Considerare con i normali strumenti della ragione ciò che è avvenuto dall’inizio di agosto in poi, per quanto riguarda la politica italiana, è difficile, ma non impossibile.
Salvini ha giocato una partita all’apparenza folle, ma basata sulla convinzione che un’alternativa fondata sull’accordo fra i 5s e il Pd sarebbe stata impraticabile.
Zingaretti avrebbe fatto di tutto pur di cambiare i gruppi parlamentari controllati da Matteo Renzi e quest’ultimo non avrebbe mai potuto contraddirsi rispetto a quanto aveva fatto all’indomani delle elezioni del 2018.
Malgrado i successi elettorali del Capitano s’è avverato il contrario.
La cultura di uno come Salvini lascia a desiderare, anche se si è ritrovato ad assumere la leadership del centrodestra, sull’onda di un populismo sgangherato, nutrito di paure oggettivamente presenti nella società italiana, sottovalutate dal centrosinistra e in primo luogo dal Pd.
Se avesse avuto una conoscenza adeguata della storia politica nazionale si sarebbe ricordato di quella “Politique d’abord” in cui Pietro Nenni era maestro e di cui, ai nostri giorni, è interprete sicuramente efficace Matteo Renzi.
Si sarebbe accorto che, malgrado l’antagonismo diffuso contro il Parlamento, quest’ultimo esiste e ha ancora un ruolo decisivo e che la sua forza in tale contesto era secondaria.
Non se n’è accorto è ha impostato una battaglia del tutto irrazionale.
Renzi ha avuto gioco facile: la “Politique d’abord” si basa sulla comprensione delle possibilità nell’immediato e sulla spregiudicatezza dell’iniziativa da imporre agli altri.
Del tutto razionale, quindi, ciò che è avvenuto, a fronte di un Pd che non poteva sottrarsi all’opposizione verso il becero antieuropeismo della Lega, con il rischio di perdere una sfida elettorale nei riguardi di chi voleva i pieni poteri e quant’altro di assurdo si è sentito dire.
Non diversa era la situazione del M5s che non sarebbe stato in grado di affrontare una campagna elettorale dopo il crollo alle europee e che aveva fatto le sue prove di distacco da Salvini con l’elezione di Ursula von der Leyen.
Renzi ha dunque agito con piena razionalità, riproponendo sé stesso al centro della scena politica.
Fin qui le cose comprensibili e sottolineate, per forza di cose, da tutti i commenti relativi, mentre la successiva scissione dell’ex-premier fiorentino è sembrata a molti assai meno razionale di tutto quello che era intervenuto prima.
In un primo momento i dubbi sono stati propri anche di chi scrive, ma successivamente e a mente fredda bisogna riconoscere che la formazione di Italia viva rientra in un ragionamento possibile e fondato che Renzi ha potuto fare.
Il Conte bis è derivato da uno stato di necessità: non c’è altra giustificazione ad un’iniziativa che ha ridato un poco di fiato ad un movimento, come quello dei 5s, che in quanto a deriva populista e irrazionalità non è certo secondo a nessuno.
La prospettiva di un incontro a lunga scadenza fra il Pd di Zingaretti e i 5s di Grillo non può rientrare nelle aspettative dell’ex-sindaco di Firenze.
Non perché in Renzi siano assenti caratteristiche populiste, semplicemente per il fatto che la seppure incerta visione liberaldemocratica che ha definito la sua esperienza di governo non avrebbe storia, né un futuro possibile.
Inoltre, visto lo stato caotico in cui versano tutti i partiti (ancorché si possano definire tali) e la conseguente personalizzazione intorno all’una o all’altra leadership che appaia sulla scena politica nostrana, lo stesso Renzi non avrebbe più uno spazio realisticamente appressabile in un Pd che si acconcia progressivamente a tornare alle logiche precedenti il partito fondato da Veltroni.
Per concludere questa prima parte di considerazioni sulla situazione attuale, si può dire che tutti coloro che hanno partecipato alla svolta intervenuta sul piano parlamentare e di governo si sono mossi con razionalità, calcolando il combinato-disposto delle loro convenienze, del loro potere attuale e dell’unica tattica possibile.
Altra cosa è la definizione di una strategia politica e dei suoi fondamenti culturali: appare del tutto superfluo chiedere qualcosa di simile a Di Maio o a quell’epifenomeno del trasformismo che è Giuseppi (copyright Donald Trump) Conte, mentre non lo è per quanto riguarda Zingaretti e Renzi.
Per non estenuare il lettore, rimandiamo ad un altro articolo una riflessione nel merito.
P.S.
Per curiosità si può ricordare la prima volta che l’esule Pietro Nenni usò “Politique d’abord” (per onestà di citazione, non si tratta di andare molto lontano: si trova tutto su Wikipedia, compreso l’inventore, casualmente, di tale definizione, Charles Maurras, che non fu un uomo di sinistra, ma il capo della destra reazionaria francese).
Nenni scrisse queste parole nel 1930: “Politique d’abord consiste nel non avere pregiudiziali tattiche e nel riconoscere che la tattica è questione di momento e di circostanze. Un partito (un leader) che sa quel che vuole, e che quel che vuole lo vuole sul serio, non sarà mai imbarazzato sui mezzi da impiegare”.
Di sicuro Renzi, qualora conosca questa fonte, sembra avere imparato bene a maneggiare la “Politique d’abord”: si tratta di vedere se è in grado di andare oltre.
Giorgio Taffini
Sono contento di aver letto questo primo commento, finalmente qualcosa si muove, c’è ancora speranza. Giorgio Taffini
Salva Giansi
Ottimo commento, che parte da una dotta citazione e che per quanti non lo conoscessero o avessero voglia di farlo, potrebbero sempre scoprire chi è stato nella storia politica italiana un uomo della statura di Pietro Nenni ed il PSI.
E aggiungo, con una dose di autocritica, detto da chi viene dalla storia del PCI ha un valore doppio.