Orgoglio, soddisfazione ed encomi a tutti per un lavoro di squadra i cui esiti non erano affatto scontati hanno caricato di adrenalina la presentazione alla stampa (3 febbraio) del pacchetto di interventi a favore del distretto pratese resi possibili dal “colpaccio” da 10 milioni di € per alleviare “i gravi danni dell’emergenza Covid 19” messo a segno nel dicembre 2021 con un emendamento alla Legge di bilancio. La presenza corale attorno al tavolo dei relatori di 14 rappresentanti di Comune di Prato, Cciaa, associazioni di categoria e organizzazioni sindacali ha offerto il segno tangibile dell’importanza simbolica, prima ancora che monetaria, del provvedimento: rapportati al fatturato del distretto, stimato in 3,5 miliardi (+ 2,5 se aggiungiamo l’abbigliamento), con 10 milioni restiamo comunque su valori da prefissi telefonici.
Va detto che lo scenario non è più quello di 14 mesi fa. Il rischio pandemico si è molto smorzato mentre il prezzo del gas e le tariffe dei noli per i container stanno rientrando entro gli argini dai quali erano esondati. Il buon andamento del settore in termini di fatturato e di export è stato puntualmente certificato da Pitti Filati, Milano Unica e Premier Vision. L’onda della ripresa, cosa che non vale solo per Prato, ha rianimato anche il mercato del lavoro dove le imprese lamentano le difficoltà a reperire le figure professionali più richieste. Ma per il distretto, messo a dura prova dalle aperture del WTO di inizio 2000, dalla crisi finanziaria del 2008 e dalla riorganizzazione delle filiere produttive nel mondo, uno stanziamento ad hoc in legge di bilancio resta comunque una salutare iniezione di fiducia.
Attraverso le finestre che si apriranno grazie a cinque bandi distribuiti nei prossimi due anni, un numero variabile da 250 a 400 imprese tessili, sul totale delle circa 2.500 attive nel distretto, potranno attingere a 8 milioni di € di contributi a fondo perduto per investimenti in nuovi progetti che spaziano dall’efficienza energetica, alla digitalizzazione, dalla sostenibilità al rafforzamento della filiera e alla ricerca industriale, mentre i 2 milioni che residuano saranno riservati a interventi di sistema o di filiera gestiti direttamente dal Comune di Prato.
Dal modo in cui i fondi sono stati modulati in obbiettivi e intensità di aiuti emerge un’impronta pragmatica, più propensa ad attivare rapidamente azioni che a preoccuparsi degli impatti previsti. Credo che Becattini avrebbe considerato questo modo di procedere un esempio tangibile delle politiche industriali per i distretti di cui aveva ripetutamente invocato l’adozione: “offrire aiuto, anzitutto, a chi dimostra di aiutarsi da sé”. Sarà interessante seguirne la realizzazione alla luce della sua visione delle politiche industriali per distretti che avrebbero dovuto essere “leggere”, in quanto volte ad assecondare e accelerare decisioni che le imprese sono pronte o quasi a prendere anche a prescindere dagli aiuti pubblici, e “complesse” perché necessariamente olistiche (urbanistica, fisco, ambiente, formazione, ecc…). In ogni caso avrebbe apprezzato il percorso partecipativo, dal basso, attraverso il quale la comunità pratese, rappresentata da Comune, associazioni di imprese e sindacati, ha definito nel dettaglio obbiettivi, ripartizione dei fondi, quote di aiuto e requisiti settoriali e dimensionali per l’eleggibilità. Becattini, con tutta la scuola di Artimino, considerava insufficienti gli aggiustamenti automatici del mercato, enfatizzava il rapporto tra sviluppo e istituzioni e attribuiva particolare importanza all’azione pubblica.
Nei loro interventi i rappresentanti delle istituzioni e dei corpi intermedi pratesi hanno sottolineato che il limite maggiore delle politiche industriali nazionali e regionali consiste nella incapacità di adattarsi alle caratteristiche specifiche del distretto. Ci sarà materiale per valutare pro e contro di questo originale intervento di politica industriale rispetto ad altri strumenti come, ad esempio, la Sabatini o “Industria 4.0”. Chi ha frequentato Becattini nelle aule universitarie o negli incontri di Artimino ricorda che sovente si definiva un “metodologo” e non si sarebbe fermato a tesserne le lodi. In particolare avrebbe preferito che il pacchetto di aiuti per Prato non fosse da ricondurre alle efficaci pressioni lobbistiche di un solo distretto, per quanto importante, ma dovesse rientrare nel modo normale di intendere le politiche industriali per tutti i distretti italiani.
E’ importante sottolineare, inoltre, che la stringente articolazione degli interventi non si limita, come avrebbe caldeggiato Becattini, “a scatenare una massa di reazioni” ma punta (“obbiettivo estremamente ambizioso!”) a indirizzare le scelte degli imprenditori. Da pensatore non convenzionale quale è stato, infine, viene da pensare che dopo tante battaglie per spostare l’asse delle politiche industriali dai settori ai territori e alle rispettive comunità, avrebbe considerato una occasione persa la non inclusione tra i destinatari degli incentivi per “transizione ecologica/socio-sostenibilità” delle imprese dell’abbigliamento, che sono soprattutto cinesi e spesso non rispettose delle norme in materia.
Sui toni celebrativi usati nell’occasione dal sindaco di Prato Matteo Biffoni (“siamo riusciti, ha affermato, a far riconoscere il distretto pratese come asse portante del sistema economico nazionale e messo a segno un risultato storico per la nostra città: 10 milioni a sostegno del distretto”) si potrebbero aprire altri due caveat.
Il primo riguarda la rimozione di mezzo secolo di interventi pubblici di cui ha beneficiato Prato, tra i quali svettano il Progetto integrato area pratese e il Progetto Sprint. La soddisfazione del Sindaco è comprensibile e meritata ma è solo il caso di ricordare che, a partire dagli anni Ottanta, Prato è stato un primario teatro di politiche industriali altrettanto e forse ancora più consistenti. E’ vero che si è trattato di interventi più ricchi di moto che di movimento ma la cosa che colpisce è l’assenza di qualsiasi richiamo alle lezioni lasciate in eredità, nel bene e nel male, dall’ampio ventaglio di strumenti sperimentati in passato.
Una seconda osservazione riguarda i registri utilizzati per presentare il sistema industriale pratese, descritto immancabilmente come “il più grande distretto tessile europeo” e come “impareggiato leader di circolarità”. Sono affermazioni probabilmente vere ma, richiamando i principi delle corrette campagne di comunicazioni invocate proprio dai protagonisti del sistema moda (“le affermazioni sulla sostenibilità e sulla circolarità devono basarsi su misurazioni”), non è da escludere che se cambiamo le metriche (numero di addetti e delle imprese o valore della produzione?), i perimetri geografici o le classificazioni merceologiche potrebbero venire meno alcune medaglie di cui il distretto si è fregiato nel secolo scorso andando a caccia di visibilità e rappresentazione istituzionale. Ma questo non è un problema. Le istituzioni e le associazioni pratesi dispongono di schiere di validi ricercatori per mettere insieme una nuova e più accurata batteria di informazioni parametriche utili per mettere a confronto, per esempio, la filiera pelle, cuoio e calzature del Medio Valdarno o il distretto transfrontaliero Galizia-Nord Portogallo con quello pratese. Tuttavia, il ripetere meccanicamente affermazioni fino a farne stereotipi non aiuta a decifrare le trasformazioni in atto che, per essere tracciate, richiedono nuovi occhiali in grado di mettere a fuoco non le quantità, ma i tratti qualitativi. Per narrare la resilienza e i nuovi fattori distintivi di competitività di un sistema che nel frattempo è molto cambiato, non è sufficiente ricostruire l’evoluzione a livello macro distrettuale; le innovazioni più interessanti oggi avvengono infatti a livello meso e investono i rapporti tra micro gruppi di imprese industriali e tra queste e quelle dei servizi.
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