematici e rilevanti di policy del Parlamento Europeo sono stati indubbiamente l’elaborazione del programma Next Generation EU (NGU) e la definizione delle nuove regole di disciplina fiscale (NDF). Il primo ha rappresentato un rilevante fatto storico, con l’introduzione di meccanismi solidaristici inediti tra stati membri, il secondo ha avviato la revisione di un sistema di controllo e sorveglianza delle finanze pubbliche che ha mostrato evidenti limiti nel corso delle crisi sistemiche che hanno investito l’Europa negli ultimi 15 anni.
- Next generation EU e Nuova disciplina fiscale
Il Parlamento europeo ha approvato il 9 febbraio 2021, in sessione plenaria con 582 voti favorevoli, 40 contrari, e 69 astenuti, un Regolamento che pone gli obiettivi, le modalità di finanziamento e le regole da rispettare per il Recovery and resilience Fund (RRF) (per noi il PNRR), la parte più consistente e corposa del piano di ripresa NGU. Con la ratifica da parte del Consiglio dell’Unione, il Regolamento è entrato definitivamente in vigore. I fondi stanziati dall’Europa sono tanti, con la parte più consistente all’Italia, ma non sono concessi come un automatismo, e neppure sono privi di controllo. Un progetto di questa portata, deciso con unità e solidarietà da tutti i paesi dell’UE dovrà traghettare l’Europa fuori dalla crisi e rafforzarne l’economia. In Europa si respira tutta la coscienza dell’occasione storica, che potrebbe non tornare più. E la serietà della sfida si riflette anche nei meccanismi giuridici previsti dal Parlamento che ha votato il Regolamento.
Il 23 dicembre 2023 il Consiglio di Europa ha inviato al Parlamento per l’approvazione un Regolamento sul coordinamento delle politiche economiche e sulla sorveglianza dei bilanci statali (EC No 1466/97). L’8 febbraio 2024 il Parlamento europeo ha approvato, senza emendare, il documento che stabilisce, in sostituzione del Patto di stabilità e crescita, la road map per la NDF.
Sia per quanto attiene il NGU che la NDF siamo solo ad un primo passo per una nuova politica economica dell’UE, per certi aspetti anche incerto, in particolare con limiti da superare per quanto attiene, da un lato, le neglette riforme strutturali che dovevano accompagnare e condizionare l’attuazione del RRF e, dall’altro, la possibile riproduzione, con la NDF, dei difetti del Patto di stabilità e crescita.
Sul primo punto il caso dell’Italia con il PNRR è emblematico. Il nostro paese ha, fino ad ora cioè dopo due anni e mezzo, speso il 23% delle risorse, secondo quanto rendicontato dalla Ragioneria, corrispondente a 45,6 miliardi su 194,4 assegnati originariamente (191 dopo la revisione introdotta). Si è trattato per lo più di trasferimenti alle imprese e non di investimenti infrustrutturali diretti della P.A.. Per arrivare alla piena utilizzazione delle risorse occorrerà un ritmo di 60 miliardi l’anno fino alla seconda metà del 2026. Un andamento impensabile, anche con riferimento all’esperienza dei fondi europei tradizionali. Inoltre, il nostro paese, è stato favorito dall’avvicinarsi delle elezioni europee che ha dato una sorta di impunità nel rinviare e/o nel portare a termine in modo solo apparente le riforme strutturali. Il metodo è stato quello di soddisfare le richieste del Regolamento con leggi delega spesso fumose, e con il rallentamento del flusso dei decreti attuativi, da cui dovrebbero derivare le disposizioni più impattanti. Questo è avvenuto con la riforma del fisco, la concorrenza, la giustizia civile, la semplificazione della pubblica amministrazione, l’introduzione del merito nelle carriere dei docenti della scuola, nella diffusione delle scuole d’infanzia nel Mezzogiorno. Inoltre, la modifica di una parte rilevante del PNRR, con la distrazione di fondi agli enti locali (solo in parte recuperati con altre fonti) per dedicarli ad iniziative ministeriali, ha cambiato un pò la visione di sostenibilità sociale e territoriale del Piano stesso. Nello spirito del NGU, la rigenerazione di un quartiere, la valorizzazione di un borgo storico ha una valenza sociale non minore del rinnovamento del materiale rotabile di FS.
Sul secondo punto, quello della NDF, una valutazione delle nuove regole consente di affermare che mentre la nuova regola nella versione originaria (elaborata nel 2919 dall’European Fiscal Board), basata su un’unica Expenditure rule piuttosto flessibile e un programma concordato di riduzione del debito per i paesi più in difficoltà, era coerente con i requisiti delle “buon regole” e soprattutto applicabile senza determinare situazioni pro-cicliche, come avvenuto nella crisi dei debiti sovrani della seconda metà del precedente decennio[1]. Il ritorno, per motivazioni in gran parte elettoriali, su istanza della Germania e dei paesi del Nord Europa così detti frugali, al controllo sul deficit, sia effettivo (sotto il 3% con in più un cuscinetto di garanzia) che strutturale (per i paesi più indebitati) appesantisce invece lo schema e non è detto che garantisca una maggiore disciplina fiscale[2].
- Nuove sfide e nuova politica economica europea
NGU e NDF non sono da considerare come immutabili, anzi dovrebbero evolvere per essere orientati al raggiungimento di obbiettivi strategici sempre più impellenti. Al riguardo, è opinione ormai diffusa e presente anche nei documenti della Commissione che la governance economica dell’Unione dovrebbe esser adattata per affrontare le sfide del medio e lungo periodo che si presentano all’UE. Si tratta di conseguire le transizioni digitale e ambientale del sistema economico e quindi di legiferare per assicurare la sicurezza energetica favorendo una autonomia stategica, accompagnare i cambiamenti demografici, rafforzando la resilienza sociale ed economica e sostenere i processi di convergenza dei paesi. Non ultima è la prospettiva di sviluppare anche strategie di sicurezza e difesa europea. Tutte queste strategie richiedono riforme strutturali e un elevato flusso di di investimenti nei prossimi anni[3].
Gli studi sull’evoluzione dell’economia europea hanno evidenziato che questi obbiettivi strategici sono impossibili mantenendo contemporaneamnete i tre vincoli che derivano dall’architettura imperfetta e incompleta dell’Unione[4].
- una disciplina fiscale rigida e asimmetrica, cioè che ammette effetti prociclici nelle fasi recessive, come è accaduto con le regole del Patto di stabilità e crescita e del Fiscal Compact;
- una politica monetaria indipendente e comunque vincolata ad un certo livello positivo del tasso di interesse, dopo la fase straordinaria post-pandemia dei bassi (quasi nulli) tassi, per riproporre un’aggiornata forma di inflation targetting;
- La rinuncia ad una capacità fiscale autonoma, con un bilancio “federale” meno del 2 % del PIL continentale.
Il superamento del trilemma può essere consentito accettando come dato il secondo vincolo che è connaturato al concetto stesso di Unione monetaria, quindi una politica monetaria non succube di quella fiscale, ma ammettendo una forma di coordinamento tra le due. La politica fiscale dovrebbe poi assumere un carattere anche verticale, cioè dal governo centrale europeo verso i paesi membri al posto di quello tradizionalmente orizzontale tra stati, e ciò non può prescindere da un new European budgetary system, costituito da entrate proprie europee. Una consistente capacità fiscale autonoma consentirebbe non solo interventi per la produzione di beni pubblici europei (tutela dell’ambiente, difesa, salute) e una redistribuzione della ricchezza centralizzata, del tipo programma Sure per la disoccupazione da crisi pandemica. Favorendo un mix di politica economica a livello centrale e a livello di stati membri, si potrebbe dare vita ad un titolo del debito pubblico autenticamente europeo, safe, cioè garantito dalle entrate autonome, che sostituisca il ruolo oggi svolto, in maniera insufficiente date le dimensioni richieste, dal bund tedesco con le tre A delle Agenzie di rating.
- Capacità fiscale europea e tassazione internazionale
L’allargamento della capacità fiscale a livello europeo si fonda sui seguenti tre presupposti[5]:
- determinare un bilancio UE consistente ma, per quanto possibile, coerente con il set-up istituzionale;
- Mantenere in ogni caso la competenza in tema fisco agli stati, per cui la capacità fiscale rimanga di natura derivata;
- non aumentare la pressione fiscale sui cittadini UE.
L’dea, originata da un Rapporto Monti presentato alla Commissione nel 2010, tenuto in grande considerazione dagli studiosi ma mai applicato, è predisporre un insieme di compartecipazioni al gettito (revenue sharing) di nuovi tributi europei stabiliti dai parlamenti nazionali; si tratterrebe di un’IVA riformata, un’imposta sul reddito delle società con base uniforme, un’imposta sulle transazioni finanziarie e una serie di tasse ambientali. I gettiti compartecipati dovrebbero andare, al netto dei trasferimenti in base al PIL, direttamente nel bilancio UE. Questa impostazione del bilancio dovrebbe essere ripresa e aggiornata per tenere conto dell’evoluzione del fisco internazionale e per derivare un bilancio europeo che dal 2% del PIL cresca gradualmente per assecondare una vera politica economica europea. Ciò può essere fatto, in una prima fase, senza modificare i Trattati, per poi passare senza remore ad una revisione di questi in materia di fisco.
Intanto si deve prendere atto che, ad esempio, in tema di corporate income taxation, c’è grande rinnovamento a livello internazionale. In particolare, è stato introdotto un sistema coordinato di regole di contrasto all’erosione globale della base imponibile delle imposte societarie sviluppato dall’OCSE (Regole GloBE) per fronteggiare le nuove sfide fiscali internazionali, derivanti dalla digitalizzazione e dalla globalizzazione dell’economia. La norma prevede, più specificatamente, regole volte a introdurre una tassazione minima effettiva delle grandi multinazionali a livello globale (“Global minimum tax”). Queste regole sono state definite nell’ambito dell’accordo internazionale, raggiunto a livello OCSE/G20 nell’ottobre 2021 e sottoscritto da 137 Paesi, a cui se ne sono poi aggiunti altri. Una direttiva europea ha recepito questo accordo e reso applicabile ai singoli stati dell’Unione[6].
Le regole sono rivolte ai gruppi multinazionali con ricavi complessivi pari o superiori a 750 milioni di euro e sono finalizzate ad assicurare che tali gruppi siano soggetti a un livello impositivo minimo effettivo di almeno il 15 per cento in relazione ai redditi prodotti in ogni paese in cui operano. Le regole prevedono l’applicazione di un’imposizione integrativa (cd. Top-Up Tax) che è dovuta nel caso in cui l’aliquota effettiva (Effective tax rate, ETR, calcolata come rapporto tra le imposte pagate e l’utile contabile con aggiustamenti), definita in ciascuna giurisdizione secondo le regole comuni, sia inferiore al 15 per cento, fino a raggiungere tale livello[7].
La norma introduce inoltre una disposizione interna, l’imposta minima nazionale (Qualified Domestic Minimum Top-Up Tax – QDMTT), secondo cui la tassazione integrativa è applicata alle imprese di un gruppo multinazionale o nazionale soggette ad una bassa imposizione, fino al raggiungimento dell’aliquota minima effettiva del 15 per cento. L’imposta minima nazionale, prevista in via opzionale dalla direttiva, una volta introdotta nell’ordinamento prevale sulla regola che istituisce l’IRT. La Commissione UE è andata oltre prefigurando una BEFIT (Business in Europe, Framework for income taxation), con un’unica base imponibile dell’imposta sulle società da ripartire tra i songoli stati, ed applicare poi minimum tax rates. Una parte del gettito statale dovrebbe ritornare come risorsa propria alla EU al netto dei trasferimenti tradizionali e divenire fiscal capacity.
- ll nuovo Parlamento europeo: cosa attenderci?
La visione di una Unione, con capacità fiscale rivolta alla produzione di beni pubblci europei e una disciplina fiscale rigorosa ma flessibile e non prociclica, richiede l’impegno del nuovo Parlamento europeo nell’innovare la sua missione in campo economico. Servono partiti e gruppi parlamentari consapevoli delle sfide sintetizzate nei paragrafi precedenti, che forniscano alle Commissioni parlamentari economiche deputati informati e pervasi di una cultura economica aggiornata, presenti attivamente alle sedute. Per le decisioni in campo economico non si possono ammettere parlamentari “parcheggiati”, distratti da interessi nazionali di partito e nemmeno condizionati dagli elettori delle proprie constituency.
L’obbiettivo è ambizioso: per le sfide che ci attendono si tratta di aggiornare agli scenari dell’economia globale i requisiti che il grande economista internazionale Robert Mundell richiedeva nella metà del secolo scorso per identificare un’area monetaria ottimale[8], cosa che oggi non è l’Eurozona. Sono in definitiva anche le basi economiche del sogno dei “padri fondatori” dell’Europa unita (gli Stati Uniti di Europa), che adesso, dopo una serie di crisi sistemiche, e sommovimenti geo-politici sembrano più realizzabili….. e lo dovranno essere, pena l’irrilevanza dell’UE.
[1] Vedi A.Benassy-Queré, B.Coeuré, P.Jacquet e J.Pisani-Ferry, Politica Economia, teoria e pratica, a cura di A.Petretto e F.F. Russo, Seconda edizione, cap. III, Il Mulino, Bologna, 2019.
[2] Ritornano parametri di valutazione non facilmente misurabili in modo condiviso (come l’output gap e il relativo deficit strutturale). Infine, potrebbero emergere contraddizioni tra la regola base sulla spesa e i vincoli aggiunti sui saldi, da indurre alcuni paesi a comportamenti opportunistici nel controllo del debito.
[3] Mario Draghi nella Riunione informale dei ministri dell’economia e delle finanze, indetta dal Consiglio dell’Unione Euroropea del 22-24 febbraio 2024, ha parlato di risorse annue che vanno ben oltre quelle del NGU.
[4] Vedi tra i contributi più rilevanti M. Buti, Jean Monnet aveva ragione? Costruire l’Europa in tempi di crisi, Egea SpA, Bocconi University Press, 2023 e I.Visco, Dall’Unione monetaria, all’Unione Bancaria, al Fisco europeo, in Convegno “il Parlamento Europeo, verso quale Europa”, Accademia Nazionale dei Lincei, 28.2.-1.3.2024.
[5] Vedi I.Visco, Dall’Unione monetaria….., op. cit
[6] Vedi Servizio del Bilancio dello Stato, Attuazione della riforma fiscale in materia di fiscalità internazionale, Nota di lettura, Atto del Governo n.90, Senato e Camera dei Deputati, Novembre 2023.
[7] L’imposta integrativa si basa su due regole interconnesse: a) una regola primaria per l’applicazione dell’imposta minima integrativa (Income inclusion rule –IIR) in capo alla controllante capogruppo residente in Italia, in relazione alle controllate soggette ad una bassa imposizione facenti parte del gruppo localizzate all’estero; b) una regola secondaria per l’applicazione di un’imposta minima suppletiva (UTPR), che si attiva solo se la regola primaria non è stata applicata, in tutto o in parte, nel paese di residenza della controllante capogruppo.
[8] Vedi R. Mundell, “A theory of optimum currency areas”, American Economic Review, vol. 51(4), p. 657-665, 1961; A.Benassy-Queré et al., Politica economica….., cap.VI, op. Cit.
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